La Repubblica 27/08/2006, pag.44 Pino Corrias, 27 agosto 2006
Da quarant´anni nell´iperspazio. La Repubblica 27 agosto 2006. Andiamo. Luce bianca dell´Enterprise che frigge sui bordi neri della Galassia
Da quarant´anni nell´iperspazio. La Repubblica 27 agosto 2006. Andiamo. Luce bianca dell´Enterprise che frigge sui bordi neri della Galassia. Tenente Hikaru Sulu alla consolle: «Motori pronti per la curvatura. Chiedo il permesso di partire, signore». Comandante James Tiberius Kirk: «Permesso accordato. Andiamo». Andiamo, d´accordo. Da quaranta anni (decodifica in tempo terrestre) la chiave di Star Trek è già tutta qui. In quell´andiamo da viaggio perpetuo. In quel lontanissimo West da cavalcare senza invadere. Da esplorare senza distruggere. Da conoscere senza conquistare. Perché è sempre proibito (per il bene comune, il bene planetario) interferire con gli altri mondi, le altre forme di vita, le altre civiltà cresciute nel ghiaccio, sotto a cinque lune o dentro a una bolla di idrogeno o governati da un finto dio misogino. Altro che guerre preventive. Andiamo: c´è una traiettoria da seguire. Una destinazione da raggiungere. Altri mondi da visitare, dopo quelli dei Klingon e dei Romulani. Perché lo spazio non è freddo e non è vuoto. Ma ha uno scopo che viaggia lungo ogni frontiera valicata: la vita. In movimento perpetuo. Come la luce che si espande tra le stelle. Come le avventure che si intrecciano su ogni quadrante galattico lungo le rotte elaborate dal dottor Spock, il vulcaniano che non prova mai emozioni. Come tutti i sentimenti pressurizzati nei cuori degli equipaggi che nella sala comando della Nave decidono infine di abbassare gli schermi protettivi Faser e trasformare il nero dello Spazio nell´iperbianco che corre alla velocità della luce. Andiamo. In questi quaranta anni Star Trek ha macinato molti più anni luce di Guerre stellari. Molta più cibernetica di Isaac Asimov. Molti più universi paralleli di Philip K. Dick. Nei suoi settecento episodi televisivi, dieci film, otto romanzi, ha generato più mondi, più imperi stellari, più facce aliene, più costumi, più armi, più medicine, più androidi, più tecnologie di qualunque altra saga della fantascienza. Ha pensato in anticipo i computer palmari, i telefoni satellitari, i minidischi. Ha reso plausibile la magia del teletrasporto lungo i cunicoli dello spazio tempo. Le guarigioni istantanee nell´infermeria del medico di bordo Leonard McCoy. E naturalmente il magnifico replicatore inox, capace di sintetizzare qualunque alimento dalle molecole dei rifiuti, al quale il comandante Jean-Luc Picard, nella serie più bella, la seconda di sei, Next Generation, chiede: «Tè Earl Gray caldo, per favore». Pure la storia dell´ideatore di Star Trek avrebbe diritto a un film o almeno a un episodio specchiante. Si chiamava Gene Roddenberry. Nato nel 1921. Texano di El Paso. Duro. Pilota di caccia nella Seconda guerra mondiale. Poi sulle rotte civili Pan Am. Poi detective a Los Angeles. Poi all´improvviso morbidissimo scrittore di science-fiction, ma senza pistola a raggi gamma per liquidare gli alieni. Pacifista in piena Guerra Fredda. Perciò primo episodio addirittura rifiutato dalla Paramount per assenza di sangue, sparatorie, inseguimenti, eccetera. «Troppo cerebrale», dirà la stroncatura: tanto sballata da passare alla storia, anno 1964. Il che voleva dire riscrivere con un po´ più di muscoli americani in azione. Cosa che Roddenberry fece senza forzare mai troppo, lasciando quel sovrappiù di introspezione ai suoi personaggi, che sempre sorvolano non solo le differenti atmosfere analizzate dai sensori dell´Enterprise, ma anche i misteri del bene e del male, gli equilibri fragili della coesistenza, la chimica che lega il potere alla violenza, l´odio all´amore. «Forse un giorno scopriremo che il tempo e lo spazio sono più semplici dell´equazione umana», dice in un finale d´avventura il comandante Picard. Memorabile. Via libera alla serie due anni più tardi, esordio sulla rete Nbc, prima serata dell´8 settembre 1966. Equipaggio con tute in maglia elasticizzata, niente effetti speciali a parte la nebbiolina del "raggio traente", le porte elettriche degli alloggiamenti, e le orecchie a punta del dottor Spock. Ma specialmente equipaggio inter-razziale: un russo in plancia, un giapponese al timone. E perfino una donna nera con funzioni di comando, il tenente Uhura, che giusto in un episodio del turbolento 1968 avrebbe baciato il comandante Kirk, bianco caucasico, americano, come mai sarebbe potuto accadere sul Pianeta Terra, meno che mai in televisione, con telefonata di congratulazioni dell´autentico Martin Luther King alla autentica attrice Nichelle Nichols. Da lì in avanti, ingranaggi in moto e decollo stabile della serie. Apoteosi di Roddenberry che nella vita vera macina due mogli, quattro figli, molti soldi, un po´ di libertà creativa. Vara i 178 episodi di Next Generation che gli assomigliano di più. Scrive: «Mi accorsi che creando un mondo a parte, un mondo nuovo, con nuove regole, si poteva parlare con più facilità di sesso, religione, Vietnam, missili intercontinentali». Si gode un po´ del successo planetario che gli sarebbe assai sopravvissuto. Lui muore nell´anno 1991: incenerito per sua volontà e congedato dal pianeta dentro a una capsula spedita in orbita perpetua. Andiamo. La serie televisiva è cresciuta come fanno le immense stazioni orbitanti nello Spazio, un pezzo alla volta, una ramificazione alla volta, ma poggiandosi tutte su un solo bullone indeformabile: il principio universale della Prima direttiva, parente stretta della Tolleranza. La Prima direttiva governa la Galassia dall´inizio del ventitreesimo secolo. I fuochi delle antiche guerre si sono spenti. I pianeti convivono dentro alla Federazione dei pianeti. La Federazione governa la Flotta stellare. La Flotta stellare ha una missione da compiere, l´esplorazione dell´universo. L´Enterprise è la nave più potente, quella che forza tutte le colonne d´Ercole, tutte le barriere di energia, verso lo «spazio, ultima frontiera», al di là di quel diciassette per cento di universo cartografato, «where no man has gone before», dove nessun uomo si è mai spinto prima. La Prima direttiva proibisce alla flotta di interferire con la vita dei singoli pianeti, le loro civiltà progredite o remote. Le guerre in corso o i disastri imminenti. Non più piegare il flusso degli eventi, né correggerli. Ma naturalmente la storia infinita di Star Trek e del suo equipaggio, quello che muove le sue avventure astrali e che riempie le pagine del diario di bordo, sono la trasgressione a quella prima legge. Le sue violazioni, talvolta piccole ma cariche di conseguenze. Talvolta inevitabili. Perché ci sono sempre altri imperi e altri mondi in conflitto. Ci sono civiltà in espansione, ognuna con le proprie ragioni, desideri, ossessioni. I Ferenti per conquistare ricchezze. I Klingon per difendere l´onore. I Cardassiani per il potere. E i Borg per programmata distruzione altrui. I Borg sono metà umani e metà macchine cibernetiche. La metà cibernetica rende inderogabilmente cieca la loro volontà. Ma è la metà umana che alimenta la loro crudeltà totalitaria: distruggere per nutrirsi. Nutrirsi «perché vogliamo migliorarci». I Borg operano per mutilazione, trasformando gli altri corpi in aggregati di carne e circuiti elettronici. Sono i nemici puri, gli invasori perpetui. Vengono dal nulla. Sono inarrestabili. Possiedono tecnologie superiori. Non si preoccupano delle loro perdite. Sono la vera minaccia alla sopravvivenza di tutte le specie. Il Buco nero. Il Male da combattere e da sconfiggere. Andiamo. Stavolta neppure forzando la Prima direttiva: legittima difesa. Né tradendo troppo il pacifismo di Roddenberry. Meno che mai riuscendo a scalfire davvero il cielo rassicurante di Star Trek. Che è poi la ragione più profonda della sua longevità spettacolare. Quel futuro dell´avventura umana pensato sempre al meglio e non al peggio. Dove nessun cielo post-nucleare ha sbiancato i volti dei suoi personaggi. Dove non c´è la fame e la miseria radioattiva che ha trasformato la Terra di Dune, nel nuovo medioevo raccontato da Frank Herbert. E neppure la solitudine senza scampo, l´infinito Nulla dentro a cui fluttua l´astronave di Stanley Kurbick, al largo di Giove. L´umanità di Star Trek è rimasta umana. Si è liberata (o quasi) della sua volontà di potenza. E di tutti gli dei vendicativi che nei venti secoli intermedi hanno trasformato in sangue e in guerra la propria verità monoteista. «Non abbiamo più quel tipo di fede da centinaia di anni», dice in un episodio il comandante Picard. Che poi sarebbe il sogno anche nostro, la nostra desiderabile Prima direttiva. La nostra desiderabile ultima frontiera. Prima che le molte catastrofi terrestri perfezionino l´assedio quotidiano in una qualche collisione finale: fare atterrare l´Enterprise una buona volta. Scambiarci i comandanti in capo. E poi spegnere la tv. Pino Corrias