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 2006  settembre 08 Venerdì calendario

La tassa Alitalia. La Stampa 8 settembre 2006. Milano. «Quando dopo le prime ricapitalizzazioni si era capito che l’inversione di rotta era troppo ardua bisognava avere più coraggio

La tassa Alitalia. La Stampa 8 settembre 2006. Milano. «Quando dopo le prime ricapitalizzazioni si era capito che l’inversione di rotta era troppo ardua bisognava avere più coraggio. Ricominciare daccapo con una nuova compagnia. Invece col paravento dell’obiettivo sociale, che era salvare il posto di lavoro a 20 mila lavoratori e mantenere il vettore nazionale, si è voluto salvare dell’altro. Un baraccone dominato dal clientelismo della politica e, almeno fino a qualche tempo fa, gallina d’oro per fornitori scelti senza alcuna gara». A parlare così di Alitalia, nel giorno del ritorno all’ennesimo sciopero, non è un liberista d’assalto, ma un sindacalista, Dario Balotta, segretario generale della Fit-Cisl Lombardia, che oggi allarga le braccia di fronte ad una compagnia sempre in rosso e senza «un’alleanza credibile che permetta un vero rilancio. Ma il peccato originale resta uno solo: la mancata privatizzazione della compagnia». Mancata privatizzazione significa una sola cosa. Che a mantenere Alitalia in piedi in questi anni bui - perfino drammatici tra il 2001 e il 2004 - non è stato certo il mercato, che di suo avrebbe pure staccato la spina, ma l’Azionista con la «a» maiuscola. Lo Stato, rappresentato dal Tesoro che dal dicembre 2005 è passato al 49,9% della compagnia dal precedente 62,4%, non si è mai tirato indietro nel foraggiare il carrozzone alato. I numeri della tassa-Alitalia per i cittadini parlano chiaro. Solo tra il 1991 e il 2005, secondo il monitoraggio effettuato dagli esperti del Certet dell’Università Bocconi di Milano, lo Stato, prima attraverso l’Iri, poi tramite il Ministero dell’Economia, ha versato alla compagnia nel corso di ripetuti aumenti di capitale oltre 3 miliardi di euro. Accanto ci sono gli 1,3 miliardi sottoscritti dagli altri azionisti e i 300,3 milioni concessi dalle banche. In cambio? Poco o nulla. Gli unici dividendi, in quindici anni, sono arrivati nel ”98, poi i conti sono andati via via in rosso profondo, con un’altra eccezione, quella del 2002, quando l’utile di 93 milioni fu raggranellato solo grazie alle dismissioni (fu venduta anche la sede della Magliana) e a poste straordinarie dalla favorevole conclusione della controversia contro Klm, rea di aver rotto anni prima l’alleanza con Alitalia. Per il resto agli azionisti, con in prima fila lo Stato, sono arrivate sempre e solo delusioni. In sei anni la società oggi guidata da Giancarlo Cimoli ha accumulato perdite per 2,5 miliardi e la prima trimestrale dell’anno ha riservato una nuova doccia scozzese: rosso a 129 milioni di euro (contro i 118 dell’anno prima), con debiti che oggi sono pari a 872 milioni. Questo nonostante l’intervento di Fintecna, società controllata dal Tesoro (sempre lo Stato), che ha acquistato il 49% di Az Servizi più un altro 2% in usufrutto e che ha quindi permesso uno sgravio ai conti Alitalia. Gli analisti non sono certo ottimisti per questo 2006. «Ci attendiamo che Alitalia chiuda ancora in perdita, nonostante gli obiettivi del piano prevedessero l’utile», spiega Daniele Savi, analista della londinese Actinvest. Non è la prima volta che i target dei piani non vengono centrati: ad esempio, non lo furono nel 2001, racconta l’analista, quando non fu raggiunta la profittabilità prevista, o nel 2004 quando il debito sfuggì dalle previsioni. Ma nel frattempo lo Stato pagava: 258 milioni nel 2001, 113 e 892,3 nel 2002. In mezzo le strategie «totalmente inadeguate adottate negli anni dalla compagnia - dice Oliviero Baccelli, vice direttore del Certet ed esperto di trasporti aerei -. Primo: Alitalia ha scelto di puntare sul mercato domestico dove spopolano le società low-cost, quando i margini maggiori sono sulle tratte internazionali e intercontinentali». Invece tra il 2001 e il 2002 vennero dismesse tratte importanti come da Milano verso Los Angeles e San Francisco. «Secondo: la confusione nell’organizzazione con la creazione negli anni di società satellite che avrebbero dovuto ridurre i costi». Cosa che, invece, non si è realizzata: Alitalia Team, ad esempio, fu creata negli Anni 90 per assumere nuovi assistenti di volo a costi inferiori del 30-40%. Tutto inutile perché nel ”99 si arrivò a riunificare il contratto. Errori, insomma, come quello di aprire in tutto il mondo costosissime e faraoniche sedi che divorano decine di milioni di euro l’anno. E poi lo spreco forse più famoso, quegli 11 mila tra assistenti di volo ed equipaggi che per decenni ogni mese sono stati scarrozzati da Roma a Milano. Senza che peraltro Alitalia, nel frattempo, sia mai riuscita a farsi dedicare, come avviene ovunque, uno straccio di terminal tutto per sé nei due aeroporti di riferimento. Francesco Spini