La Repubblica 03/09/2006, pag.44-45 Leonetta Bentivoglio, 3 settembre 2006
Dmitrij S<caron>ostakovic. La Repubblica 3 settembre 2006. Parigi. Genio libero o schiavo dei potenti? Musicista asservito o dissidente tormentato? Non c´è fine al dilemma posto dalla figura del compositore russo Dmitrij S<caron>ostakovic, generoso di talento tragico e comico, eccelso nel coniugare l´impeto innovativo e un´amabilità rara in un´epoca di avanguardie criptiche
Dmitrij S<caron>ostakovic. La Repubblica 3 settembre 2006. Parigi. Genio libero o schiavo dei potenti? Musicista asservito o dissidente tormentato? Non c´è fine al dilemma posto dalla figura del compositore russo Dmitrij S<caron>ostakovic, generoso di talento tragico e comico, eccelso nel coniugare l´impeto innovativo e un´amabilità rara in un´epoca di avanguardie criptiche. Artefice di una musica che racconta, seduce, flirta col jazz, esprime dramma, passioni, violenza, accoglie sentimenti dai colori vividi e diventa teatro, cinema e balletto. Musica che in seguito avrebbe invaso spot e documentari, ispirato colonne sonore scritte da Rota per Fellini, partecipato ai soundtrack dei film di Stanley Kubrick. Musica del nostro tempo, cruda e vitale, ora introversa ed enigmatica, ora enfatica e (ironicamente?) celebrativa. Con irrisione ed amarezza, S<caron>ostakovic era sempre dentro la storia. Per questo il suo rapporto controverso col potere si rispecchiò nella sua ricca produzione musicale (circa 150 titoli), facendone il musicista che più di ogni altro, nel Novecento, ha dovuto fare i conti con le ingerenze e i ricatti della politica. Si festeggia in questi giorni il centenario della sua nascita, e il dibattito continua, s´accende, si propaga, si riversa in saggi, biografie ed epistolari. Nato il 25 settembre del 1906, durante il regno di Nicola II, e morto nel 1975, nell´era di Breznev, S<caron>ostakovic attraversò il periodo più violento di cambiamenti della sua Russia. Eroe culturale dopo la Rivoluzione d´Ottobre, fiore all´occhiello della nuova Unione Sovietica, fu perseguitato e sospetto negli anni in cui Stalin impose il realismo come sola estetica. Accettò compromessi, subì censure in quanto "formalista", si sottopose all´umiliazione dell´autocritica. Restò artista "ufficiale" lottando per la sua sopravvivenza fisica, oltre che creativa. Oggi non si smette di discutere sull´ambivalenza dei suoi comportamenti, sulla sincerità o la finzione del suo appoggio al tiranno, sulla trama di messaggi celati nella sua musica. S<caron>ostakovic fu un campione nell´esprimersi contro i suoi aguzzini. Come simbolo del proprio io usava nelle partiture un tema ricavato dalle prime lettere del suo nome (DSCH, ovvero D. Schostakowitsch, scritto alla tedesca, dove ogni lettera corrisponde a una nota musicale) quando il motivo era distorto rappresentava la sua falsa identità, quella costruita dalla propaganda sovietica. In modo analogo aveva sviluppato un codice nascosto nelle note per rappresentare il Popolo e Stalin. Era pieno di tic, nevrosi e fobie. Terrorizzato dalle divise, preda costante dell´insonnia, torturato da mille mali, gli occhi come puntini ardenti dietro gli occhiali spessi. Chi era "davvero" non sarà mai dato di saperlo. Ma una testimonianza può fornirla sua moglie, Irina Antonovna Supinskaja, depositaria della sua immensa eredità musicale. «Di lui s´è detto tutto e il contrario di tutto», dichiara la signora nella sua casa di Parigi, uno dei suoi due domicili insieme a quello di Mosca. «Si è scritto tanto ma si è capito poco della persona, del suo humour formidabile, della sua straordinaria cultura letteraria, delle sue motivazioni: non la celebrità, ma la capacità di riflettere lo spirito e i sentimenti collettivi. Era consapevole del suo talento e sapeva che la sua opera doveva essere un dono per gli altri. E infatti in tanti hanno riconosciuto nella sua musica l´espressione delle proprie gioie e sofferenze. La sua opera è molto più vasta e profonda rispetto al quadro limitato da prospettive politiche e ideologiche in cui si tende a porla». Irina S<caron>ostakovic parla in russo, per comunicare con lei è necessaria un´interprete. Il tono della voce è duro e ha lampi di fierezza nello sguardo. Il volto impenetrabile esprime determinazione e riserbo. La sua vicenda personale può spiegare quest´apparenza secca e schiva. Originaria come il marito di Leningrado, perse da bambina entrambi i genitori. La madre era invisa al regime in quanto ebrea, e il padre, polacco, morì fra i milioni di vittime del terrore staliniano. Irina fu fatta crescere in un orfanotrofio "speciale", riservato ai figli dei "nemici del popolo". Sposò S<caron>ostakovic, più anziano di lei di quasi un trentennio, nel 1962, quando aveva 27 anni. Per Dmitrij era la terza moglie: dopo la morte (nel ”54) di Nina Varzar, madre dei suoi due figli Galina e Maksim, aveva contratto un secondo matrimonio frettoloso e infelice, durato meno di tre anni. Poi arrivò l´incontro con Irina, che nelle lettere agli amici il compositore definiva «meravigliosa, intelligente, allegra, semplice e simpatica». Racconta oggi la signora: «Ero redattrice letteraria in una casa di edizioni musicali e lo vedevo spesso al consiglio di redazione. Non pensavo che sarei diventata sua moglie, ma ora so che fu un incontro di destino. Prima di sposarci ci frequentammo per cinque anni». In seguito gli si sarebbe votata con dedizione, assistendolo nell´ultimo, difficile periodo, pieno di malattie e ricoveri, e curandone il lascito dopo la scomparsa: «Mi occupo dei suoi archivi e gestisco i diritti d´autore. A Mosca coordino un centro d´informazione su S<caron>ostakovic e c´è un altro archivio qui a Parigi. Cataloghiamo i materiali, scannerizziamo i manoscritti, affittiamo le partiture alle orchestre. Stiamo pubblicando tutte le opere musicali, 150 volumi. Ci sono composizioni inedite, come la prima versione dell´opera del ”34 Lady Macbeth del distretto di Mcensk, che provocò un brutale anatema da parte della Pravda. Ci sono anche musiche scritte per il cinema, lavori rimasti incompiuti e i balletti di S<caron>ostakovic che vennero tolti dal repertorio dopo un altro articolo della Pravda intitolato Una falsificazione del balletto. Come lavorava S<caron>ostakovic? «Scrivere era per lui un´urgenza, un bisogno esistenziale. Era velocissimo e concepiva ogni opera in testa: la pensava tutta, fino alla fine, e cominciava a metterla su carta solo quando aveva terminato di idearla». A differenza di musicisti come Stravinskij e Prokofiev, S<caron>ostakovic non volle mai lasciare la Russia «perché era profondamente attaccato alla sua terra», riferisce Irina, «e perché ci teneva troppo alla sua famiglia per emigrare. Se fosse partito i familiari avrebbero dovuto restare in patria e il governo li avrebbe considerati ostaggi. Ma la cultura occidentale lo interessava molto. Fu amico di Britten, a cui dedicò la sua Quattordicesima Sinfonia, e ammirava il Wozzeck di Alban Berg, da cui fu influenzato nella composizione dell´opera Lady Macbeth». S<caron>ostakovic fu afflitto da svariate e strane malattie. Pare che i suoi mali fossero di origine psicosomatica. «Non è vero», si oppone Irina. «In realtà soffriva di una sorta di poliomielite la cui progressione era lenta e inesorabile. Con gli anni il braccio destro s´indebolì moltissimo, ma continuò a usare la mano per scrivere fino alla fine. Però non poteva più suonare il pianoforte, il che lo addolorava molto». Quanto agli interpreti della sua musica, prosegue la signora, «trovava inascoltabile Toscanini, soprattutto nell´esecuzione della sua Settima Sinfonia. Il direttore che stimava di più era Mravrinskij. Il giovane Karajan, studiando la sua Seconda Sinfonia, gli chiese quale esecuzione avrebbe dovuto prendere a modello, e lui gli segnalò quella di Mravrinskij. Tra gli altri musicisti che gli stavano più a cuore, e ai quali affidò alcune sue prime esecuzioni, ci sono Ojstrach, Rostropovich, Richter, Galina Visnevskaja e Gilels». E tra gli interpreti odierni della sua musica, Irina dice di apprezzare soprattutto, oltre all´amico di sempre Rostropovich, «Haitink, Muti, Gergiev, Pletnev e Jurowski». Nella lunga notte della libertà espressiva in Russia, S<caron>ostakovic ebbe gesti di ossequio al regime considerati non sufficienti in patria e servili in Occidente. L´inizio della revisione giunse con il libro di Solomon Volkov Testimony, pubblicato a New York nel ”79 e presentato dall´autore come un collage di confidenze del compositore, che vi emergeva come acceso dissidente al di là della maschera. L´impatto fu decisivo per lo svelamento di un "nuovo" S<caron>ostakovic. Due anni fa, negli Stati Uniti, è uscito un altro libro di Volkov, Shostakovich and Stalin: the extraordinary relationship between the great composer and the brutal dictator, che uscirà alla fine di questo mese anche in Italia, edito da Garzanti. Irina ritiene Volkov niente di più di un astuto falsario: «Le sue sono solo riflessioni personali», afferma sferzante. «Volkov lasciò la Russia trent´anni fa, non conosce gli archivi, non ha mai visto le partiture né i manoscritti e ha fatto della politicizzazione della vita di mio marito il suo pane quotidiano, agganciandosi a festival e teatri in tutto il mondo in veste di sedicente "esperto". Non a caso Testimony, pieno di imprecisioni, è stato pubblicato ovunque tranne che in Russia, dove Volkov sa che in molti sanno tanto più di lui su S<caron>ostakovic, del quale ha osato dichiararsi confidente e segretario, e questa è una menzogna che mi indigna. Si incontrarono solo tre volte per una serie di interviste sulla vita musicale di Leningrado nell´anteguerra, destinate a essere pubblicate sulla rivista Musica Sovietica. Poi, quando emigrò, Volkov fece ricerche su S<caron>ostakovic e intervistò le persone che lo avevano conosciuto. I suoi libri sono un misto di tutto questo. D´altra parte, devo ammetterlo, Testimony ha aperto una breccia importante rispetto all´immagine, completamente falsa, di S<caron>ostakovic come mero "compositore di regime"». Leonetta Bentivoglio