La Stampa 01/09/2006, pag.29 Michela Tamburrino, 1 settembre 2006
Sozzani: il Diavolo? Veste davvero Prada e io lo conosco bene. La Stampa 1 settembre 2006. Venezia. Per tutti lei è la direttora
Sozzani: il Diavolo? Veste davvero Prada e io lo conosco bene. La Stampa 1 settembre 2006. Venezia. Per tutti lei è la direttora. Temuta, amata, invidiata e anche odiata. E’ la regina della moda, una sua parola significa la fortuna o il disastro di uno stilista, un fotografo, un giornalista. Ha le sue manie, le sue priorità ineludibili. Ma non è Anna Wintour, di cui peraltro è amica, e non è neppure la trasposizione luciferina che ne ha fatto Lauren Weinsberger nel best seller Il diavolo veste Prada. In realtà è molto più reale, è Franca Sozzani direttrice e anima pulsante d Vogue Italia che qui a Venezia non ci è venuta per vedere il film interpretato da Meryl Streep, ma per godersi due giorni di Festival e qualche film di diverso spessore. Signora Sozzani, nel libro si narrano le gesta, sotto pseudonimo, della sua collega direttrice di Vogue America. Un’ossessa senza cuore che tiranneggia le dipendenti. Ma siete veramente così terribili? «Guardi, il libro l’ho letto ma neanche tutto, mi ha stancato prima. Questo perché, come Altman in Prêt à porter, la scrittrice prende solo il lato esasperato del nostro lavoro facendoci diventare macchiette. Invece la moda è una professione che ha proprio nel glamour la parte meno interessante a scapito della creatività. La verità è che, mostrando le cose come stanno, ne uscirebbe fuori il ritratto di un mestiere intelligente. E la gente vuole vedere solo superficialità». Perché nella moda si cerca il sogno. «E diamolo, il sogno, evitando però di dare il ridicolo. E’ ovvio che quando si prendono decisioni si usano toni spicci e velocità. A volte ci si arrabbia anche, ma rientra tutto nella normalità». Però la Wintour fu presa due volte a torte in faccia e non per simpatia... Ma torniamo a lei. Si favoleggia di sfuriate per cappuccini non proprio perfetti. «E’ vero, sono fissata con i cappuccini, voglio la schiuma come dico io e il latte non troppo caldo. Ma non ho mai picchiato qualcuno per questo come la Miranda Presley del libro». E la frutta non di stagione? «Ma dico, avrò ragione o no? Mangio solo quello e quando chiedo di andarmi a prendere l’uva, arrivano in estate con una mela o un’arancia. Avrò ragione di innervosirmi?». E la fissazione per le case? Magari è più dispendiosa di un cappuccino. «Non compro gioielli, non compro vestiti, non porto mai borse, non colleziono quadri. Le case mi piacciono ed è vero, ne ho parecchie, ma tante sono quelle che mi vengono accreditate e che in realtà non posseggo. A Marrakesch fui la prima a comprare nella Medina, ho acquistato case meravigliose per niente. Oggi sarebbe impensabile. In realtà, tutto quello che si è comprato in lire è stato un affare. Le confesso un’altra mania, conservo le scarpe di Manolo Blanick, sono oggetti splendidi che mi piace guardare». Di lei dicono pure che è altera e che non saluta. «Sono miope. Porto i famosi occhiali neri, sempre, non per vezzo ma per reale esigenza». Anche lei assume solo redattrici che non vestano oltre la taglia 42? «E’ successo ma c’è un perché. Io non prendo redattrici dagli altri giornali, mi piace crescerle professionalmente come dico io. Va da sé che siano giovani e le giovani sono più facilmente magre. Non è una strategia». Tra le sue passioni c’è anche quella di lanciare giovani stilisti, scoprire il talento e valorizzarlo. Chi dovrebbe dirle grazie? «Compravo Prada da cliente prima ancora che esistesse una sua collezione. E poi Helmut Lang, Marc Jacobs, Dolce e Gabbana, Anna Molinari. Ho visto crescere tanti». Lei è anche amica di Naomi Campbell «Naomi andava a prendere mio figlio a scuola e si fermava il traffico. Lei e le altre super model erano ragazze normalissime che poi sono state costrette ad assomigliare al personaggio che era stato cucito loro addosso e hanno perso l’equilibrio. Anche Kate Moss era deliziosa, con una gran voglia d’arrivare». Pensa mai al dopo Vogue? Come immagina la sua vita? «Ne parlavo proprio ieri con mio figlio. Certo che ci penso e non credo continuerei a stare nel mondo dei giornali. Mi piacerebbe fare cinema come costumista o qualcosa di simile oppure potrei lavorare nell’ambito delle case. Quando una cosa si chiude si volta pagina e si guarda oltre». Michela Tamburrino