La Repubblica 03/09/2006, Pier Paolo Pasolini, 3 settembre 2006
Perché faccio cinema Se io credessi che il mio cinema fosse del tutto integrato da una società che vuole anche il tipo di cinema che faccio io, allora forse non lo farei
Perché faccio cinema Se io credessi che il mio cinema fosse del tutto integrato da una società che vuole anche il tipo di cinema che faccio io, allora forse non lo farei. [...] La società borghese digerisce tutto: amalgama, assimila e digerisce tutto. Però, in ogni opera in cui l´individualità, la singolarità si afferma con originalità e violenza, c´è qualcosa di inintegrabile. [...] Ho questa fiducia nella libertà umana, che non saprei rendere razionale. Però mi rendo conto che, se le cose continuano così, l´uomo si meccanizzerà, si alienerà talmente, diventerà così antipatico e odioso che questa libertà andrà completamente perduta. Continuerei a fare cinema lo stesso anche se la libertà fosse solo da parte mia e si esaurisse con l´espressione. Continuerei a farlo lo stesso perché ho bisogno di farlo. Mi piace farlo e lo farei. O mi suicido o lo faccio. [...] Io penso che l´artista in nessuna società è libero. Essendo schiacciato dalla normalità e dalla media di qualsiasi società dove egli viva, l´artista è una contestazione vivente. Rappresenta sempre l´altro di quell´idea che ogni uomo in ogni società ha di se stesso. Un margine anche minimo, magari non lo si può neanche misurare, di libertà, secondo me, c´è sempre. Non so dirti fino a che punto questa sia libertà o non lo sia. Ma, certo, qualcosa sfugge alla logica matematica della cultura di massa, ancora per adesso. Pier Paolo Pasolini