La Stampa 27/08/2006, pag.15 Stefania Miretti, 27 agosto 2006
Vergini e felici. La Stampa 27 Agosto 2006. Verbania-Pallanza. «Cosa distingue una Vergine Consacrata da una vecchia zitella?»
Vergini e felici. La Stampa 27 Agosto 2006. Verbania-Pallanza. «Cosa distingue una Vergine Consacrata da una vecchia zitella?». Per quanto non teologicamente rilevante, la questione è centrale non solo per mettere a proprio agio la cronista preoccupata di fare domande sciocche; e Maddalena, sposa felice del Cristo Crocifisso dal 1998, non ci gira intorno: «Un tempo ci si pensava meno, ma per le più giovani tra noi è importante sia coltivare la propria femminilità, sia sentirsi realizzate affettivamente. Altrimenti si corre il rischio di diventare acide, perché ammettiamolo, chiunque sia il nostro sposo, noi donne una certa tendenza all’acidità ce l’abbiamo, no?». E allora. Delle Nike azzurre. Una maglietta color fango con «Marina yachting» scritto a piccoli brillantini. Un paio di sandali francescani. Orecchini con turchesi. Un vistoso bracciale d’oro. Un sottile braccialetto di cuoio con ciondolo del Cristo Crocifisso. Zoccoli (?!). Un giubbotto di pelle blu su Lacoste lilla. Capelli lunghi crespi. Occhiali da sole. Caschetto ramato corto. Una caviglia bianchissima che spunta da una gonna lunga color polvere. Un piede incerottato. Un piedino curato, ora con smalto da ripassare. Una catenina d’argento con ciondolo del Cristo Crocifisso. Una giacca rossa. Panoramica: gruppo di giovani donne sedute in circolo sul prato. Flashback: incontro di autocoscienza. Argomento trattato, però: il passaggio dalle tenebre alla luce - percorso non meno impervio di quello che altre donne, disposte nello stesso modo, abbigliate più o meno, intraprendevano per venire a capo della loro sessualità tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta; quando l’antichissimo Ordo Virginum era da poco stato reintrodotto dal Concilio Vaticano II, e sempre di conquista femminile si trattava, a ben vedere: l’apertura d’un varco, una terza via oltre il bivio obbligato (o le mura del convento o i recinti del matrimonio cristiano), una possibilità nuova per ragazze che intendessero consacrare la propria vita al Signore senza tuttavia rinunciare a fare la parrucchiera, il chirurgo o una bella carriera in azienda vinicola, e quest’ultimo è il caso di Maddalena, cresciuta in un’atea famiglia umbra, estroversa quarantaduenne esperta di marketing e sposa curata (suoi gli orecchini di turchese abbinati al sandalo con zeppa ricamata). Anche le ragazze che discutono con Maddalena del complesso (ahinoi) rapporto tra tenebre e luce potrebbero diventare, un giorno, spose di Cristo, e ne porteranno l’anello - certo, tecnicamente sarà il vescovo, accertata la bontà della chiamata, a infilarglielo al dito - come simbolo di amore e di fedeltà: dove per fedeltà s’intende, gioco-forza, assoluta castità. Una scelta irrevocabile e definitiva, «come il matrimonio cristiano, del resto» spiega Maddalena, pur senza nascondere una certa difficoltà dell’impresa: «L’amore va coltivato, se non ti senti amata dal tuo compagno avrai bisogno di avere qualcuno che ti accarezza». Qualunque matrimonio riuscito richiede, da un certo punto in avanti, un certo grado di sublimazione, si riflette in silenzio. Però Maddalena è brava a mettere l’interlocutrice a suo agio, perciò scatta la domanda gadana: tutte-tutte vergini, o va bene anche una rinuncia tardiva, col senno di poi? «Vede, la nostra scelta richiede maturità, e bisogna tener conto del costume attuale... insomma, mica possiamo consacrarle a dodici anni...». L’età media delle aspiranti Vergini infatti è intorno alla trentina. Donne adulte, consapevoli di un percorso che «dalla tribolazione porta alla pazienza, dalla pazienza alla virtù, dalla virtù alla speranza», apparentemente non troppo dissimile - a parte la speranza - da quello che attende le loro coetanee prossime alle nozze con un uomo in carne e ossa. Per testimoniare questo cammino, sono arrivate in 180 a Pallanza, Verbania, per l’annuale incontro nazionale, quattro giorni di riflessione, preghiera e momenti conviviali sulle sponde del lago. Vengono da tutta Italia, a parte Trentino e Valle d’Aosta; giovani e anziane, molte insegnanti ma c’è un po’ di tutto, dalla psichiatra alla sarta; c’è persino la sindacalista Lorena, trentaquattrenne di Moncalieri che lavora in Cgil, dice «vivo nel lavoro la mia vocazione», e quando ha deciso di mettere Cristo al centro della sua vita ha avuto il bel problema di spiegarlo ai colleghi. La «maturazione» di Lorena è durata undici anni, «mi sono a lungo interrogata sulla rinuncia alla maternità e sull’accettazione della solitudine. Anche se poi, mi sento madre e per nulla sola». E’ graziosa Lorena, «rinunciare alla sessualità non significa rinunciare alla cura del corpo, io ci tengo molto ad essere bella, per testimoniare la felicità della mia scelta e l’amore del mio sposo. Non voglio che gli altri pensino di me: si è consacrata vergine perché non ha trovato nessuno». Già, il fatto è che di solito lo pensano, lo stereotipo è da barzelletta e tutte ci fanno i conti: «La vergine come donna sciatta, grigia, umile e remissiva, vestita male...», elenca l’esperta in comunicazione Maddalena. Però le Vergini a volte la risolvono con una bella risata tra ragazze. Una scelta femminile singolare, la loro. Nessun marito per casa, nessuna regola monastica. Emancipazione, perciò doppio ruolo e relative fatiche, «è dura conciliare la professione con l’impegno di spose di Cristo nella propria parrocchia». E la difficoltà e l’orgoglio di cavarsela da sole, «perché alle tue spalle, in caso di bisogno, non ci sarà nessuno che si occupa di te». E son cose che capitano, anche alle non vergini. Stefania Miretti