LA Repubblica 30/08/2006, pag.42-43 Natalia Aspesi, 30 agosto 2006
Capote una vita al massimo. La Repubblica 30 agosto 2006. Arriva un altro Truman Capote, il secondo, al cinema; mentre in libreria si trova già un nuovo frivolo saggio dedicato a una sola notte nella vita dello scrittore americano, quella del celebre ballo, ancora oggi insuperato per sublime mondanità, da lui dato dopo l´immenso successo anche economico di A sangue freddo, il 28 novembre del 1966 al Plaza di New York
Capote una vita al massimo. La Repubblica 30 agosto 2006. Arriva un altro Truman Capote, il secondo, al cinema; mentre in libreria si trova già un nuovo frivolo saggio dedicato a una sola notte nella vita dello scrittore americano, quella del celebre ballo, ancora oggi insuperato per sublime mondanità, da lui dato dopo l´immenso successo anche economico di A sangue freddo, il 28 novembre del 1966 al Plaza di New York. Basta il titolo dello scintillante reportage per intristire di invidia le piccole folle di ormai involgariti vip: Party of the century, the fabolous story of Truman Capote and his Black and White ball (di Daborah Davis, editore John Wiley, pagg. 293, euro 35.00). Non parliamo poi della copertina, chissà quante imitazioni saranno inutilmente tentate dagli stilisti alla Billionaire: mostra lo scrittore sorridente e stempiato, in smoking, che sollevando la mascherina nera (di rigore erano favolose toilette ovviamente in bianco e nero e acconciature e maschere pomposissime) mentre afferra le mani di una bella signora impiumata e ingioiellata. In Italia, altro Capote a iosa: ristampata da poco l´appassionata biografia di Gerald Clarke del 1988 (Frassinelli), pubblicato un paio di mesi fa da Garzanti Incontro d´estate, romanzo breve inedito scritto da un Capote non ancora ventenne, si aspetta in ottobre l´arrivo in libreria dell´imperdibile, per i capotisti irriducibili, di E la pura verità, una raccolta di sue lettere dal 1959 (quando inizia il suo viaggio nell´agghiacciante cronaca dello sterminio di quattro dei componenti della facoltosa famiglia Clutter del Kansas, che diventerà il suo capolavoro, A sangue freddo) e il 1982, quando distrutto dall´alcol e dai farmaci, è ormai un relitto che scivola verso la fine. Curato dall´eminente Gerald Clarke, che ha passato la vita sua ad occuparsi di quella di Capote, tradotto da Filippo Balducci (editore Archinto, pagg. 208, euro 19.00), è una interessante raccolta da cui emerge, scrive Piero Gelli nella bella prefazione «un personaggio assai diverso dalla vulgata, come se Truman, nel privato, avesse voluto recuperare quell´immagine di sé che la balzacchiana scalata al successo e la smaniosa mondanità avevano occultato sotto strati di cerone». Il film Truman Capote: a sangue freddo, diretto da Bennett Miller, Oscar per il miglior attore al protagonista Philip Seymour Hoffman, sugli schermi italiani dal febbraio scorso, raccontava soprattutto «la balzacchiana scalata al successo» dello scrittore attraverso la «non fiction novel», il romanzo verità su quell´orribile delitto di cui, per terminare il libro, aveva dovuto aspettare impazientemente per cinque anni la conclusione, cioè l´esecuzione per impiccagione dei due killer. «La smaniosa mondanità» dovrebbe essere più ampiamente descritta nel film che il 31 agosto apre alla 63º Mostra del Cinema di Venezia la sezione Orizzonti: dato in prima mondiale assoluta, ha un titolo che si riferisce al Capote del declino, Infamous, quando la buona società di New York che lo aveva accolto e coccolato, lo chiamò infame, o ancor più sprezzantemente «infame finocchio», per aver tradito i loro dolorosi e anche squallidi segreti nel crudelissimo "La cote Basque 1965", uno degli otto capitoli di Preghiere esaudite, il libro che avrebbe dovuto essere il suo capolavoro e che rimase incompiuto. E´ già capitato più volte che a poco distanza uno dall´altro un paio di film raccontino la stessa storia, come quando tra il 1988 e il 1989 sia Stephen Frears che Milos Forman portarono sullo schermo il settecentesco Le relazioni pericolose di Choderlos de Laclos. Il primo vinse tre Oscar ed ebbe successo, il secondo niente premi e niente successo, anche se, con i suoi giovani attori allora sconosciuti era forse più interessante e provocante. Questa volta è il secondo film, Infamous, ad essere prodotto da una major, la Warner Independent, con attori celebri e un regista, Douglas McGrath, molto british (ha diretto le versioni cinematografiche di Emma e Nicholas Nickleby) e anche molto audace: «Avevamo scritto nello stesso momento un film non soltanto sullo stesso autore ma sullo stesso periodo della vita di quell´autore. Noi avevano i soldi ma non Truman, loro avevano Truman, il bravissimo Hoffman, ma non i soldi. Poi loro hanno trovato i soldi e hanno cominciato, noi abbiamo trovato Truman e abbiamo aspettato un po´ perché i due film non si sovrapponessero». Il nuovo Truman Capote è un attore di teatro, inglese come il regista, si chiama Toby Jones e la sua somiglianza fisica con l´autore di Colazione da Tiffany è impressionante, anche senza la sciarpona azzurra e il berrettone nero: una specie di bambino invecchiato che fa della sua omosessualità un vezzo mondano esagerato come si usava del resto tra i disinibiti degli anni ”60. Anche il nuovo film si ispira a un libro, questa volta a Truman Capote, in which various friends, enemies, acquaintances and detractors recall his turbolent career, composto da una serie di testimonianze raccolte dall´ormai defunto George Plimton, il fondatore della celebre, tra gli intellettuali, Paris Rewiew. Anche il film ha una sua parte da finto documentario, con i personaggi che ricordano quello che il regista definisce «un buffone di corte, il confidente della crema di Manhattan». E se i cinque anni passati da Capote a scrivere A sangue freddo sono anche al centro di Infamous, il nuovo film si estende al caviale, allo champagne, alla high society e ai grandi nomi, ai ricevimenti sontuosi e alle bellissime che lui chiamava cigni e che gli avevano consentito di entrare in quel cerchio di esclusiva e apparente leggerezza che si chiamava jet-set. Trattandosi di personaggi ormai mitici nella storia di un mondo e di un´epoca ormai perduti, fatti di aristocratica opulenza, frenetico snobismo, gelido distacco, suicidi e persino omicidi occultati dal denaro, intrecci erotici anche dissoluti, abitato da miliardari gaudenti, mogli ingioiellate e infelici, intellettuali usciti dalle grandi famiglie e sprezzanti oppure venuti dal nulla e servili, è ovvio che, interpretati dagli attori, rischiano di sembrare troppo terreni, anche grossolani. Pazienza, i nostalgici di una società in cui l´haute couture vestiva le signore e i mariti regalavano gocce di diamanti da miliardi all´amante e le bellissime mogli neglette intristivano bevendo il tè con le amiche e la ricchezza era anche più spietata di oggi, saranno contentissimi, o si accontenteranno. Ecco quella che dovrebbe essere l´evanescente, bellissima, allora celebre Babe Paley, e invece è Sigourney Weaver. Ecco la sottilissima, seducente Slim Keith, ex moglie di Howard Hawks, lasciata dal secondo marito, Leland Hayward, per la famosa mangiauomini Pamela Churchill e infine approdata a un conveniente matrimonio con un banchiere inglese, ed è Hope Davis. Ecco Bill Paley (Lee Ritchey), magnate della televisione (c´erano già negli Stati Uniti) cui Capote, pur essendo l´amico più intimo di Babe, presentava altre nobili bellezze da portare a letto. Ecco lo scrittore Gore Vidal (Michael Panes) che gli aveva fatto causa per diffamazione (Capote in una intervista aveva detto che era stato cacciato a calci dalla Casa Bianca durante la presidenza Kennedy), ecco la massima e bruttissima giornalista di moda e direttore di Vogue Diana Vreeland (Juliet Stevenson), l´editore di Capote alla Random House, Bennett Cerf (Peter Bogdanovich), la cantante Kitty Dean (Gwyneth Paltrow), e Marella Agnelli, che col marito Gianni invitava spesso lo scrittore sulla loro barca: Isabella Rossellini che la interpreta ha sufficiente eleganza ma non quel lungo collo aristocratico che al Ballo in Bianco e Nero aveva fatto della signora italiana, (immensa corona di piume chiare in testa, mascherina sugli occhi, lunga tunica ricamata) la più ammirata e fotografata. Ecco infine Sandra Bullock che può essere qualsiasi cosa tranne Harper Lee, premio Pulitzer per il romanzo Il buio oltre la siepe che accompagnò lo scrittore nei sopralluoghi in Kansas. Il vero Truman Capote, più intimo, e proprio per questo più solo, è quello che appare dalla lettere riunite in E la pura verità; lettere, come scrive Gelli nella prefazione, «sempre o quasi sempre frettolose, scritte da un mittente in nevrotica instabilità, tra alberghi di lusso o località amene di grido, tra case sveltamente arredate e poi dismesse». Cambia sempre luogo per scrivere il suo grande romanzo - verità e invia lettere brevi da Palamos in Spagna o da Verbier in Svizzera, da Venezia, (ospite a palazzo Brandolini) o da New York: Carissimo, Carissimo tesoro, Tesori miei, Tesorini, Tesoro mio adorato, Cucciolo mio adorato, Angelo: così cominciano sempre le sue note, che scriva, tantissimo, all´investigatore del caso Clutter, Alvin Deway e a sua moglie Marie, diventati suoi amici, o sospiri per la lontananza di Jack Dunphy, il sempre più impaziente compagno di una vita, di dieci anni più vecchio dell´innamoratissimo Capote. Con tutti parla molto della fatica di finire A sangue freddo: «Non ho mai lavorato tanto duramente. Mi sento sfinito, teso come nove pianoforti accordati di fresco. Ho finito la terza parte e sono scoppiato in un pianto irrefrenabile nei due giorni successivi». Parla molto, agli amici ed ex amanti, dei suoi adorati cani e delle loro malattie, con Cecil Beaton si lascia andare a qualche gossip: «Che genere di vita sessuale conduce Nureyev? E´ innamorato di Erik Bruhn? Personalmente trovo che (N) sia ripugnante. Si sarebbe detto che ogni potentato del mondo si trovasse a Saint Moritz. I comunisti non avevano che da bombardare il Corviglia Club. Ho pranzato con Lee Radzwill, mio Dio come è gelosa di sua sorella Jackie». «E´ la pura verità» finisce con un telegramma, spedito il 25 febbraio 1982 a Jack, che si è sempre rifiutato di installare un telefono: «Mi manchi ho bisogno di te telegrafami per quando ti posso aspettare con affetto Truman». Sempre più malato, dentro e fuori gli ospedali, in preda ad allucinazioni, ospite di un´amica a Los Angeles, muore, solo, il 25 agosto 1984. Il 30 settembre avrebbe compiuto 60 anni. Natalia Aspesi