Nova Il Sole 24 Ore 31/08/2006, pag.1 Luca De Biase, 31 agosto 2006
Questo articolo non è sponsorizzato. Ma potrebbe. Nova Il Sole 24 Ore 31 agosto 2006. La cinepresa inquadra il protagonista del film
Questo articolo non è sponsorizzato. Ma potrebbe. Nova Il Sole 24 Ore 31 agosto 2006. La cinepresa inquadra il protagonista del film. Il suo sguardo intenso vaga nel vuoto, fino a posarsi sul pacchetto di una nota marca di sigarette. Improvvisamente, l’uomo si squote e corre in strada, monta sull’ultimo modello di una nota marca di automobili e, sgommando, si allontana. Lo insegue, non vista, una donna a cavallo di un magnifico esemplare di una nota marca di motociclette... Si chiama product placement. una bizzarra forma di pubblicità che attraversa tutti i media, digitali e non, e che a quanto pare cresce a vista d’occhio. Secondo il Global Product Placement Forecast 2006, realizzato dalla Pq Media, questo mercato ha superato i 2 miliardi di dollari nel 2005 a livello mondiale, con un incremento del 42,2% rispetto all’anno precedente. E sta arrivando a 3 miliardi di dollari nel 2006, segnando un altro aumento del 38,8 per cento. Si tratta di uno strumento per finanziare film, musica, programmi televisivi che non può non interessare i produttori. L’Italia è il terzo mercato al mondo per il product placement nel cinema, dopo Stati Uniti e Francia. E non è probabilmente un caso: mentre i finanziamenti statali languono, questo tipo di entrata sostiene l’arte dei cineasti contribuendo - in modo peraltro ancora limitato - alle spese: ha infatti portato 36 milioni di dollari alle produzioni dei film italiani nel 2005. Esempi? In Cuore Sacro di Ferzan Ozpetek, ci sono prodoti Granarolo, Ferrarelle, Samsung. In Quo Vadis Baby, di Gabriele Salvatores, c’è il marchio della Tim. Nel film di Carlo Verdone, Il mio miglior nemico, si vede molto la Vodafone. Il fenomeno è destinato a crescere, a prezzo forse di qualche compromesso sulle sceneggiature. E arriverà a 7 miliardi di dollari entro il 2010, dicono sempre alla Pq Media. I nuovi media digitali non possono che essere interessati da questa innovazione. Il product placement trova un contesto favorevole nei videogiochi online, come nei corti film che si scaricano dal web e nelle offerte di musica gratuita che si trovano in rete. Certo, non si può frenare l’innovazione. Ma la cosa si potrebbe generalizzare a tutti i luoghi che attirano l’attenzione. Vedremo carrozze sponsorizzate sugli ottovolanti dei parchi a tema e orologi di marca al polso dei parlamentari che vanno a discutere nei talk show? Finiremo per accettare che i cavalli del palio di Siena si riposino tutti sotto belle coperte di marca e che il Colosseo sia chiuso con un noto tipo di cancelli automatici? Non è certo un caso che le leggi tentino di limitare il product placement in tv. Se il sistema non passa in quel contesto, però, il mercato potrebbe spingere per trovare altre strade nelle quali esprimersi. E quindi potrebbe tentare di inserire prodotti nelle foto pubblicate dai giornali e nelle cartoline inviate dai luoghi di vacanza. Oppure occupare musei e monume nti. O cerimonie militari e convegni tra universitari. L’invasione del product placement non può che piacere a chi lancia nuovi contenuti per i media digitali o a chi vuole produrre un film anche in mancanza di sostegno pubblico. E non c’è nulla di male. Salvo che si avverte il bisogno di una sorta di codice deontologico. Con almeno un articolo: si fanno pubblicità adatte ai contenuti e non contenuti adatti alle pubblicità. Luca De Biase