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 2006  settembre 07 Giovedì calendario

OTTO ANNI DOPO Quei sorrisi a sorpresa Il team che ha sostituito i genitori Legali, pr, psicologi "Il suo staff sembra un gruppo d’ affari" Una Fondazione e un conto per le donazioni (INVIATO(/INVIATOVIENNA - Si vuole rivedere, in poltrona, mentre l’ Austria la guarda

OTTO ANNI DOPO Quei sorrisi a sorpresa Il team che ha sostituito i genitori Legali, pr, psicologi "Il suo staff sembra un gruppo d’ affari" Una Fondazione e un conto per le donazioni (INVIATO(/INVIATOVIENNA - Si vuole rivedere, in poltrona, mentre l’ Austria la guarda. Si vuole rileggere, sui giornali che alle cinque vanno a ruba in tutte le edicole. Mezz’ ora di registrazione su Orf2, sedici pagine su News, un’ intera sezione del Krone-Zeitung. Un Paese fermo. In silenzio ad ascoltare il più spaventoso dei reality: la ragazza tornata da otto anni di silenzio. "Volevo solo che il maggior numero di persone potesse vedermi e conoscere il mio destino". Natascha Kampusch, quand’ era chiusa là sotto, dai dodici anni in poi dice di non avere pensato ad altro: a come fuggire prima, a come sopravvivere poi. Aveva pianificato tutto: "Mi sono un po’ seccata - racconta - quando ho saltato lo steccato d’ una vicina di casa, c’ era una finestra aperta e quella persona che stava alla finestra: le ho detto di chiamare subito la polizia, ma non mi ha lasciato telefonare, ha voluto farlo lei"."Io avrei fatto il numero del reparto giusto. Invece è arrivata una pattuglia del commissariato di zona. Non è giusto che mi abbiano fatto passare davanti ai fotografi con quella coperta in testa". Ancora: "Sapevo che una volta fuori sarei diventata famosa in tutto il mondo. Pensavo sempre a come non farmi perseguitare dai media". Il problema, l’ ha risolto. L’ unica cosa che Natascha ha voluto studiare, in queste due settimane, è la complicatissima legge austriaca sui diritti e i doveri dei media. Buttandosi nella bolgia dell’ informazione a volto scoperto, voce tremante. Prime time, senza time out. Studio a sfondo nero, un’ abat-jour, di fronte il giornalista Christopf Feurstein e lo psichiatra Max Friedrich, le telecamere nascoste dietro tende color panna. Il foulard fucsia, la camicia viola con le perline, i jeans alla moda, un accenno di trucco e di tacchi, due bracciali, una collanina rossa, gli occhiali con le lenti rosate nella borsetta. Il fiato rotto, a ricordare il giorno del sequestro. Gli occhi chiusi, per trovare le parole. O strabuzzati, a cercare il dottor Friedrich. In mano un fazzoletto di carta, per le lacrime e per il forte raffreddore preso da quando s’ è trasferita al settimo piano del Policlinico di Vienna, dove vive "fra ragazzi a rischio di suicidio e anoressici, tutta gente in cui riesco a immedesimarmi", dov’ è circondata da una squadra che non la molla un attimo. "Ed ecco a voi Natascha "Beckham Kampusch"" picchiano duro gli editorialisti dello Standard, il più importante quotidiano austriaco, un po’ invidiosi per lo scoop mancato, un po’ sospettosi per la piega che il caso sta prendendo. Qualche dubbio c’ è: "La ragazza avrebbe bisogno di tutto meno che di questo - attacca Johann Zapotoczky, neuropsichiatria dell’ università di Graz -. Soprattutto, d’ una sola persona che la segua, d’ un punto di riferimento unico, non di uno staff che sembra un’ agenzia di pubblicità. C’ è troppa spettacolarizzazione di questa psicoterapia. E poi, dove sono i genitori in tutto questo lavoro? Non sarebbe ora di coinvolgerli?". I genitori, già: l’ aguzzino Priklopil le faceva credere non volessero pagare il riscatto, racconta Natascha, e forse lei non riesce a liberarsi del sospetto. I genitori rimpiazzati con tre psicologi, una terapeuta segreta, due avvocati, un addetto alle pubbliche relazioni. Per gestire 700 richieste d’ interviste da tutto il mondo. Un conto corrente aperto. Un numero verde per le donazioni. Uno squadrone di marketing, raddoppiato dalla Orf, per incassare il milione di euro ricevuto finora sui diritti tv. Forse un libro. Una "Fondazione Natascha Kampusch" già costituita per aiutare, nell’ ordine, piccole vittime di crimini, "le donne del Messico sequestrate sul posto di lavoro", "chiunque voglia cambiare la legge sul sequestro dei minori, perché dieci anni di prigione sono troppo pochi", "chi ha fame in Africa, perché so che cosa vuol dire avere fame e fino a che punto la fame annulli la dignità...". Natascha è rinata? La sua parte morta sembra sepolta da otto anni di loculo. E poi resuscita nelle risate nervose, in una padronanza ostentata. Ironizza: "C’ è stata una piccola lite tra Friedrich e un mio avvocato, che voleva farmi uscire dall’ ospedale: ho dovuto calmarli". Sorride: "Io pensavo che la pena per sequestro di persona fosse vent’ anni e consolavo Priklopil: vent’ anni non sono tanti, uscirai a 60 e a quell’ età oggi s’ è ancora in gamba". Si rimprovera: "Avevo anche pensieri brutti: avessi avuto un’ accetta, gli avrei tagliato la testa. Però non sopporto la vista del sangue...". S’ analizza: "Ho tachicardie, aritmie, vertigini, a volte vedo sfocato, probabilmente per le carenze d’ alimentazione". S’ organizza: "Vorrei farmi fare delle vaccinazioni contro l’ influenza, non sono abituata all’ aria condizionata". Programma: "Una crociera, un viaggio in treno a Berlino". Si raggela, quando parla di papà e mamma: "Io li amo, ma ora ho tanto da fare perché possa occuparmi di loro. Ci sarà tempo". Non crede più in niente, a parte se stessa. Pregava? "All’ inizio, sì. Dopo, non più. Non è indicativo, però. Anche lui, il delinquente pregava. E prega perfino Fidel Castro...". Battistini Francesco LO PSICOTERAPEUTA Scaparro: recupero che ha dell’ incredibile Ma restano i dubbi Forte controllo delle emozioni e un linguaggio che stupiscono *** "Tra gli aspetti che colpiscono di più, nel comportamento di Natascha - spiega lo psicoterapeuta Fulvio Scaparro - , è il suo controllo emotivo molto forte. La ragazza sembra affrontare bene la situazione, anche se ogni tanto guarda fuori campo alla ricerca dei suoi riferimenti e addirittura li interpella per avere conferma ad alcune risposte. L’ impressione è che l’ intervista non sia del tutto farina del suo sacco: Natascha usa termini difficili per chi è rimasto otto anni isolato, si riferisce al suo carceriere definendolo "personalità labile". E si lascia sfuggire che se prima chiamava la sua prigione das Raum, "lo spazio", ora lo chiama das Verlies, "la cella", perché "me l’ ha consigliato il dottor Friedrich. E si avvicina di più al vero"". *** Forma fisica, una rinascita sprint se è vero che alla fuga pesava 42 chili *** "Le prime notizie trapelate dopo la fuga di Natascha Kampusch raccontavano di una giovane traumatizzata anche nel fisico, come è lecito aspettarsi da chi ha vissuto a lungo recluso: avrebbe pesato 42 chili, all’ incirca lo stesso di quando era stata rapita, e a detta dei poliziotti le condizioni di detenzione sarebbero state "tremende". Le riprese di Orf2 mostrano invece una ragazza in ottima forma fisica, nessun indizio lascia pensare che sia reduce da un terribile sequestro. Si tratta di un caso anomalo, che si può spiegare soltanto con la personalità eccezionale di Natascha: in sole due settimane ha saputo reagire e recuperare alla grande, dal punto di vista emotivo come da quello fisico". *** L’ insolita decisione degli psicologi di esporla sotto i riflettori *** "Il caso di Natascha ha scatenato un vero e proprio tam-tam mediatico, i giornali hanno titolato Der grosse Interview, "la grande intervista". La domanda è: che aiuto può portare tutto questo a una persona sequestrata e tenuta per otto anni fuori dal mondo? Il dubbio nasce in tutti coloro che, dal punto di vista terapeutico, si sono occupati di sequestri. Non si può passare dal buio totale alla luce, se non a rischio di rimanere abbagliati; di norma, una persona reduce da simili esperienze viene protetta, quasi isolata, aiutata a recuperare lentamente i legami affettivi e sociali. Se questa terapia d’ urto si dovesse dimostrare efficace, dovremmo rivedere tutta la teoria elaborata fino a oggi su casi simili". (7 settembre, 2006) Corriere della Sera CASO KAMPUSCH L’ INTERVISTA *** IL SEQUESTRO *** Quella mattina ero triste perché avevo litigato con mia madre Lui mi afferrò, cercai di gridare ma non ci riuscii. Mi disse che mi avrebbe liberata se i miei avessero pagato il riscatto *** LA CANTINA *** Mi lasciò per mezz’ ora al buio. Ero disperata e furiosa Ho avuto attacchi di claustrofobia. Così per sei mesi, poi un giorno mi fece andare a casa sua, mi lavai nel suo bagno *** LE FESTE *** L’ avevo costretto a festeggiare il mio compleanno, Natale e Pasqua. Mi faceva molti regali, pensava di compensare così la mancanza di una vita normale *** LA CELEBRIT *** Sapevo che una volta fuori sarei diventata famosa in tutto il mondo. Pensavo sempre a come non farmi perseguitare dai media. Ora voglio aiutare gli altri *** LO STUDIO *** Ho sempre cercato di essere migliore o uguale di quelli là fuori, soprattutto per la formazione scolastica Ho imparato anche a lavorare a maglia da sola Natascha mezz’ ora in tv: ero più forte del rapitore "La libertà? Shopping e un gelato " Lacrime e sorrisi: ero certa che mi avrebbe uccisa, ho sofferto la fame. Ecco il testo dell’ intervista a Natascha Kampusch, la ragazza austriaca rapita e tenuta prigioniera per otto anni, fino al 23 agosto, quando riuscì a fuggire da Wolfgang Priklopil (morto suicida poco dopo). L’ intervista, realizzata dal giornalista Christoph Feurstein, è andata in onda ieri sera alla tv austriaca Orf2. Come sta signora Kampusch? "Viste le circostanze, abbastanza bene". Lei è in libertà da due settimane ormai. Che cosa ha fatto in questo tempo? "In primo luogo mi riposo dalle fatiche della fuga. Mi rilasso, parlo al telefono con i miei genitori. Ho incontrato mia madre. Ho visto per la prima volta la più giovane delle mie sorelle, Sabine. Ieri è stato il compleanno di mio nipote. Il suo desiderio era che gli telefonassi e l’ ho fatto benché abbia tante cose da fare". Chi sono le persone con le quali ha parlato di più, e di chi si fida? "Non lo so. Del dottor Friedrich, per esempio. Anche degli psicologi e di tutti coloro che si prendono cura di me. Ma soprattutto mi fido della mia famiglia e di me stessa". Attualmente lei è abbastanza isolata dal mondo esterno. Nella lettera ai media ha scritto che qui (nel policlinico di Vienna dove è avvenuta l’ intervista ndr) sta molto bene, ma ha anche detto che si intromettono troppe persone nella sua vita. "Sì, è veramente troppo difficile, tutti mi vogliono influenzare in qualche modo, vogliono il mio bene, però... Le prime notti hanno cercato di farmi dormire per forza. Non volevano capire perché sono già sveglia alle 4 e vado a letto alle 23. Poi sono riuscita a convincerli che risolverò la situazione, senza sonniferi". Qual è il primo desiderio che le è stato esaudito? Natascha evita la risposta e domanda ai suoi consulenti: "Se lo ricorda qualcuno?" Va bene, probabilmente di desideri ce n’ erano tanti. "Sì. Il desiderio principale è stata la libertà". Com’ è riuscita, nonostante la situazione, ad andare a passeggio, a fare la spesa in questi giorni? "Sono andata a fare shopping, poi in gelateria, in incognito. Ero con il dottor Berger... nella Waehringer Strasse? (rivolta al dottore ndr) in una gelateria. Abbiamo ordinato una coppa di gelato, portavo gli occhiali da sole e un foulard, nessuno mi ha riconosciuta. Siamo andati persino in metrò. Era bellissimo sorridere alle persone senza che nessuno mi riconoscesse". Si è fatta delle amicizie? "Sì, nel reparto ho già fatto amicizia con alcune persone, giovani. Parlo con loro e anche con dei bambini di 10 anni". Come è stato il primo incontro con i suoi genitori? "La cosa strana è che i miei genitori e tutti i familiari hanno pianto più di me. Mi hanno abbracciato forte ed io... non lo so. In quel momento... era troppo emozionante per me, mi sono sentita un po’ soffocata da questa "invasione" improvvisa. I poliziotti, per esempio, anche loro erano completamente sconvolti. Mi avrebbero quasi schiacciata con i loro abbracci per dimostrarmi quanto erano felici". Quali sono le cose che la fanno arrabbiare di più? "Le cose che non corrispondono alla verità, come l’ abuso. Oppure il fatto che siano state pubblicate le foto della mia prigione sotterranea perché questo non riguarda nessuno. Anch’ io non voglio vedere il salotto o la camera da letto di altre persone". Ho sentito che lei vuole scrivere un libro. "Se ci sarà un libro su di me, lo scriverò io. In ogni caso vorrei evitare che altri, in quanto esperti, riferiscano sulla mia vita". Non le sembra esagerato l’ interesse dei media verso di lei? "Sì. Ma mi sono resa conto che la mia celebrità mi conferisce una certa responsabilità e che voglio sfruttare questa opportunità. Ho capito che posso agire a vantaggio degli altri, voglio quindi creare una fondazione per aiutare a cercare persone scomparse. In particolare vorrei aiutare le donne che in Messico vengono sequestrate, abusate e torturate. E visto che so quanto sia umiliante e inumano soffrire la fame, voglio impegnarmi anche per questa causa. Lei sa cosa significa soffrire la fame. Che cosa vuol dire? "Nella mia prigionia ho sofferto la fame spessissimo. Avevo problemi di circolazione, non riuscivo a concentrarmi. In questa situazione si è capaci di pensare solo a come sfamarsi, ogni piccolo rumore è irritante e doloroso, ogni pensiero è un tormento. Noi qui facciamo finta di essere tanto intelligenti, ma se non avessimo niente da mangiare saremmo stupidi anche noi. facile condannare i disboscamenti, ma quelli hanno una fame tremenda, cosa devono fare? Non si riesce a riflettere se non si ha da mangiare". Nella sua lettera lei diceva che Priklopil la portava sulle sue mani e la calpestava con i piedi. Ma lei si sentiva forte come lui. "Io ero più forte di lui. Lui aveva una personalità instabile, visto che non ha trovato amore nella sua famiglia. Era insicuro. Me ne sono resa conto le prime ore dopo il sequestro, ho capito che aveva un deficit". Ci racconta che cos’ è successo la mattina del 2 marzo 1998? "Quella mattina ero triste, la sera prima avevo litigato con mia madre. Quando ucii non pensai a fare pace con lei subito. Vicino alla Melangasse vidi la sua macchina, pensai di andare sul marciapiede opposto, non so perché, ero angosciata, ma non lo feci. Lui mi afferrò, cercai di gridare, non mi uscì nessun suono". Priklopil le ha parlato in quel momento? "Sì, mi disse che non mi sarebbe successo niente se fossi stata zitta. Poi mi ha detto che si trattava di un sequestro e se i miei genitori avessero pagato un riscatto, mi avrebbe subito liberata. Ma io sin dal primo momento pensai che mi avrebbe ucciso. Quindi mi dissi che avrei cercato di sfruttare gli ultimi minuti della mia vita". Ha provato a convincerlo a liberarla? "Gli dissi che il sequestro non avrebbe funzionato e che la polizia, alla fine, lo avrebbe catturato. Nella casa pensavo di poter memorizzare alcuni dettagli da riferire alla polizia. Ero convinta che mi avrebbero trovata subito". Che cos’ ha provato quando ha visto per la prima volta quella stanza sotterranea? "Lui mi ha lasciato mezz’ ora al buio. Ero disperata e furiosa. Ero arrabbiata con me stessa per non aver cambiato marciapiede". Vuole parlarci del silenzio di quella stanza? "C’ era un ventilatore. All’ inizio quel continuo rumore era insopportabile, mi sono quasi venuti attacchi di claustrofobia, ho battuto contro il muro con i pugni e con le bottiglie di acqua. Era orribile e se lui, prima o poi, non mi avesse portata nella casa per darmi un po’ di libertà di movimento, forse sarei impazzita". Quando l’ ha portata in casa per la prima volta? "Dopo sei mesi, quando mi ha permesso di lavarmi nel suo bagno". Che cosa era riuscita a sapere del mondo esterno? "All’ inizio poco, nei primi due anni non ho visto i telegiornali, lui temeva che potessero dire qualcosa su di me. Poi ho sentito i notiziari dell’ Orf. Per quanto riguarda i giornali, all’ inizio mi dava solo settimanali, poi anche i quotidiani. Controllava che non avessi scritto sulle pagine messaggi da far arrivare all’ esterno. Questa era la sua paranoia. Controllava sempre tutto". Avete festeggiato qualche ricorrenza? "Festeggiavamo insieme il mio compleanno, Natale e Pasqua. L’ ho costretto a festeggiare con me. Mi faceva molti regali, uova di Pasqua e doni di Natale. Poi... visto che non potevo mai comprarmi niente come fanno altri ragazzi, lui pensava così di compensare la mancanza della realtà normale". Crede che lui avesse dei rimorsi? "Sì, la situazione era ambigua, credo che li avesse, ma cercava di negarli, e questo mi ha dimostrato che ne aveva". Non eravate sempre soli, spesso veniva la madre, se ne è accorta? "Sì, perché mi avvertiva prima..., e dopo ogni visita, tutta la casa era pulitissima". Anche se Priklopil cercava di nasconderle che la polizia la stavano cercando, lei era al corrente delle ricerche? "Me lo fece sapere lui più tardi, perché gli dissi che lui non poteva privarmi di queste informazioni visto che mi riguardavano". Le ha raccontato qualcosa sui suoi genitori per metterla sotto pressione? "Diceva che i miei genitori non si curavano di me, che non mi stavano cercando. Dopo mi disse che stavano in prigione. Poi ho anche saputo che questo era vero perché all’ epoca molti sono stati sospettati e messi in detenzione preventiva. Ma lui ha esagerato tutto". Lei gli ha creduto? "No". Tornerebbe a vivere nella sua casa da bambina? "No, ci dormirei solo per qualche notte. Ci sono troppi ricordi. Mia madre ha lasciato la stessa carta da parati, arancione". Lei è uscita varie volte con Priklopil. Come si è comportato lui? "Era molto cauto, era sempre vicino a me, era preso dal panico se c’ erano solo tre centimetri di distanza tra noi. Voleva che sempre che camminassi davanti a lui. Non potevo parlare con nessuno perché minacciava di uccidere le persone con le quali avrei parlato. Molte volte ho cercato mi mandare dei segnali alla gente, ma nessuno ha capito, la gente non immagina queste cose. Una volta ho cercato di mettermi in contatto con un commesso in un grande magazzino, ma non ce l’ ho fatta, non riuscivo a parlare. Poi cercavo di sorridere come su quella foto pubblicata sui giornali, per farmi riconoscere. Ma in un certo senso lui mi aveva dato suggerimenti su come avrei potuto scappare. A volte sembrava che volesse che un giorno mi liberassi". Che cosa è successo nel giorno della fuga? "In quel momento sapevo che se non fossi fuggita subito, non avrei potuto farlo mai più. Nei mesi precedenti gli avevo detto: "Non posso andare avanti così, sicuramente cercherò di fuggire". Ma ero preoccupata di rovinare la vita di sua madre, dei suoi amici e dei vicini. Loro lo consideravano simpatico e corretto". Che cosa le è mancato di più in questi otto anni? "Il primo ragazzo. Ma ho sempre cercato di essere migliore di quelli là fuori o almeno uguale, soprattutto per quanto riguarda la formazione scolastica. Avevo l’ impressione di avere un grande deficit che volevo compensare. Per questo ho tentato di apprendere il più possibile. Ho imparato anche a lavorare a maglia da sola". (Traduzione di Ilse Kratochvil)