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 2006  agosto 26 Sabato calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 28 AGOSTO 2006

Vienna, quartiere-dormitorio Strasshof (via della Fattoria), pochi minuti alle tredici di mercoledì 23 agosto. Al 60 di Heinestrasse, fra le ville coi cigni di gesso e le siepi d’alloro pettinate, c’è una casetta beige con le parabole sul tetto. Nel giardino, una diciotto-diciannovenne con gli occhi blu e i capelli chiari, piccolina e magrissima, sta passando l’aspirapolvere nella Bmw rossa di un ossuto quarantenne che la osserva mentre parla al cellulare. Siccome il rumore è troppo forte e non riesce a sentire quello che gli dicono, il tizio, che si fa chiamare «Gebieter», mio maestro, rientra in casa. Appena se ne accorge, la ragazza getta l’aspirapolvere, percorre cercando di non farsi vedere i cinque metri che la separano dal cancello, poi comincia a correre più forte che può. Fatti duecento metri, entra in un altro giardino. La vecchietta di ottant’anni che la vede arrivare davanti alla porta si spaventa e pensa di chiamare la polizia, ma prima che ne abbia il tempo l’intrusa le dice: «Sono Natascha Kampusch, mi aiuti per favore»». «Chi, la bambina rapita tanti anni fa mentre andava a scuola?». Proprio lei, la Santina Renda, l’Angela Celentano, la Denise Pipitone d’Austria. [1] Marina Corradi: «La storia di Natascha Kampusch è incredibile come solo sa esserlo la realtà, più di qualsiasi trama immaginata». [2]

Natascha Kampusch, nata il 17 febbraio 1988, scomparsa il 2 marzo 1998. I poliziotti accorsi sul posto, che sanno tutto di lei, la riconoscono subito senza bisogno della prova del Dna: è straordinariamente somigliante al ritratto che hanno elaborato al computer è ha una cicatrice proprio come quella della bambina che cercano da otto anni. Se ne convincono ancora di più quando nella villetta da cui è fuggita (e dove non c’è più nessuno) trovano il suo passaporto (lo teneva sempre in cartella perché il padre se la portava spesso in Ungheria). In Austria quello di Natascha è il più clamoroso caso di cronaca dal dopoguerra. Piero Colaprico: «La cercavano morta nei fiumi e nei laghi, sotterrata in un pozzo, c’è stato chi ha accusato la madre e invece lei era qua, a Vienna, a diciotto chilometri dalla casa dove non era più tornata». Quando ha incontrati il papà, prima lo ha abbracciato piangendo insieme a lui. Poi gli ha chiesto: «Hai ancora la mia macchinina giocattolo?». Ha abbracciato anche la mamma, ma subito dopo ha fatto sapere che non la vuol più vedere. [3]

Otto anni, cinque mesi e ventun giorni prima, Natascha, frangetta e giacca rossa di lana cotta, stava andando a scuola. L’ultimo che la vide fu un bambino: raccontò che qualcuno (secondo lui due persone) l’aveva tirata dentro a un furgone bianco (Mercedes Kastenwagen). La polizia interrogò centinaia di proprietari di veicoli simili a quello descritto dal testimone. Tra questi il trentaseienne Wolfgang Priklopil, un tecnico elettronico che dopo essere stato licenziato dalla Siemens (dove lo ricordano «solitario e sadico») comprava vecchi appartamenti, li ristrutturava e li rivendeva: descritto dai vicini come scapolo scontroso e solitario, spiegò ai detective che il furgone gli serviva per trasportare materiale edile (infatti - notarono i poliziotti - aveva e bordo piastrelle e mattoni). Poiché aveva pure un alibi, non fu più indagato. [4]

Ludwig e Brigitta, i genitori di Natascha, erano separati. Quella mattina, mentre andava a scuola, la bambina aveva in testa il litigio appena avuto con la madre. Quell’uomo che aspettava davanti al furgoncino la insospettì, per un attimo pensò di cambiare strada, poi si disse che era una paura insensata. Lui l’acciuffò, la spinse nel furgone e le parlò chiaro: stai giù, stai zitta o sono guai. La volta che lei gli confidò il suo rammarico per non aver ascoltato quel presentimento, le rispose: non t’illudere, se non era quel giorno, ti avrei preso quello dopo. Si dice che Priklopil, che aveva ereditato dal padre una casa vicino a quella dei Kampusch, era un conoscente della famiglia. Ludwig ha smentito, Brigitta no. [5]

Natascha ha vissuto con Priklopil per 3.097 giorni: «minacciava di vendicarsi sulla mia famiglia, se fossi scappata». Non fosse bastato a spaventarla, l’aveva convinta che dormiva con le bombe a mano pronte sotto il cuscino. Colaprico: «Aveva costruito la cella nel suo garage con saracinesca bianca. Bastava aprire le ante di un mobiletto bianco per trovarsi una lastra di metallo, chiusa a chiave. Dietro quella specie di cassaforte di 50 centimetri per 50, partiva la breve scala per l’abisso. Lì, il maestro, percorreva i nove gradini ed entrava nella casa sotterranea. Ogni volta che aveva voglia. Ma da lì anche Natascha poteva uscire, sempre quando aveva voglia il maestro. All’improvviso la portava in casa con lui. E, non raramente, le faceva fare le pulizie. Nella villetta a due piani, con le tapparelle sempre chiuse, la bambina lavava, spazzava, cucinava». [6]

Natascha ha vissuto otto anni in un loculo di cinque metri quadri arredato alla meno peggio: un bagno, doppio lavandino, uno scaffale per i libri, una scatola a fiori per fazzolettini e assorbenti, un mobiletto per la tv (scollegata dall’antenna ma con videoregistratore), una radio. La polizia ritiene che Priklopil abbia costruito la segreta da sé, a metà degli Anni 90 quando, morto il padre, la madre gli cedette la villetta e andò a stare nell’appartamento alla periferia di Vienna dove viveva lui. La mamma del del carnefice è una donna senza amiche, senza parole, silenziosissima, vedova. Colaprico: «Era spesso preoccupata per il figlio e, talvolta, lo andava a trovare e gli portava un po’ di spesa. Possibile che non si fosse mai accorta del cibo necessario alla prigioniera? Possibile: il furbo Wolfgang aveva infatti due frigoriferi. Uno in casa, dove la mamma andava, e uno nel garage, con il cibo per la vittima, off limits». [6] Una volta la mamma di Priklopil e Natascha si sono pure incontrate. Marina Verna: «Deve averle raccontato una storia davvero plausibile, perché la donna non si è insospettita. E la polizia esclude che sia sua complice». [7]

 possibile che nessuno immaginasse niente? La casa di Priklopil, sorvegliata con telecamere, veniva chiamata dai vicini il «Fort Knox di Heinestrasse». [8] Francesco Battistini: «La litania degl’increduli vicini. ”Teneva sempre le tapparelle giù”, dice Georgios, pensionato d’origine greca. Qualcuno l’aveva vista, quella ragazzina: ”Ma pensavamo fosse una fidanzatina”. Il lupo Wolf non dava molta confidenza. Ogni tanto tirava ai colombi col suo fucile, nessuno s’impicciava. ”Due anni fa, mi aveva bloccato per chiedermi se vendevo la mia Bmw”, ricorda Anne Marie Fuchs, 58 anni: ”Ne ero quasi lusingata, pensavo volesse corteggiare me”». [9]

Un’anziana vicina però lo descrive come un pazzo. Colaprico: «I ricordi della signora Charlotte sono precisi. E smentiscono chi minimizzava la pericolosità dell’uomo. C’era qualcosa di più della sua ”tranquillità”. ”Dopo essere tornato da militare, Wolfgang cambiò. Non era mai stato un tipo allegro, non l’avevamo mai visto con amici, tantomeno con una ragazza. In pubblico non diceva mai una parola, ma di notte io lo sentivo prendere le sedie, i mobili, e spaccarli contro il pavimento. Lo sapevano tutti, io stessa ho chiamato la polizia, ma mi dicevano di portare pazienza”». [10]

Che tipo di persona può fare una cosa del genere? Il criminologo Francesco Bruno (Sapienza di Roma): «Un sadico con tendenze pedofile, che ha perso ogni freno e vuole avere il controllo totale del partner. Per fortuna è un profilo psicologico piuttosto raro. Il comportamento esterno è controllato: sono persone rigide, ossessive, riescono anche bene nel lavoro, soprattutto se permette di celarsi, come si può fare attraverso Internet. La loro riservatezza e la loro diffidenza li rendono sconosciuti alla famiglia stessa. Mantengono rapporti di superficie, quanto basta per non destare sospetti. Si nascondono dietro la regolarità, ma coltivano forti patologie, soprattutto sul piano sessuale». [11]

Ci sono stati abusi sessuali? Erich Zwettler, capo della polizia criminale: «Non me la sento di dire che questo sospetto sia infondato». La poliziotta Sabine: «Dice di aver fatto sesso con Priklopil, ma di sua volontà». Una parente alla Cnn: «Quello era un pedofilo. Natascha ha subito ripetute violenze sessuali negli anni, per molti mesi di seguito». [12] Sui moventi del rapimento si fanno anche altre ipotesi. Walter Rauhe: «Secondo un portavoce della polizia austriaca è anche possibile che l’uomo volesse con questo gesto estremo ”adottare” la bambina a lui già nota perché abitava nel vicinato, farla sua figlia, costringerla a un legame morboso e di sudditanza assoluta, ma paterna». [13]

Purtroppo, l’unico che potrebbe chiarire le cose, Priklopil, non può più parlare. Marina Verna: «Aveva solo due amici. E a uno si rivolge mercoledì quando, finita la trattativa con il potenziale cliente, rientra in casa e si accorge che la ragazza è scappata. Fuori c’è già movimento, non ha tempo da perdere. Sale sulla sua Bmw rossa e si dirige verso Vienna. La polizia lo intercetta, lui la semina. Qualche ora dopo entra nel garage di un centro commerciale e chiama il socio. Gli dice di essere stato sorpreso al volante ubriaco, deve scappare, per favore venga a prenderlo. L’amico arriva, lo carica in macchina e lo porta dove vuole: alla stazione di Leopoldstadt. Prikilopil non compra un biglietto, ma aspetta il treno regionale delle 21 e si getta sotto». [7] Colaprico: «Si dice, tra gli esperti dei drammi umani, che chi si uccide facendosi maciullare da un treno lo fa perché si odia, odia il suo corpo». [3] Bruno: «Non si è ucciso per vergogna, rimorso o paura, ma perché aveva perso l’oggetto del suo amore patologico». [11]

Quando la polizia ha informato Natascha che Wolfgang si era gettato sotto un treno, non è sembrata sorpresa: le aveva sempre detto che non si sarebbe lasciato prendere vivo. [7] Il fatto che il sequestratore sia morto, l’aiuterà a superare il trauma? Lo psicopatologo Massimo Ammaniti (Sapienza): «No. Può solo complicare le cose. Il suicidio scatena un ulteriore senso di colpa. Quindi un altro groviglio». [14] Natascha: «Era un criminale ma mi trattava bene». [10] Colaprico: «Ha anche raccontato che, al mattino, ”facevamo colazione insieme”. Poi Wolfgang, ”mi salutava” e andava a lavorare, lei scendeva i nove gradini e veniva spedita nella cella sotterranea». [6] L’ispettore Armin Halm: «Lui le curava anche i denti, che non hanno carie». [9]

Quella tra Natascha e Wolfgang, dicono gli esperi, era «una relazione simbiotica». Il professor Max Friedrich: «Lui deve aver fatto di tutto per tenerla bambina, impedirle di crescere. Solo così poteva avere il controllo assoluto». [7] In questi casi di parla di sindrome di Stoccolma. Matteo Alviti: « Il fenomeno - per cui la vittima si identifica nelle ragioni del carnefice - fu esaminato nel 1973 dallo psichiatra statunitense Frank Ochberg che studiò il caso di un sequestro avvenuto in una banca della capitale svedese, in cui gli ostaggi instaurarono una relazione complice con il rapitore». [8]

«Una simbiosi da delirio, da favola oscura, come se Cenerentola avesse incontrato Barbablù». Colaprico: «Ma Natascha ha in qualche modo resistito. Non s’è ritagliata un angolo nella fantasia malata del suo carnefice, ma ha imparato a non perdere se stessa, a conservare qualcosa di sano. Forse grazie ai libri: ”Ho letto moltissimo”, ha detto subito ai poliziotti. ”Sa leggere, scrivere, ragiona, ha reazioni comprensibili”, raccontano gli investigatori un po’ sollevati e un po’ sorpresi». [6] Gustavo Pietropolli Charmet, psicoterapeuta dell’adolescenza (Università di Milano): «In genere gli adolescenti di dieci, undici, dodici anni allontanati a forza da casa riescono, se vogliono, prima o poi a scappare. Lei, invece, ha aspettato otto anni». [15] Ammaniti: «Spesso la vittima può erotizzare la dipendenza. Fra i due potrebbe essere nata una storia e la fuga della ragazza solo adesso potrebbe essere coincisa con una crisi interna alla coppia». [14] Lo psichiatra Reinhard Haller: «La sindrome di Stoccolma è normale in un caso così: diventa un problema se non passa fra qualche settimana». [12]

Natascha, che alta un metro e sessanta pesa solo 42 chili, ha la pelle bianca e coperta da macchie (per via della poca luce cui è stata esposta in questi anni). [7] Ai primi agenti che l’hanno presa in custodia, ha però detto di avere «la testa a posto, anche se il tempo mi sembra fermo al 1998». [6] Pietropolli Charmet: « come il risveglio dopo un coma, dopo un tempo cancellato, non vissuto». [15] Silvia Vegetti Finzi, psicologa clinica: «Queste ferite non si chiudono mai del tutto. Dipenderà dalla vita. Il fatto che lei riesca a trovare una buona relazione d’amore, per esempio, sarà molto importante per compensare, per recuperare ciò che le è stato negato. E poi c’è da dire che il superamento di questi traumi richiede un grosso lavoro di autoanalisi che può diventare una ricchezza interiore». [16] Paolo Crepet, psichiatra e sociologo (Università di Siena): «Potrebbe anche trovarsi male in questo mondo, come il ragazzo selvaggio di Rousseau». [17]

Nel futuro di Natascha ci sono molte incognite. Crepet: «Dipende da dove andrà a vivere e anche dalla sua famiglia d’origine». [17] Colaprico: «I genitori: sono due tipi diciamo sui generis. Il baffuto papà Ludwig piange, fuma di continuo e rilascia interviste a pagamento. La nervosa mamma Brigitta sta per riprendere le ferie, ”tanto c’è mio suocero che m’informa”». [6] La sorella dice che incontrerà Natascha solo quando tornerà dalle vacanze. Non è strano? Ammaniti: «Forse è vero che quando si perde una figlia o una sorella si deve gestire un dolore così grande, che si rimuove tutto e a un eventuale ritorno si reagisce con distacco». [14]

Ludwig si è sposato un’altra volta: «La mia attuale moglie è un’insegnante, conosce bene i bambini e la psicologia e ci sentiremmo molto fortunati se Natascha volesse venire a vivere con noi, quando sarà il momento. Le nostre porte sono aperte». [18] Brigitta: «Sono molto orgogliosa che abbia resistito a queste torture. conscia, lucida, molto ragionevole. Non ho voluto chiederle niente, me lo racconterà lei quando vorrà. Questo dramma ha sfasciato la nostra famiglia, mio marito e io ci siamo separati, hanno detto su di noi le cose più infami. Basta, adesso! Aspetto solo l’inverno per tenermela vicina: Natale non era più Natale». [9]

In Italia di casi come quello di Natascha ce ne sono 144. Catello Celentano, papà di Angela, scomparsa a tre anni il 10 agosto ’96 tra i boschi del monte Faito, altura affacciata a strapiombo sulla costiera sorrentina: «I miracoli avvengono e noi ci crediamo». [19] Piera Maggio, mamma di Denise Pipitone (scomparsa davanti casa, a Mazara del Vallo, il primo settembre 2004, quando non aveva ancora quattro anni): «Nel silenzio si finisce per dare come assodato che può essere accaduto il peggio, che il rapito non tornerà più. E invece no». [20]

La famiglia Celentano ha aperto il sito (www.angelacelentano.it) affinché «la nostra Angela, ovunque sia, possa rivedere nel web i suoi luoghi cari, la cameretta, risentire la voce dei genitori e delle sorelle. Pure le canzoncine che cantava a tre anni abbiamo inserito nel sito. Tutto ciò che ci lega. Perché possa riconoscersi, ricordare. Noi siamo qui, noi l’aspettiamo». [21] Catello: «Ho chiesto ai gestori di poter inviare un messaggio sui cellulari di tutti gli adolescenti, magari mia figlia lo legge e s’incuriosisce». [19]