La Repubblica 01/09/2006, pag.50-51 Curzio Maltese, 1 settembre 2006
L’armata Monicelli. La Repubblica 1 settembre 2006. Una volta hai detto che il cinema lo facevano quelli che non riuscivano a diventare romanzieri
L’armata Monicelli. La Repubblica 1 settembre 2006. Una volta hai detto che il cinema lo facevano quelli che non riuscivano a diventare romanzieri... «Perché io volevo essere un romanziere. Mi piaceva Flaubert, avrei voluto scrivere come Dostoevskij. Mi sono accorto però abbastanza rapidamente - perché non sono del tutto stupido - che era meglio abbandonare questa ambizione. E ho ripiegato sul cinema, che comunque mi piaceva. Mi interessava entrare nel mondo che vedevo da ragazzino. Sono del ”15, e perciò vedevo il cinema muto, sono stato educato con quel cinema lì». Anche Fellini, quando gli chiedevano dei film che l´avevano più influenzato, citava Maciste. Nei fatti però il cinema diventa l´arte dominante e l´Italia gioca una parte straordinaria. A mettere in fila i titoli del cinema italiano dal ”46 alla fine degli anni Sessanta c´è da perdere la testa. Ogni anno una raffica di capolavori. Ci sono stati film, e tra questi i tuoi, che hanno addirittura inventato dei generi che prima non esistevano, e che poi sono stati copiati in tutto il mondo. Da I soliti ignoti all´Armata Brancaleone, chi aveva mai pensato di costruire un film su una banda di disgraziati in cerca di fortuna? Il road movie passa per un genere americano ma nasce da Il sorpasso di Dino Risi. I vitelloni di Fellini viene rifatto ogni dieci anni in Italia, da Moretti a Muccino, e non solo da noi. La dolce vita inaugura un genere di film senza plot, apre la strada a tutti gli Altman che verranno dopo. Come si spiega questa stagione di creatività e coraggio in un paese in genere tradizionalista, al traino di mode e culture straniere? «Tutto nasce dal neorealismo. una rivoluzione culturale vera. Con il neorealismo l´Italia si è trasformata nel paese faro della cultura, una specie di terra promessa. Pensa a Rossellini che va negli Stati Uniti e ne ritorna portandosi via la loro stella, Ingrid Bergman. Noi che lavoravamo nel cinema eravamo esaltati dal successo che aveva l´Italia. Eravamo un gruppo di trenta o forse quaranta fra autori, sceneggiatori e qualche attore. L´importanza che si dava al nostro cinema ci stupiva, ma eravamo anche divertiti, lusingati e ben contenti di questo fatto». A parte il cinema, quello è stato un periodo straordinario anche nella pittura, nell´architettura, nel design. L´Italia si trasforma da nazione museo, custode di bellezza antica, a fabbrica di bellezza contemporanea. «E vorrei aggiungere che è anche stato il momento più onesto che abbia vissuto l´Italia. Tutti erano felici di dover ricostruire, e di dover lavorare per questo. Poi, non so come, questo spirito si è perso. Forse si è perso con l´industrializzazione, con il boom, quando è cominciata la maledizione della Fiat. Insomma, da quei quattro o cinque anni meravigliosi è scaturita di nuovo un´Italia di perdenti». Sì, ma perdenti non poetici, cattivi, furbi. Negli anni del boom l´italiano è un eroe del fare, l´italiano furbo verrà inventato più tardi. Sono i truffatori di Il bidone di Fellini, il Gassman del Sorpasso che è un perdente mascherato da vincitore. «Il furbo italiano è contento di essere un truffatore e si vanta di esserlo. In qualche modo riesce ad essere anche una figura simpatica, come può però essere simpatico Sordi. Ma accade soltanto in Italia, attenzione. L´italiano di Sordi ha un fondo repellente. Non a caso all´estero non riescono a capire come Sordi possa essere un attore a cui gli italiani danno tanta importanza. A loro non fa ridere. Fa orrore». Sordi si è rivelato fino in fondo in Un borghese piccolo piccolo, o anche in Il Marchese del Grillo, ovvero in personaggi orrendi, autentici mostri. Ma anche quello di Il vedovo, che dice al fattore: «Mi raccomando, fammeli lavorà ”sti bambini», come fa a essere simpatico? «Perché nel fondo l´italiano è un mostro. un furbetto che può anche uccidere se qualcuno in un certo momento gli dà uno spintone». C´è un tratto che, secondo me, rivela una difficoltà del cinema italiano contemporaneo. Gli italiani furbi dei film di allora erano più brillanti degli italiani furbi di oggi, che sono molto banali. In questo scarto c´è il passaggio dalla commedia all´italiana ai Vanzina - con tutta la simpatia per i Vanzina. Immagino che tu legga le intercettazioni. Avrai visto che parlano tutti con la stessa lingua, che sembra la lingua di Boldi e di De Sica. Parlano tutti in modo volgarissimo, sia che si tratti del mancato re o di Ricucci. «In I soliti ignoti, in Brancaleone trovi tutte storie nelle quali il miglioramento passa attraverso mezzi anomali. Brancaleone vuole addirittura conquistare un feudo! Ciò che accomuna tutti questi personaggi è che l´unica via che vedono è la prevaricazione, l´inganno, l´espediente». Come spieghi il fatto che i tuoi film sono popolari? «Sono popolari, secondo me, perché raccontano la condizione umana dei perdenti. E l´Italia è fatta di perdenti. E allora, se uno racconta questi perdenti con un certo affetto, il risultato piace, diverte. Io poi cerco di far divertire. I miei personaggi vogliono migliorare la loro condizione cercando di sfondare una cassaforte o di conquistare un feudo o di lavorare un´ora di meno, come in I compagni. E in questo falliscono sistematicamente, perché sono inadeguati all´impresa. L´inadeguatezza diverte, però fa anche pena e induce alla pietà». Gli italiani hanno anche la capacità di dividersi sempre. C´è una battuta di Brancaleone che, secondo me, raccoglie tutta la storia italiana: «Andate pur´anco voi senza meta, ma da un´altra parte». Ecco: questa è la realtà dell´alleanza elettorale, dell´Ulivo e non di meno della destra: tutto è un andare senza meta, ma ciascuno da un´altra parte. «Ognuno si crea il suo feudo, il suo partito... «. I film italiani che hanno avuto più successo, che hanno vinto degli Oscar, parlano di italiani che in realtà non esistono più. Tornatore, Salvatores, Benigni, tutti rappresentano gli italiani del dopoguerra o di prima della guerra. Sembra che gli italiani contemporanei non siano interessanti. «Sarebbero anche interessanti, sono infatti degli italiani mostruosi. Il problema però è che se uno mette in scena Berlusconi, Bondi, Cicchitto, Adornato, Fini, arriva sempre in ritardo. Quando esce il film, la realtà ha superato la parodia. La realtà oggi supera la satira. L´indignazione che vuoi produrre non basta mai. Arranchiamo dietro i fatti». Però voi avete fatto una cronaca profonda. Io faccio il giornalista ma ho capito meglio la realtà andando a vedere un film che attraverso un´inchiesta. La commedia italiana ha raccontato la corruzione di Tangentopoli molto prima che il sistema fosse scoperchiato dai magistrati. «Il cinema italiano ha sempre fatto delle metafore, anticipando forse delle cose, ma non ha mai rappresentato dei personaggi reali. Da chi lo fai interpretare Berlusconi? Il cinema italiano non ha mai rappresentato le cose per cronaca, bensì per metafora: Sordi si vendeva un occhio per sopravvivere. Queste sono le mostruosità di questo paese». In realtà Sordi si vende l´occhio come Berlusconi fonda il partito. una scelta disperata. Solo che più tardi è diventato possibile fondare un partito. Uno degli aspetti più straordinari della commedia all´italiana è l´aver descritto quel tratto tipico del fascismo che è l´inventarsi una gloria che non esiste. L´Armata Brancaleone è analoga al revisionismo italiano. Un problema italiano è quello di diventare adulti. un tema ricorrente del nostro cinema, dal Fellini dei Vitelloni a Germi e a te in Amici miei. Ora, la difficoltà a diventare adulti è profondamente legata alla struttura della famiglia italiana. «Ho fatto un film, Parenti serpenti, che era una farsa. Pur non essendo realistica, nella farsa c´è sempre una verità che va a fondo, come nella farsa di Chaplin e di Buster Keaton. Ora, la verità di quella farsa era la famiglia. Ma la colpa è delle donne. Adesso le donne, le ragazze, le signore, si lamentano che non trovano uomini. Ma questi uomini che non trovano sono quelli che loro da mamme hanno tenuto in casa, e che non vogliono far uscire. Al contrario, le figlie femmine si possono anche mandare via: e loro infatti maturano, affrontano la vita molto più degli uomini, con più coraggio e con più grinta». Io non ricordo nessun altro leader politico al mondo che abbia parlato così tanto della mamma come Berlusconi. Mamma Rosetta è presente in un discorso politico su due. Ma alla fine, perché i personaggi pubblici italiani, tutti, sono soltanto delle variazioni dei personaggi di Alberto Sordi, insomma protagonisti da commedia? «La commedia è la nostra nascita. La lingua italiana nasce dalla Commedia di Dante. E nella Commedia avviene tutto, tutto. Noi veniamo dalla commedia e la nostra vera natura è "la Commedia". La commedia continua nella Mandragola. E anche qui cose turche. Nella commedia italiana ci sono sempre turpitudini. Poi c´è la commedia dell´arte, in cui i servitori cercano di difendersi dal padrone che li vuole sopraffare e che, a loro volta, rubacchiano. La commedia all´italiana non l´abbiamo mica inventata noi del dopoguerra. Magari! Viene da lontano. La commedia all´italiana viene dalla Commedia di nostro padre Dante». Forse bisognerebbe aggiungere anche zio Goldoni. Il cinema ruba in continuazione da Goldoni, senza dirlo. Però nella commedia nobile c´era un coraggio eccezionale. Dante è uno che prende il suo papa, Bonifacio VIII, e lo sbatte all´inferno, ne parla come di un dannato. Questo nel 1300. Ora vorrei capire se fra gli eroi della satira contemporanea, sempre pronti a vantare il proprio coraggio, ce n´è uno capace di tanto con Ratzinger. «Prima o poi arriverà, e forse torneremo a divertirci col cinema». Curzio Maltese