Libero 27/08/2006, pag.17 Alessandro Dell’Orto, 27 agosto 2006
Non ho salvato Alfredino. Libero 27 agosto 2006. – Angelo Licheri, domani compie 62 anni. Auguri. « già il mio compleanno? Grazie, non festeggio mai e sarà così anche questa volta
Non ho salvato Alfredino. Libero 27 agosto 2006. – Angelo Licheri, domani compie 62 anni. Auguri. « già il mio compleanno? Grazie, non festeggio mai e sarà così anche questa volta. Anche perché la salute è quella che è... ». Non sta bene? «Diabete, me ne sono accorto nel ’97. Devo stare a dieta anche se peso solo 39 kg, di notte mi sveglio tutto sudato, perdo la vista. E poi le gambe: non mi reggono più e ho anche problemi di equilibrio perché ho un timpano bucato. Ma non mollo». Riesce a lavorare? «Macché. Faccio il perdigiorno, il nullafacente. Vivo con la pensione di invalidità: in tutto poco più di 600 euro al mese. Non ho nemmeno l’assegno di accompagnamento. Sa perché?». Dica. «Pretendevano mi presentassi in carrozzella. ”Tiè”, gli ho risposto. Mi tengo stretti i pochi passi che riesco a fare. Quando stavo in Kenya mi portavano in giro in spalla o in carriola, ma ora va meglio». Scusi, come è la storia del Kenya? «Negli ultimi anni ho vissuto in Africa, mi sono sposato a Kapkangani con una ragazza kenyana e ho dovuto pure pagarla con una mucca...». Scherza? « il rito africano. Quando il giudice ti unisce in matrimonio chiede: ”Tu hai dato una mucca per la moglie che vuoi prendere?”. Non avendola, l’ho comprata e l’ho donata alla famiglia della sposa. La mucca però non può stare sola, ma deve avere la compagnia di una pecora: e così a mia suocera ho regalato anche una pecora». Che fine hanno fatto? «Quando è morta la madre di mia moglie gli animali sono stati uccisi e mangiati: è un modo per allontanare gli spiriti maligni. Anche il funerale è particolare. Arriva gente dai villaggi vicini, si piange insieme per 5 minuti e poi inizia il banchetto: cibo, bere, musica». Quando è rientrato in Italia? «Nel ’99 a causa del diabete: laggiù mi curavano male e stavo morendo. Ora passo le giornate in casa e mi annoio tantissimo, occupo il tempo guardando la tv, facendo piccoli lavoretti con l’argilla e scrivendo: ho pronta un’autobiografia per raccontare Vermicino ma non solo». Già, Vermicino. Sono passati 25 anni. Che effetto le fa? «Nessuno. Dieci, 15 o 20 anni per me è uguale: io lo ricordo tutti i giorni». Cosa le ha dato quell’esperienza? «Complimenti tanti, medaglie poche: non sono mai andato a ritirarle, non mi interessavano». Soldi? «Ahahaha. Scherza, vero? Le racconto questa. Mi contatta la Rai per un’intervista e mi promettono un gettone di presenza. Finiamo e mi consegnano mille fogli da compilare. Io non sono stupido ma nemmeno troppo intelligente, ci provo e invio il tutto. Tornano indietro il doppio dei fogli. Dopo tre volte, li ho mandati a quel paese: ”Tenetevi i soldi, ma d’ora in poi scordatevi il canone”». Licheri, torniamo al 1981. «Lavoravo a Roma, ero autista per una tipografia e avevo 37 anni, sposato con tre figli. La mattina dell’11 giugno devo consegnare dei pacchi e sento le segretarie che parlano di un bambino. ”Che succede?”. Mi spiegano a grandi linee e poi parto. A metà tragitto faccio una sosta al bar e tutti i clienti raccontano di un certo Alfredino. Mi incuriosisco. Arrivo a casa e chiedo informazioni alla mia ex moglie, ma lei fa finta di nulla. Il giorno dopo tra radio, giornali e tv capisco cosa è successo, torno a casa verso le 19, mi spoglio e mi piazzo nudo davanti allo specchio: mi osservo di fronte, poi di profilo. E decido: devo andare». E sua moglie? Perché quel sorriso? «L’avesse saputo, mi avrebbe legato in casa!! Ho dovuto mentire: ”Cara, esco a comprare le sigarette e torno per cena...”. Ha scoperto tutto dalla tv quando era troppo tardi per fermarmi: ha riconosciuto la voce mentre ero nel pozzo». Scusi l’interruzione. Due curiosità: lei sapeva dove fosse Vermicino? «Più o meno, ma è bastato seguire le auto: era come andare a un Safari». In molti l’hanno fatta passare per uno speleologo: aveva esperienze di quel genere? «Nessuna. Non sapevo nemmeno cosa volesse dire speleologo e credevo che un pozzo artesiano si chiamasse così perché fatto con arte... Pensi un po’». Riprendiamo il racconto. Primo impatto con Vermicino? «Posto di blocco, mollo la macchina e continuo di corsa. La gente tornava indietro con i bambini sulle spalle come fosse andata a fare una gita: ”Addò vai, scemo? Sei arrivato tardi”. C’era di tutto, perfino chi vendeva panini e bibite. Io corro e corro, evito un altro posto di blocco sgattaiolando in una vigna e arrivo all’ultimo cordone di carabinieri. Mi invento una bugia: ”Scusa, puoi dire a Elveno che c’è Angelo che lo aspetta?”». Scusi, chi era Elveno? «Pastorelli, colui che dirigeva le operazioni. Avevo memorizzato il nome dai giornali per far finta di conoscerlo. Il carabiniere ci casca e mi intrufolo. Mi presento, dico che voglio rendermi utile. La madre di Alfredino e Pastorelli rispondono di no, scoppio a piangere. Allora mi dicono di aspettare poco più in là». C’era un altro prima di lei? «Un certo Claudio, un burino che appena arrivato salutava mamma e nipotina davanti alle telecamere. Lo calano tra gli applausi e dopo poco torna su bianco, non riesce a dire niente se non ”Nessun umano potrà arrivare laggiù”». La sua reazione? «Panico, ma quella frase mi fa ribollire il sangue. Mi spoglio, resto in mutande e canottiera e faccio capire che non mi fermerà nulla. Domandano se sto bene e dico la seconda bugia». Aveva problemi fisici? «Enfisema polmonare e reumatismi che ogni tanto mi bloccavano la mano sinistra. Loro però mi credono ed entro». Piccolo riepilogo. Alfredino inizialmente era a 30 metri ma poi, quando scavarono un buco parallelo per raggiungerlo dal basso, le vibrazioni della trivella lo fecero cadere a oltre 60. Lei scese nello scavo parallelo fino a 35 metri, passò nel tunnel orizzontale e poi andò giù da Alfredino per 25 metri a testa ingiù. Quanto è alto? Che fa, scusi? «Mi misuri lei». ’Un metro e 54. Il buco era largo 30 cm di diametro, poco più di un piatto. Perché ora ha le braccia alzate? «Misuri le spalle». Poco meno di 30 cm... La resistenza stimata per stare a testa in giù è 25 minuti: lei rimase così per 46 minuti. Sempre lucido? «Sempre, dall’inizio alla fine». Provi a farci scendere con lei in quel pozzo: che odore ha sentito? Quali rumori? «Un tanfo fortissimo di escrementi. E un silenzio surreale, sentivo solo le voci del microfono collegato in superficie». Continuiamo. Scende a testa ingiù con le braccia davanti finché...? «Credo di aver toccato il fondo, sento solo del fango. Poi capisco che è il viso di Alfredino, lo ripulisco, tolgo la terra dalla bocca». Parlava? «Rantolava, faceva haaaaa, haaaaa, era rannicchiato con le ginocchia incastrate davanti al corpo. Gli libero le mani, sussurro: ”Alfredino, torna su con me che ti porto in Sardegna, ti faccio andare in barca e ti compro una bicicletta nuova”. Nel frattempo, in superficie, pensano sia morto anche io perché non rispondo più al microfono. Poi metto una specie di imbracatura sotto le ascelle e chiedo di tirare su. Lo strappo è troppo forte, si slega. Riprovo, stesso risultato. Allora lo prendo per le braccia. Niente. Provo per i polsi e sento crac, il braccino sinistro si rompe. Ultimo tentativo, la maglietta. Nulla, scivola. Capisco che non c’è altro da fare, sono stremato e chiedo di risalire. Guardo Alfredino, gli mando un bacio, scoppio a piangere e mi tirano su». riemerso infreddolito e sanguinante: porta ancora le cicatrici? «Sulle anche e sulle gambe». Alfredino poteva essere salvato? «Sì. Bastava calare una cinepresa e capire come fosse posizionato: se fossi sceso con una semplice paletta da giardino gli avrei liberato le ginocchia». Ci fu un processo, l’accusarono di mentire: secondo qualcuno lei scese senza nessuna imbracatura. Perché? «Volevano farmi passare per pazzo: sarebbe stato il modo migliore per nascondere le lacune dei soccorsi». Quanto l’ha segnata quell’esperienza? «Tanto, è stata una sconfitta. Non ho dormito per mesi. Ho paura a prendere l’ascensore. Quando il neonato che abita qui sopra piange chiudo la finestra. Li odio, i bambini». Scusi? «Li odio in senso buono perché sono sceso e Alfredino doveva essere il mio compagno di risalita. Invece mi ha fatto tornare su da solo...». Licheri, la domanda che tutti le fanno? «Mi chiedono della madre di Alfredino: ai più sembrava troppo distaccata. Poverina, era imbottita di tranquillanti». La domanda che non sopporta? «Che effetto fa essere un eroe. Non mi sento e non sono un eroe: è stata una mia scelta». Domani compie gli anni: che regalo vorrebbe? «Il regalo più bello che avrei voluto dalla vita sarebbe stato quello di tornare in superficie con Alfredino. Fosse andata così, domani saremmo qui in due a festeggiare il mio compleanno: io 62 anni, lui 31». Alessandro Dell’Orto