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 2006  settembre 03 Domenica calendario

Il fiasco di Goya. Il Sole 24 Ore 3 settembre 2006. Quando nel 1974, Luigi Magnani acquistò e assicurò a Parma uno dei ritratti più impressionanti di tutti i tempi, ovvero La famiglia dell’infante don Luìs di Goya, forse non sapeva di risarcire un gran torto subito dal pittore spagnolo proprio nella città emiliana

Il fiasco di Goya. Il Sole 24 Ore 3 settembre 2006. Quando nel 1974, Luigi Magnani acquistò e assicurò a Parma uno dei ritratti più impressionanti di tutti i tempi, ovvero La famiglia dell’infante don Luìs di Goya, forse non sapeva di risarcire un gran torto subito dal pittore spagnolo proprio nella città emiliana. Il mito di Goya come antesignano dell’arte moderna ci ha fatto dimenticare un incidente di percorso avvenuto all’inizio della sua carriera, quando il giovane pittore era venuto in Italia per completare la propria formazione a contatto con l’antico e per ottenere quel riconoscimento accademico che allora appariva presupposto indispensabile per diventare un pittore di successo. Colui che era destinato a divenire uno dei maggiori e più originali pittori di tutti i tempi, noi lo ritroviamo giovane debuttante a ricercare presso un’accademia italiana quell’avallo che gli era mancato in patria presso la prestigiosa Accademia di San Fernando di Madrid, dove era stato bocciato in ben due concorsi. La sua scelta cadde su Parma sia per i legami dinastici che collegavano le corti borboniche parmense e spagnola sia perché i concorsi di pittura banditi nella città emiliana erano allora i più ambiti in Italia. Siamo nel 1771 e Goya partecipò alla gara che prevedeva di rappresentare, in un dipinto di medio formato, il tema di Annibale vincitore, che rimira per la prima volta l’Italia dalle Alpi. Per Goya la prova fu un mezzo fiasco. Gli vennero assegnati sei voti e il giudizio della giuria ci può persino sembrare lusinghiero: "Vi si è osservato con piacere un maneggio facile di pennello, una calda espressione del volto, e nell’attitudine di Annibale un carattere grandioso, e se più al vero s’accostassero le sue tinte, e la composizione all’argomento, avrebbe messo in dubbio la palma riportata dal primo". Ma furono proprio la libertà dalle regole e l’estro dell’immaginazione, elementi in realtà ancora in fieri ma già abbastanza evidenti, a spaventare gli accademici, che preferirono al genio universale destinato all’immortalità un pittore di Voghera, certo Paolo Borroni, il cui nome è a malapena sopravvissuto presso alcuni cultori di memorie artistiche dell’Oltrepo pavese. L’increscioso episodio sarebbe rimasto nell’oscurità se nel 1994 non fosse riemerso, presso una collezione asturiana, la Fondazione Selgas-Falgades a Cudilero, il dipinto di Goya, mentre l’opera del rivale era rimasta, come tutti i dipinti vincitori di quel concorso, presso l’Accademia di Parma. Fu un recupero decisivo per la conoscenza del percorso goyesco, anche perché coincise con l’acquisto da parte del Museo del Prado del cosiddetto Cuaderno italiano, un importante taccuino di disegni e appunti redatto dal pittore in Italia e che quindi contribuiva a far luce su un periodo (durato un anno) assolutamente dimenticato di una altrimenti gloriosa vicenda artistica. La bellissima mostra aperta da sabato 9 alla Fondazione Magnani Rocca (curata da Fred Licht e Simona Tosini Pizzetti) prende occasione dal confronto, a 235 anni di distanza, tra i due Annibali di quel lontano concorso, per riproporre la questione fondamentale del rapporto tra Goya e l’Italia. In realtà questo va oltre il viaggio del 1770-1771, se pensiamo quanto sia stata decisiva la diversa influenza esercitata su di lui dai tre grandi maestri italiani, attivi prima di Goya alla magnifica corte madrilena di Carlo III, Corrado Giaquinto, Giovan Battista Tiepolo e Anton Raphael Mengs, tedesco di nascita ma italianissimo d’adozione. Dopo la prima sezione, dedicata al famigerato concorso con la presentazione anche di altri dipinti risultati vincitori l’anno precedente e quello seguente il 1771, per restituire il clima internazionale che allora circolava a Parma, il visitatore incontra una ricchissima parata di ritrattistica italiana negli anni della formazione di Goya, in modo da capire cosa potesse aver visto in particolare a Roma, e in quale misura tutto ciò lo abbia suggestionato. Un posto d’onore spetta naturalmente a Mengs che inaugura la serie con i due importanti ritratti di Maria Luisa di Parma principessa delle Asturie e del marito Carlos di Borbone, destinato al trono di Spagna con il nome di Carlo IV, l’uno proveniente dal Prado e l’altro dalla Galleria Nazionale di Parma. La nuova profondità psicologica introdotta da colui che può ritenersi uno dei grandi padri del ritratto moderno sarà rivelatrice per Goya che avrà infinite occasioni per ammirarne gli innumerevoli ritratti, i suoi migliori, eseguiti per la corte di Madrid. Ma non mancano poi le testimonianze di Pier Leone Ghezzi, Marco Benefial, il già ricordato Giaquinto, Giuseppe Bonito, Gaspare Traversi, Giuseppe Baldrighi, Pompeo Batoni, Johann Zoffany, Anglica Kauffman, a costituire un suggestivo, quanto appropriato, prologo alla strepitosa serie dei capolavori, tra i ritratti più celebri di Goya inviati dal Prado, dagli Uffizi, dalla National Gallery di Washington per fare degna cornice al grande inquietante dipinto acquistato da Magnani. Chiude la rassegna una quinta sezione dedicata alla grafica, ancora una volta all’insegna del confronto, per rendere più evidente quanto, anche in questo settore, l’opera di Goya sia stata davvero rivoluzionaria. Vengono presentati integralmente i Caprichos, incursione visionaria nei lati più oscuri dell’umana esistenza, realizzati con una tecnica che sembra plasmare la materia di cui sono fatti i sogni, o meglio gli incubi, e la cui sconvolgente modernità risulta ancora più evidente se paragonata con la grazia melodica degli Scherzi di Fantasia di Giovan Battista Tiepolo. Fernando Mazzocca