La Stampa 30/08/2006, pag.15 Christiane Gallus, 30 agosto 2006
L’Homo Sapiens non era solo. La Stampa 30 Agosto 2006. La paleoantropologia che quest’anno celebra il suo 150° compleanno è in piena rivoluzione
L’Homo Sapiens non era solo. La Stampa 30 Agosto 2006. La paleoantropologia che quest’anno celebra il suo 150° compleanno è in piena rivoluzione. Gli ultimi dieci anni hanno visto un accumularsi di scoperte che ribaltano le teorie, modificano i modelli di evoluzione dell’essere umano, mettono in forse le certezze sulla pretesa unicità della nostra specie. Lo studio di nuovi fossili, in Africa occidentale, in Europa, in Asia, ma anche i progressi della genetica non tracciano il percorso di un’umanità che lascia la condizione animale per progredire linearmente verso l’Homo Sapiens, ma piuttosto quello di una grande varietà di specie umane coesistenti. Il cammino percorso in un secolo e mezzo è considerevole. il francese Boucher de Perthes che, nel XIX° secolo, fonda la preistoria presentando all’Accademia delle Scienze una memoria sulle selci scolpite scoperte nel 1844 sulle rive della Somme, vicino ad Abbeville. Lui ritiene che le selci trovate a fianco di resti di mammut e di rinoceronti, siano opera dell’uomo. La sua tesi è respinta ma lui non demorde ed è seguito da altri scienziati francesi e stranieri. Il nostro cugino Nell’agosto 1856 un colpo di zappa in una cava della valle di Neander, in Germania, vicino a Dusseldorf, rivela strane ossa umane. Questa scoperta, seguita presto da altre, mette in evidenza, per la prima volta, l’esistenza di un’altra umanità, quella dell uomo di Neandertal. , in senso stretto, la nascita della paleoantropologia. Le peculiari caratteristiche dell’uomo di Neandertal respinsero i paleontologi. Il francese Marcellin Boule ne fece un bruto, etichetta che è restata appiccicata al nostro cugino. Quando, in seguito, si troveranno antichi resti di Homo Sapiens, la nostra specie, ben più presentabile, furono in molti ad esprimere sollievo. I più antichi Oggi si va oltre. I più antichi rappresentanti della specie umana sono stati scoperti in Africa, come l’Homo abilis (2 milioni di anni) e l’Homo ergaster (1,9 milioni di anni). Altri sono stati trovati in Asia e in Georgia (Homo georgicus, 1,8 milioni di anni). Oggi la maggior parte dei paleoantropologi concorda sul fatto che l’Homo ergaster, robusto e tagliato per la corsa, rappresenti l’origine della prima emigrazione dell’umanità a partire dall’Africa. Tuttavia, alcuni specialisti come Robin Dennell e Will Roebroeks, ritengono che i primi grandi esploratori possano essere stati gli australopitechi, pre umanoidi vissuti in Africa fra 4,2 e 2,5 milioni di anni fa. Camminavano eretti e avevano mandibole munite di denti robusti. Il grande interrogativo riguarda l’antenato comune a ominidi e scimpanzé. Non se ne sa nulla, non ci sono tracce fossili e non si conosce nemmeno la data di separazione fra le due specie. I paleoantropologi concordano nel fissarla in sette milioni di anni fa. Questo permette di inserire nella linea di discendenza umana creature remote come l’Ardipithecus kadabba (da 5,2 a 5,8 milioni di anni), scoperto in Etiopia da Yohannes Hailé Sélassiè; l’Orrorin tugenensis (sei milioni di anni) trovato in Kenia da Brigitte Senut e Thomas Pickford, e il Sahelanthropus tchadensis (Topumai, 7 milioni di anni) dell’équipe di Michele Brunet, considerato, malgrado alcune contestazioni, appartenente alla linea umana. Ma a metà 2006 uno studio genetico realizzato da Nick Patterson e David Reich del Massachusetts Institute of technology e pubblicato su Nature, agita le acque, ricollocando la data della separazione fra ominidi e scimpanzé tra 6,3 e 5,4 milioni di anni. Inoltre, secondo i ricercatori, non è successo una volta per tutte: dopo essersi divise le due specie si sono ritrovate e ibridate, prima di separarsi definitivamente. L’ipotesi degli scienziati americani - che essi stessi definiscono provocatoria - a partire dallo studio di 20 milioni di coppie tratte dal genoma dell’uomo, dello scimpanzé, del gorilla, dell’orang-utan e del macaco, potrà rimettere in discussione l’appartenenza dei più antichi preumanidi alla specie umana. Punto contestato dai paleoantropologi e in particolare da Michel Brunet, dell’università di Poitiers, che parla di «giochi intellettuali» e da Jean-Jacques Jager, professore di paleontologia a Poitiers, che la definisce «geo-poesia». Mosaico sconosciuto Piuttosto è chiaro, a suo parere, che «non si sa a che cosa assomigliassero quegli esseri. Ogni volta che qualcuno scopre un fossile molto antico si mette in evidenza un mosaico di caratteristiche sconosciute». Ad esempio, Toumai, Orrorin e Ardipithecus formano un percorso evolutivo che comprende la posizione eretta. Ma in quale contesto si è affermata? «Oggi si ritiene sia indizio di umanità. Può essere invece un attributo ancestrale di qualche scimmia africana, di cui si sono perdute le tracce», spiega lo scienziato. Come sottolinea un altro ricercatore, Marc Godinot, paleontologo e specialista dell’evoluzione dei primati al Museo nazionale di storia naturale: «una posizione bipede sugli alberi può essere stata precedente a una posizione bipede durante il cammino, così che il bacino potesse adattarsi alla nuova postura». «Non si potranno fare progressi sui più antichi esponenti della razza umana fino a quando non si troveranno dei fossili datati fra 10 e 5 milioni di anni, sia prima, sia dopo l’ultimo antenato comune», ipotizza Pascal Picq, conferenziere al Collège de France. « il solo modo di conoscere l’evoluzione dei diversi caratteri. La separazione tra le specie è stata indubbiamente più recente e più complessa di quanto si creda». Ai paleoantropologi rimprovera «una visione gradualista dell’evoluzione. Anche se trovassero fossili di 8, 9 milioni di anni fa, sono certo che li attribuirebbero ad antenati dell’uomo e non a grandi scimmie». Il più antico antenato comune all’uomo e alla scimmia non è il solo soggetto di dibattito. Ci s’interroga anche sulle cause dell’estinzione dell’uomo di Neandertal, una specie mirabilmente adattata al suo ambiente glaciale. Il suo inesorabile declino, 30 mila anni fa, è stato provocato dalla concorrenza con l’Homo sapiens, dalla malattia, o da altri motivi? Il pigmeo «sapiente» Un terzo interrogativo concerne il piccolo uomo scoperto nel 2003 sull’isola di Florès, in Indonesia. Vecchio di 18 mila anni, era alto un metro e aveva una capacità cerebrale tra i 380 e i 400 cm cubici, più vicina a quella dell’australopiteco o dello scimpanzé che a quella di Lucy (3,2 milioni di anni). Per questo i suoi scopritori l’hanno classificato in una nuova specie umana: l’homo floresiensis. E alcuni paleoantropologi pensano che questo piccolo essere, frutto di un Homo erectus rimasto isolato a lungo sull’isola, ha visto la sua taglia diminuire come capita a numerose specie animali. Spiegazione contestata da diversi studi. L’ultimo, pubblicato il 21 agosto, su «Proceeding of the National Academy of Sciences», a opera di una gruppo di ricercatori indonesiani, australiani e americani, era un Homo sapiens pigmeo, da cui la sua microcefalia. copyright Le MondeLa scomparsa dell’uomo di Neandertal, 30 mila anni fa in Europa, chiude una lunga storia evolutiva nel corso della quale hanno coabitato diverse specie di homo o di australopiteco. Dopo quell’evento, in effetti, l’homo sapiens è restato, nel bene e nel male, padrone della Terra. Per saperne di più sul cugino che per 10 mila anni ha vissuto a fianco dell’homo sapiens, gli scienziati hanno cercato di decifrarne il genoma. I primi tentativi sono partiti dall’ADN mitocondriale, trasmesso dalla madre, nel 1997 all’istituto Max Planck di Lipsia. Altre otto analisi dell’ADN sono state realizzate quest’anno da diverse équipe. I lavori hanno confermato che, da questo punto di vista, i neandertaliani sono sì nostri lontani cugini, ma non consanguinei diretti. Non hanno dato, a quanto pare, alcun contributo significativo al genoma dell’homo sapiens anche se verosimilmente ci sono state relazioni tra le due specie. Ma si ignora se i geni trasmessi abbiano avuto conseguenze dal punto di vista evolutivo. Per chiarire questo punto, Svante Paabo e la società di biotecnologia americana 454 Life Sciences hanno lanciato lo studio del ADN nucleare. Se riusciranno a identificarlo compiutamente lo confronteranno con quello dell’homo sapiens e dello scimpanzé, così da comprendere la relazione evolutiva con i nostri cugini neandertaliani. Christiane Gallus