La Repubblica 03/09/2006, pag.31-33 Giuseppe Videtti, 3 settembre 2006
Ultimo tango. Buenos Aires. «Vede tutti questi garofani? Ogni sera li togliamo, chiudiamo i cancelli, e la mattina ce ne sono altrettanti, perfettamente allineati intorno a lui», sbotta il guardiano
Ultimo tango. Buenos Aires. «Vede tutti questi garofani? Ogni sera li togliamo, chiudiamo i cancelli, e la mattina ce ne sono altrettanti, perfettamente allineati intorno a lui», sbotta il guardiano. Lui sta lì immobile da settantuno anni, una statua di bronzo ad altezza naturale, giacca, panciotto, cravattino, e l´eterna sigaretta che qualcuno gli lascia accesa tra le dita, arrampicandosi fin lassù dai gradoni coperti di fiori, in quell´angolo di cimitero foderato da ex voto come la cappella di un santo. La tomba di Carlos Gardel, Valentino delle milonghe, profuma di santità: la processione continua di visitatori, i bigliettini infilati in ogni pertugio, le targhe che foderano i marmi. «Grazie Carlos per il tuo aiuto. Famiglia Torres Rosario»; «grazie per il favore che ci hai concesso. Angelica y Alicia»; «grazie, ho avuto quel che ti ho chiesto. Margarita»; il ricordo degli amici del tango di Porto Rico, Colombia, Cile, Bolivia, Messico, Perù, Ecuador, Uruguay; l´omaggio di città lontane in cui il tango ha sviluppato una tradizione, Parigi, Helsinki, Istanbul, Tokyo. Il cimitero della Chacarita, a Buenos Aires, custodisce la memoria del tango: Carlos Gardel (attore e cantante, iniziatore dell´epoca d´oro, ucciso e consegnato alla leggenda da un incidente aereo durante una trionfale tournée sudamericana, a Medellin, in Colombia, il 24 giugno del 1935, a quarantacinque anni), ma anche i grandi nomi che dagli anni Quaranta fino al periodo buio della dittatura hanno trasformato un folk accattivante e morboso nato nei quartieri degli immigrati nel primo e più raffinato esempio di musica globale: Aníbal "Pichuco" Troilo, Carlos Di Sarli, Osvaldo Pugliese. Non c´è tomba che non porti i segni della devozione popolare, anche in un giorno di agosto, inverno pieno a Buenos Aires, in cui la pioggia insistente scoraggerebbe chiunque dall´avventurarsi a piedi in un cimitero sconfinato. Tra i nomi dei grandi, manca quello di Astor Piazzolla, il bandoneonista che ha rivoluzionato il tango e lo ha traghettato in una nuova era. Ci riuscì manifestando tutti i sintomi del genio, a costo di diventare antipatico, di sembrare folle, irrispettoso, ribelle. «Qui Piazzolla non c´entra nulla», dicono in coro una signora e sua figlia, strette nei poveri golfini infeltriti, i capelli neri in crescita sotto la tintura bionda, un enorme mazzo di fiori pronto a essere depositato davanti alla lapide di Troilo (1914-1975), el Gordo. «Non so dove sia sepolto, ma loro», dice la madre indicando le tombe tutt´intorno, «non lo avrebbero voluto qui, non faceva parte della famiglia. Provate laggiù, al Pantéon Sadaic», dove ci sono i grandi autori e compositori argentini. Ma anche lì dentro il maestro non gode di troppe simpatie. «Piazzolla non ha tomba, sua moglie lo ha fatto cremare e ha sparso le ceneri», borbotta sbrigativo un operaio addetto alla manutenzione, mentre sistema i messaggi delle ammiratrici depositati intorno alla lapide di Roberto Goyeneche (1926-1994), el Polaco che incantò legioni di femmine. Potrà suonare anacronistico, ma la Buenos Aires del nuovo millennio ribolle di tango, e non sembra affatto una capitale d´altri tempi. La crisi economica del 2001 non ha affievolito l´entusiasmo, ha scatenato la voglia di recuperare l´antica grandeur. Siamo andati con l´idea di cercare tesori sepolti nella polvere dei vecchi quartieri, invece seguendo i passi del tango abbiamo scoperto una Buenos Aires effervescente e dinamica, tutt´altro che vinta. Ora che sono a loro volta "intrappolati" in antiche note, i giovani rammentano quel che dicevano i vecchi quando anche in Argentina il rock sembrava la risposta a ogni domanda: «Il tango ti aspetta, non ha fretta. Puoi incontrarlo e non riconoscerlo, tanto prima o poi gli cadi tra le braccia». C´è ancora chi va predicando che il giorno in cui nascerà il nuovo Gardel un manto di neve ricoprirà la città. Ma anche quest´anno l´inverno porta solo pioggia, e intanto i ragazzi riscoprono la milonga, prendono lezioni di ballo nel loft del fascinoso coreografo Roberto Herrera, nel quartiere di Monserrat, e ai ritrovi della new economy preferiscono i locali tipici. L´altro giorno sono scesi in piazza per protestare contro la chiusura del Club del Vino, un locale che a Buenos Aires stava al nuevo tango come il Blue Note di New York al jazz: affollatissimo concerto all´addiaccio con la partecipazione dell´Orquesta El Arranque, che festeggia dieci anni di attività ed è nel ricco cartellone del Festival Buenos Aires Tango che si terrà per due settimane, dal 12 al 24 settembre, all´Auditorium Parco della Musica di Roma. Nella Casa del Tango (Guardia Vieja 4049, quartiere di Almagro), dove gli artisti provano nuove musiche e coreografie, si dibatte su una cultura centenaria con la stessa urgenza con cui i futuristi mettevano a punto il loro manifesto. La parola chiave è inquietud, inquietudine, ma anche curiosità in spagnolo, «curiosità di scoprire, perché molto della tecnica del tango è legato alla tradizione orale», dice il geniale violinista Ramiro Gallo, che ha appreso il verbo da uno dei pochi guardiani del tempio ancora in vita, Emilio Balcarce, ottantotto anni, già arrangiatore nelle orchestre di Alfredo Gobbi, Troilo e Pugliese. «Il tango è capriccioso», spiega Balcarce con la verve di un trentenne, «nessuna partitura può raccontarne la passione». «Le nuove formazioni - dice Balcarce - El Arranque, ma anche l´eccellente Vale Tango, stanno recuperando la stessa inquietud di Pugliese, che dedicò l´intera carriera alla definizione di un nuovo tango urbano». Carlos Villalba di Tangovia, associazione che organizza festival in tutto il mondo, racconta che il pianista è diventato una sorta di divinità per i giovani artisti. «Tutti hanno in tasca la sua immagine», dice, estraendo dal portafogli un "santino" con su scritto «San Pugliese-Protettore dei musicisti». Sul retro, una preghiera, «pare l´abbia composta un famoso poeta». Nelida Rouchetto, settant´anni, è la vestale della Casa del Tango; «senza la sua premura e la sua dedizione non riuscirebbe a restare aperta», dicono gli artisti di questo personaggio tra Piaf e Valentina Cortese. Un intervento alle corde vocali le ha rubato quasi tutta la voce, ma le resta la mimica straordinaria per raccontare di quando nel ”95 tutta Buenos Aires venne qui alla Casa a dire addio a Pugliese. Come fa cento volte al giorno, Nelida osserva spiritata i ritratti in bianco e nero appesi nella galleria, per ognuno ha una parola, di ognuno accarezza con lo sguardo i contorni, si ferma davanti al suo Edmundo Rivero (1911-1986): «Il più grande, il più erudito cantante porteño (cioè di Buenos Aires, ndr). La forza del tango sta tutta lì: aggredire con la parola forte, accarezzare con quella tenera. Lui, come Gardel, ne ha fatto un´arte», dice Nelida con la voce strozzata. «La milonga (la sala dove si balla il tango, ndr) cuoce a fuoco lento. All´inizio è fresca, gli abiti appena stirati, il trucco e i capelli perfetti. Due ore dopo è un posto in ebollizione. Una mania, un´infatuazione, una passione, cos´è la milonga? un´abitudine, una droga, ma anche una cura», scrive Sonia Abadi, psicoterapeuta, che al rito della milonga ha dedicato il libro El bazar de los abrazos (Ed. Lumière 2003). Ce ne sono per tutti i gusti a Buenos Aires, hollywoodiane per turisti con viaggio formula all inclusive, e autentiche, dove si officia rigorosamente il rito più affascinante e sensuale mai legato a un ballo. El Beso (Riobamba 416) è il posto ideale per prendere confidenza con il popolo che ha un´attitudine per il tango: un locale rettangolare al primo piano, basso, con seggiole allineate tutt´intorno; uomini e donne sistemati di fronte, le coppie da un lato, quelli che non ballano dall´altro; sui tavoli solo acqua, caffè, al massimo una birra, perché il tango è esigente, richiede concentrazione; il repertorio rigorosamente orquestas tipicas anni Quaranta. Le danze si aprono verso le dieci e mezzo di sera, dopo le lezioni. Le ragazze e le signore si cambiano frettolosamente le scarpe da passeggio con quelle da ballo acquistate in una delle dozzine di tango shop sparsi per la città, sfoggiano abiti leggeri con scollature profonde sulla schiena; gli uomini elaborano la strategia della serata fingendo indifferenza. Nel momento in cui la musica si diffonde nell´aria, la milonga diventa preda di una complessa rete di codici misteriosi che ne regolano ogni minimo movimento, dall´invito, all´abbraccio (con lei che cinge il collo di lui come se fosse da sempre e per sempre l´uomo della sua vita, invece è uno che vede per la prima volta e che forse non vedrà mai più), al bacino e alle gambe che si svitano dal dorso immobile per iniziare solennemente i primo movimenti. Mai una parola durante il ballo, le lingue si sciolgono solo quando ci si libera dall´abbraccio, tra un brano e l´altro. Tutto fa pensare a un rigido rituale di corteggiamento pronto a esplodere in gesti meno misurati e più carnali, ma dopo quattro tanghi brevissimi, irrompe un sound alieno (uno swing, un rock´n´roll) e le coppie tornano a sedersi; forse non si riprenderanno più, forse faranno insieme le ore piccole. Tutte le donne concordano su un fatto: anche il più brutto degli uomini diventa desiderabile se balla da dio. L´atmosfera è meno solenne, ma ugualmente suggestiva, durante i mercoledì sera della Marsháll (Maipù 444), la prima milonga gay, l´ultimo fenomeno delle notti porteñe. Durante la lezione sembra di stare sul set della Cage aux folles, ma quando le luci si abbassano e ballerini provetti cominciano a popolare la pista, anche la milonga transgender non tradisce l´etichetta. «L´intenzione era quella di creare una sala da ballo per coppie dove il conductor e il conducito fossero dello stesso sesso», spiega Augusto Balizano, maestro di tango e fondatore della Marsháll insieme alla socia Roxana Gargano, «invece è diventata una sala in cui tutti si sentono a proprio agio, anche gli etero, con una musica che va dall´orquesta tipica al tango elettronico dei Gotan Project». Balizano si ferma a guardare incantato una giovane coppia: «Perfetti» esclama. Si scoprirà poi che sono due ragazzi di Siracusa di diciannove anni: Luana e Simone Forte, maestro di tango. «Ballo da quando avevo nove anni, sono venuto qui con mio fratello, che ha partecipato al Campionato mondiale (Claudio Forte e Barbara Carpino sono arrivati in finale), e ai miei alunni», dice indicando un gruppetto di allegri cinquantenni titubanti ai bordi della pista. «La Marsháll ha appena inaugurato il 1° Campeonato de Baile de Tango senza distinzione di sesso e di ruoli che si protrarrà per tutto il mese di settembre», conclude fiero Balizano. Nelle case di musica si suona anche fuori orario. Lidia Borda propone un´avvincente forma di tango cabaret al Clasica y Moderna (Callao 892), ristorante, libreria e sala da concerto. Ad applaudirla c´è anche la vecchia cantante Amelita Baltar, musa di Piazzolla nei primi anni Settanta. Al Notorious (Callao 966), il più rinomato jazz club di Buenos Aires, il tango accompagna il brunch domenicale. Sono di scena Ariel Ardit, interprete di gran temperamento dall´impostazione classica, e il trio Aureliano Tango Club guidato dal carismatico Aureliano Marin, cantante e contrabbassista che crea un´affascinante fusione con il jazz e spesso, inconsapevolmente, si avvicina allo spirito di Paolo Conte. «Non lo conosco», dice Marin, ma quando si tratta di elencare la trinità del tango, non ha esitazione: «Goyeneche-Troilo-Rivero». Tanto tango, ovunque, ma pochi riferimenti diretti a Piazzolla: non meraviglia che nessuno sappia dov´è la sua tomba. Su un sito internet si fa menzione di un posto chiamato Jardin de Paz, ma nessuna foto online. un cimitero privato fuori città, località Ramal a Pilar, sulla Ruta Panamericana, tra grandi ville e campi da golf. Lo pubblicizzano con lo slogan «El ritorno a la naturaleza», una sepoltura a terra costa cinquemila dollari (un´enormità in un paese dove con cinquantamila si acquista un appartamento). Al telefono sono categorici: qui non c´è sepolto nessuno che risponda a quel nome. Di persona, la direttrice, severa nel suo gessato di taglio maschile, insiste: «Lavoro qui da venticinque anni, se Piazzolla fosse nostro ospite lo saprei, non crede?». Ma poi incomincia a sfogliare il voluminoso registro e quel nome spunta fuori. Finge stupore, poi ammette: « per volere della famiglia, non vogliono visitatori». La lapide si mimetizza tra l´erba, come tutte le altre, nella sezione numero quattro, intitolata al salice piangente, confinante con acacia, violetta e grevillea. Sembra la sala d´attesa del paradiso, primavera anche d´inverno tanto le aiuole perfettamente disegnate nello smeraldo del prato traboccano di fiori. Molti i visitatori al Jardin de Paz, nessuno sulla tomba dell´artista che col tango ha vestito il mondo di passione e inquietud. L´iscrizione sulla pietra è semplice: Astor Pantaleon Piazzolla 12.3.1921-4.7.1992. La direttrice la osserva come si guarda un bimbo nella culla, poi si allontana mormorando un saluto all´indirizzo dell´ospite più illustre del suo giardino, «Adiós nonino». Giuseppe Videtti