Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2006  agosto 29 Martedì calendario

La Romania non è soltanto il dittatore Ceausescu. Corriere della Sera 29 agosto 2006. Sono una romena trapiantata a Torino

La Romania non è soltanto il dittatore Ceausescu. Corriere della Sera 29 agosto 2006. Sono una romena trapiantata a Torino. Le chiedo perché non si parli mai del mio Paese e dell’affinità culturale e storica con l’Italia dove esiste una delle più numerose comunità. Possibile che si parli della Romania sempre in negativo e non si dia alcuno spazio a personaggi come Iorga, Eminescu, Parvan o altri personaggi storici? Mirela Filip Ho potuto assistere a un’interessante ricostruzione televisiva degli anni del regime di Ceausescu in Romania. Mi ha colpito molto il resoconto della sofferenze legate al grande progetto di crescita demografica voluto dal dittatore: persino le donne che avevano già 8 o 9 figli, perlopiù povere e non in grado di mantenerli, venivano incarcerate se tentavano di abortire. Tutto questo per creare una nuova razza pura, libera dai Rom e dalle altre minoranze. Tutte le donne venivano visitate e schedate dalla polizia segreta per individuare le gravidanze e controllarne il risultato. Ricordo che vari leader italiani, tra cui il «mite» Berlinguer, fecero negli anni Settanta visita a Ceausescu, esaltando la possibilità di un «eurocomunismo» che, a fianco di Marchais e Santiago Carrillo, vedeva nel leader romeno il punto di riferimento a Est. Nel frattempo l’Università di Bologna conferiva la laurea ad honorem alla moglie, la famigerata Elena. Mi domando: nessuno sapeva quello che oltre 20 milioni di romeni sapevano? Maurizio Boerci Cara signora Filip, caro Boerci, le vostre lettere contengono rispettivamente una domanda e una risposta. Lei, signora Filip, si chiede perché l’opinione pubblica italiana sembri ignorare la cultura romena. E lei, Maurizio Boerci, risponde implicitamente che la Romania, sedici anni dopo il crollo del regime comunista, resta legata al nome di Nicolaie Ceausescu, dittatore comunista dal 1965 al giorno (25 dicembre 1989) in cui fu sommariamente giustiziato insieme alla moglie Elena da uomini che avevano servito il regime sino a qualche ora prima. La prima domanda a cui occorre rispondere quindi è la seguente: perché Ceausescu continua ad attrarre più attenzione di altri esponenti dei regimi comunisti come il tedesco Honecker, il cecoslovacco Husak, il bulgaro Zhivkov? La risposta è nell’ambivalenza di questo singolare personaggio. Lei avrebbe potuto ricordare altre malefatte: il potere della polizia segreta, la persecuzione dei dissidenti, la distruzione dei tradizionali villaggi romeni, l’assimilazione forzata della minoranza ungherese in Transilvania, la faraonica ricostruzione di alcuni quartieri di Bucarest dopo il terremoto degli anni Settanta, la dissennata politica finanziaria degli anni Ottanta quando cercò di estinguere il colossale debito estero del Paese a spese del livello di vita dell’intera popolazione. Ma questo tiranno presentava, per le democrazie occidentali, un grande vantaggio. Si era reso indipendente dall’Urss, aveva rifiutato di partecipare alla repressione sovietica della Cecoslovacchia nel 1968 e praticava una sorta di nazional-comunismo che era diventato una spina nel fianco del regime di Mosca. Quando gli facevano visita, gli uomini di Stato occidentali sapevano che era un tiranno. Ma ritenevano utile incoraggiare un leader comunista che aveva rotto più volte il fronte della solidarietà sovietica. Quanto a Enrico Berlinguer, non credo che Ceausescu fosse per lui un modello di eurocomunismo. Ma rappresentava pur sempre un esempio del rapporto che il Pci voleva instaurare con l’Urss e meritava quindi qualche omaggio. Alla sua domanda, signora Filip, rispondo che lei ha perfettamente ragione quando osserva che l’Italia sembra ignorare e trascurare i suoi antichi rapporti con la cultura romena. La sua lettera ricorda uno storico (Iorga), un poeta (Eminescu), uno storico archeologo (Parvan). Ma avrebbe potuto ricordare anche un grande storico delle religioni (Mircea Eliade), un sorprendente drammaturgo franco-romeno (Eugène Ionesco), un affascinante musicista (George Enescu), uno straordinario scultore (Constantin Brancusi): tutti esponenti di una cultura che seppe preservare all’interno del mondo slavo i suoi tradizionali rapporti con la latinità. giusto ricordare in questa occasione anche il nome di un intellettuale italiano, Vito Grasso, che diresse per molti anni l’Istituto italiano di cultura a Bucarest e dedicò buona parte della sua vita a lavorare per la Romania in Italia, per l’Italia in Romania. Sergio Romano