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 2006  agosto 29 Martedì calendario

Esibizionista fino ad un suicidio stile samurai. La Repubblica 29 agosto 2006. Tra i fantasmi che popolano l´inconscio collettivo dei giapponesi, nessuno è più inquietante di quello di Mishima Yukio

Esibizionista fino ad un suicidio stile samurai. La Repubblica 29 agosto 2006. Tra i fantasmi che popolano l´inconscio collettivo dei giapponesi, nessuno è più inquietante di quello di Mishima Yukio. A trentasei anni dalla sua morte, tutti i problemi da lui sollevati restano irrisolti, e a ogni cambiamento di stagione nella vita politica e sociale del paese si ripropongono con un´attualità ancora più stringente: paradosso per uno scrittore e uomo pubblico che sembrò incarnare un bisogno di inattualità, un progetto di restaurazione così anacronistico da essere all´epoca respinto anche dagli ambienti più conservatori. Ma andiamo per ordine. Perché tornare a interrogarci su Mishima proprio oggi? Una ragione che riguarda da vicino il lettore italiano è l´uscita del Meridiano che conclude l´edizione in due volumi dedicata allo scrittore. Una seconda ragione è il desiderio di rendere conto del nuovo picco di interesse per Mishima che si sta registrando di recente in Giappone. Le iniziative che negli ultimi mesi, a partire dal novembre dello scorso anno, trentacinquesimo anniversario della morte, lo hanno riproposto, riaccendendo dibattiti e ponendo ulteriori interrogativi, sono numerose e cospicue. Citeremo la pubblicazione di un volume che ne raccoglie scritti inediti, la presentazione in DVD di Y-koku, (Patriottismo) un film che dopo la sua morte era stato messo al bando, la sontuosa versione cinematografica del romanzo Neve di primavera, la realizzazione di un nuovo documentario sulla sua vita, e diversi numeri monografici di riviste che tornano a esplorarne il mito. In questo pullulare di celebrazioni nipponiche, anche l´uscita dei Meridiani da noi è un evento di rilievo. E´ la prima volta che in Occidente l´opera di Mishima viene presentata in una campionatura così vasta e con l´attenzione critica che si riserva ai "classici". La scelta di Maria Teresa Orsi, curatrice e autrice di una bellissima introduzione, si presentava davvero ardua, considerata l´ampiezza della produzione narrativa di Mishima. Il difficile obiettivo di riprodurre su piccola scala il percorso di un autore la cui opera omnia consta di quarantadue fittissimi volumi appare centrato: una tessera dopo l´altra, il mosaico si compone e il mondo di Mishima prende forma in tutta la sua ricchezza. Tra le novità, da segnalare soprattutto il lungo romanzo La casa di Kyoko, mai tradotto prima in nessuna lingua europea. Mishima credeva molto in questo libro, su cui aveva concentrato energie e impegno, ma esso non fu ben accolto quando uscì nel 1959. Le vendite furono inferiori alle previsioni, i critici lo trattarono con freddezza e ci fu chi parlò di un vero e proprio fallimento. Il flop fu per Mishima più di un semplice insuccesso: lo visse come un castigo e un´umiliazione. Eppure, come spesso accade con i libri "sbagliati", si tratta di un´opera di straordinario interesse. L´autore che in Confessioni di una maschera, il suo primo clamoroso successo scritto a ventitré anni, aveva rivoluzionato il romanzo autobiografico esaltando al massimo grado sincerità e ambiguità, aveva cambiato registro, tentando di oggettivarsi in quattro personaggi che rappresentassero altrettante facce della sua complicata vita interiore: un boxer, che entrerà in un´organizzazione paramilitare di estrema destra, un attore narcisista che si ucciderà insieme all´amante, un pittore di arte giapponese tradizionale, sensibile e visionario, e un brillante uomo d´affari, intimamente nichilista. Il romanzo, afflitto da uno schematismo di fondo, non decolla mai davvero, ma avvince per le direzioni impreviste in cui le anime dei personaggi, staccandosi dal suo prototipo e acquistando vita autonoma, conducono l´autore. Dove la scrittura si ribella ai progetti di Mishima, la materia narrativa si ravviva e sotto le spente ceneri di un capolavoro progettato a tavolino, si accendono braci incandescenti. Dell´autore non intravediamo solo un gioco di personalità multiple, ma sviluppi futuri che lui stesso, allora, forse non poteva conoscere con chiarezza. Basta sommare i destini dei quattro protagonisti per leggere l´evoluzione (o la deriva) di Mishima negli anni a venire: la passione crescente per l´azione, l´adesione a un´ideologia militarista, il suicidio a due, e dietro tanto vitalismo una visione di un nichilismo assoluto. Alcuni anni più tardi, Mishima tornò a misurarsi con una architettura narrativa complessa nel Mare della fertilità, che sarebbe poi diventata la sua ultima opera, e che con le sue quattro parti occupa quasi per intero il secondo Meridiano. Il progetto era questa volta più ambizioso: realizzare una grande saga che si ponesse sulla scia dei romanzi europei dell´Ottocento, ma fosse sorretta da un´idea unicamente giapponese, idea che Mishima rinvenne nella teoria buddhista della reincarnazione. Elemento di continuità nei quattro romanzi non è quindi la figura del protagonista, che nel corso di ogni storia muore, ma un unico principio di coscienza che trasmigra da un corpo all´altro, assumendo identità completamente irrelate. Ciò permette all´autore di cambiare completamente scena nel passaggio da un volume all´altro, e quindi di misurarsi in modo virtuosistico con gli ambienti e gli stili più diversi. Come nella Casa di Kyoko, i protagonisti sono quattro: il rampollo di una ricca famiglia borghese sul finire dell´epoca Meiji (Neve di primavera), un adolescente impregnato di ideali patriottici e guerrieri che fa parte di un gruppo di attivisti di destra (A briglia sciolta), una principessa tailandese (Il tempio dell´alba), e un giovane corrotto e vizioso che si lascia andare a un progressivo degrado (La decomposizione dell´angelo). Quattro sembra essere un numero propizio per Mishima: nell´ultimo mese di vita, lo stesso in cui finì di scrivere il volume conclusivo della tetralogia, organizzò una grande mostra retrospettiva sul suo lavoro e la sua vita, divisa in quattro sezioni che chiamò "i quattro fiumi": il fiume della scrittura, del teatro, del corpo e infine il fiume dell´azione. Tutti, spiegò, sarebbero andati a sfociare nel Mare della fertilità. Appena pochi giorni più tardi Mishima convocò alcuni giornalisti ai Quartieri generali delle Forze di Autodifesa di Ichigaya, dove giunse accompagnato da quattro adepti del suo gruppo paramilitare, il Tate no kai, la Società degli Scudi, che aveva fondato due anni prima, e i cui ideali possono essere riassunti brevemente nei seguenti punti: restaurazione della piena autorità all´imperatore, lotta senza tregua al comunismo, legittimità del ricorso alla violenza. Mishima, aiutato dai suoi uomini, immobilizzò e prese in ostaggio un generale, minacciando di ucciderlo se non fossero state accettate alcune condizioni, prima fra tutte che gli ufficiali si radunassero per sentire il suo proclama. Nella sua impeccabile uniforme militare dai bottoni scintillanti, li arringò tentando di spiegare gli intenti della rivolta, ma le sue parole furono sommerse dalle urla e dagli insulti degli ufficiali. Fallito il tentativo di provocare una sollevazione, lui e i suoi adepti passarono all´esecuzione del piano "di riserva". Mishima procedette al seppuku (harakiri), per il quale avrebbe dovuto ricevere l´assistenza del suo giovane, tremante allievo Morita, che si rivelò inadeguato al compito. L´operazione si concluse in maniera frenetica e agitata, in un atroce bagno di sangue. Quando tutto fu finito, le teste di Mishima e Morita restarono a terra, "messe l´una accanto all´altra come birilli, così vicini che quasi si toccano, (.) bocce inerti", come le descrive la Yourcenar. Tra i problemi sollevati da Mishima, quello del suo suicidio in stile samurai rimane per i giapponesi il più conturbante. Cosa fare di questa morte, che sembrava azzerare di colpo i valori di una modernizzazione faticosa ma ormai pienamente assorbita, riportando il paese indietro di oltre un secolo, al cuore più cruento e sanguinoso della propria storia? La cosa più assurda era che questa provocazione arrivasse proprio da colui che era sembrato esprimere, con il suo esibizionismo, la sua presenza invadente nei media, valori lontanissimi dalla sobria tradizione giapponese. Cosa significava questo tentare di ridar vita a un ideale imperiale così lontano dalla realtà storica del paese? Il suo gesto era fuori tempo, insensato, eppure toccava una parte della sensibilità giapponese ancora viva, sebbene offuscata dal benessere e dal progresso. In realtà l´azione di Mishima e dei suoi adepti aveva un precedente storico e un modello ideale in un´insurrezione del 1936, la cui ombra ancora aleggiava sulle coscienze del Giappone. La rivolta era stata capeggiata da un gruppo di giovani ufficiali che si erano ribellati alle autorità militari e governative, giudicate deboli e inette, per rivolgersi all´imperatore, scongiurandolo di riassumere in pieno la sua sovranità prendendo il comando delle forze armate. L´imperatore Showa (Hirohito) li aveva considerati dei ribelli e aveva decretato che fossero stroncati senza pietà dai militari, rifiutando loro perfino l´onore di ordinargli il suicidio. L´episodio aveva acquistato negli ultimi anni un significato sempre più importante per Mishima, fino a diventare una vera ossessione. Il racconto Patriottismo, del 1960, presente nei Meridiani, è ispirato a questa vicenda. La storia narra di un giovane ufficiale, escluso dal piano dei rivoltosi in considerazione del suo matrimonio recente. Piuttosto che ritrovarsi a combattere contro i suoi stessi compagni, decide di togliersi la vita come un vero samurai. La moglie si offre con gioia di unirsi a lui nel suicidio. Con rituali lenti e pieni di bellezza i due cenano, prendono il bagno e, la loro libido scatenata dalla prossimità della fine, si uniscono per l´ultima volta in un amplesso, quindi si uccidono assaporando fino in fondo l´ebbrezza della morte. Il racconto è splendido e agghiacciante per l´intensità con cui Mishima riesce a esprimere la monolitica devozione a una causa attraverso un potente connubio di Eros e Thanatos. In seguito, per rendere la propria fantasia sull´episodio del 1936 ancora più concreta e "visibile", Mishima decide di girare una versione cinematografica di Patriottismo. E´ lui stesso a produrla, a scrivere la sceneggiatura e a curarne la regia, oltre a interpretare il ruolo del protagonista. Per esaltare la sacralità del sacrificio dei coniugi, la rappresentazione è stilizzata e si svolge sul palcoscenico di un teatro No. Non vi sono dialoghi né didascalie, solo una pergamena che si srotola con un testo calligrafato dallo stesso Mishima. Il commento musicale è il "Liebestod" dal Tristano e Isotta di Wagner. Gli sguardi dell´ufficiale e della moglie, persi in un´estasi senza fine mentre il sangue scorre a fiotti e le budella debordano dall´addome di lui, forniscono indizi sulle motivazioni della scelta finale di Mishima con un´evidenza superiore a quella dei suoi libri. Vedere lo sguardo inebriato di morte del luogotente - Mishima spinge a pensare che le cause del suo suicidio vadano ricercate, più che nella sfera politica, nell´oscura pressione sulla psiche di sogni legati alla dimensione più intima. Eppure, ed è questo il problema con cui ancora il Giappone si trova a confrontarsi, questa ossessione personale di Mishima sembra legata a quel patto ancestrale con la morte volontaria che in qualche modo appartiene alla cultura del paese. Il film, che fu presentato in Giappone con enorme successo di pubblico, dopo la sua morte divenne invisibile. Per volontà della vedova ogni copia fu distrutta e per trentacinque anni non ebbe nessuna circolazione. In un certo senso il film subì la stessa sorte di tutti gli aspetti della vita di Mishima che Yoko preferiva dimenticare, dal suicidio all´omosessualità, che lui stesso aveva alternativamente esibito e negato. Naturalmente i libri continuavano a raccontare anche la parte più scomoda di Mishima senza che essa venisse censurata, ma la moglie sembrava temere soprattutto il potere delle immagini. Può darsi che a spingerla fosse il senso del decoro sociale. Se invece il suo scopo fosse stato quello di difendere il prestigio artistico del marito, in un certo senso aveva visto giusto. La scrittura era il territorio su cui Mishima regnava supremo, e il lettore riesce sempre a entrare in contatto, al di là del giudizio ideologico, con la sua visione e ad assaporarne la bellezza, anche nelle pagine più estreme, quelle dove un´ossessiva vocazione alla morte gloriosa campeggia su un vuoto assoluto di sentimenti. Ma nel regno delle immagini, dove Mishima non è sovrano, qualcosa gli fa tremare la mano, l´incanto si interrompe, e nella crudezza dei fotogrammi di questo film ritrovato, quel sogno, di cui la letteratura era riuscita a trasmetterci il potere ipnotico, ci appare in tutta la sua umana e pietosa fragilità. Giorgio Amitrano