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 2006  settembre 05 Martedì calendario

Difendeva le mogli, picchiata dai mariti. La Stampa 5 settembre 2006. Berlino. Per vent’anni ha difeso le donne turche dai soprusi in famiglia

Difendeva le mogli, picchiata dai mariti. La Stampa 5 settembre 2006. Berlino. Per vent’anni ha difeso le donne turche dai soprusi in famiglia. Vent’anni di lotte, di minacce, di paure. Ieri ha gettato la spugna: ha chiuso il suo studio di avvocatessa a Berlino, staccato la videocamera davanti alla porta, smistato le ultime cause alle colleghe, restituito la tessera all’Ordine. Al telefono risponde una voce registrata: «L’ufficio di Seyran Ates ha chiuso l’attività. Vi ringraziamo per la vostra comprensione». Sul sito web c’è un piccolo comunicato: «Intorno a me c’è un clima di intimidazione pesantissimo. L’ultimo episodio mi ha dimostrato ancora una volta quanto sia pericoloso il mio lavoro e quanto debole la mia tutela personale». Nelle settimane scorse Seyran Ates era stata aggredita in tribunale dal marito della cliente che aveva appena difeso nella causa di divorzio. L’uomo si era avvicinato alle due donne, aveva pestato la moglie, poi le aveva seguite sin dentro la metropolitana: nessuno era intervenuto a proteggerle dai pugni e dai calci. E nessuno ha dato seguito alla denuncia per violenza: l’uomo è ancora a piede libero. Come nessuno ha mai accolto la richiesta di una scorta, fatta nel 2005 dopo un violento attacco da parte del quotidiano turco Hurryet, sotto il titolo: «Quell’avvocatessa è diventata matta». Aveva osato dire in una intervista che le ragazze turche erano obbligate al sesso anale perché è il metodo migliore per non restare incinte e che le donne musulmane sono le schiave nel mercato dei matrimoni. La polizia le rispose che, in base ai suoi accertamenti, il grado di minaccia non era alto e che senza un attacco concreto non era possibile intervenire. Nessun appoggio le è mai venuto neppure dalla Spd. « il mio partito - ha detto Ates - ma ha una politica dell’emigrazione che minimizza i problemi. Coltiva l’idea di una società multiculturale, ma non ha mai guardato dentro le case. Chiede ai cittadini più coraggio civile, ma non tutela chi questo coraggio lo dimostra in pubblico». Seyran Ates oggi ha 43 anni e una bambina di due. per lei che ha chiuso lo studio. «Ritirarmi è stata una decisione molto difficile. Ma la vita mia e quella della mia piccola contano più di tutto», ha dichiarato alla «Bild». Solo da poco ha lasciato crescere i capelli, che aveva sempre portato cortissimi. Li tagliò per rabbia a 17 anni, appena scappata di casa: erano lunghi e scoperti, e un uomo l’aveva aggredita per questo. Li conservò corti prima per paura - non voleva essere riconosciuta come turca per strada - poi per dolore: se sfioravano la spalla, aveva male. A 22 anni quando, ancora studentessa, lavorava a uno sportello di consulenza per donne turche, un uomo aveva sparato a lei e alla giovane che era venuta a farsi tradurre una lettera. Quella morì, lei sopravvisse a una pallottola entrata nel collo. L’uomo faceva parte dell’associazione di estrema destra «Lupi grigi», fu processato, sei testimoni confermarono l’agguato ma fu assolto per errori di indagine. Seguirono anni di dolore e depressione, ma Seyran Ates tirò dritta fino alla laurea. Aveva sempre mostrato carattere. Era arrivata in Germania a sei anni da Istanbul, con i genitori «gastarbeiter» e quattro fratelli. Imparava bene il tedesco, capiva anche quello della burocrazia, a 15 anni decise di studiare legge: «Troppe donne accettano le ingiustizie solo perché non conoscono i loro diritti». A 17 anni trova il coraggio - e gli aiuti - per scappare: per la famiglia uno scandalo, per lei il primo passo verso la libertà di gestire da sola il suo futuro. Studia legge, si batte per i diritti delle donne turche, si permette di amare chi vuole e per il tempo le garba. Entra nello studio di un avvocato amico, impara rapidamente il mestiere, si guadagna la stima nella comunità turca. A 35 anni è pronta per il salto: mettersi in proprio. Durerà appena otto anni: la aggrediscono più volte, per strada e nelle aule dei tribunali. Lei resiste perché crede nella sua missione. Solo la nascita della figlia la induce a cedere: «Prima ero sola, adesso non più». Ha preso posizione contro i matrimoni forzati e i delitti d’onore, s’è battuta contro l’obbligo di portare il velo e contro i politici che vedono il dominio sulle donne come parte di un’altra cultura che va rispettata perché così vuole il «politicamente corretto». Nel 2005 viene eletta «Donna tedesca dell’anno», è la più celebre avvocatessa di origine turca della Germania. Adesso che ha chiuso lo studio ad avere paura sono le colleghe che hanno accettato i suoi dossier. Marina Verna