Corriere della Sera 25/08/2006, pag.10 Francesco Battistini, 25 agosto 2006
Sfugge al suo rapitore Sequestrata 8 anni fa. Corriere della Sera 25 agosto 2006. Strasshof (Austria) – Appena rinata, Natascha non ha abbracciato la mamma
Sfugge al suo rapitore Sequestrata 8 anni fa. Corriere della Sera 25 agosto 2006. Strasshof (Austria) – Appena rinata, Natascha non ha abbracciato la mamma. S’è buttata su una poliziotta con le mèches e il piercing, l’appuntato semplice Sabine Freudenberger. Quella che le ha dato subito una tazza di camomilla, l’ha coperta con la giacca d’ordinanza perché tremava. Quella che ha ascoltato subito i suoi nuovi vagiti. Le memorie dell’orrore, gli anni da sepolta viva. Natascha non ci ha messo molto, a parlare con la poliziotta. Di quando cominciò la sua adolescenza nera: «Lui mi diceva di chiamarlo padrone». Di quel Wolfgang che era un amico di famiglia ma che lei, bambina, non aveva mai visto prima: «Per anni, non ho saputo nemmeno come si chiamava». Di lui che l’aveva rapita, l’aveva chiusa in quella botola sotto il garage: «Minacciava di vendicarsi sulla mia famiglia, se fossi scappata». Degli anni a fissare un muro, dell’arrendersi per campare, della sindrome di Stoccolma e dell’abitudine che prende tutti gli schiavi: «Alla fine mi trattava meglio, è sempre stato carino con me». Di lui che l’aiutava a lavarsi. E le portava i vestiti. E la teneva in quella prigione due metri e mezzo per due metri e mezzo, senza luce, sotto due assi di legno e una scaletta stretta e dietro una porta blindata da 150 chili con due truci occhi azzurri dipinti a sorvegliarla: «Mi prometteva regali, gioielli, ma non me li ha mai portati. Ogni tanto, però, mi faceva uscire in giardino». Perché lui l’avesse rapita, Natascha dice di non averlo mai capito: «Gli chiedevo di spiegarmelo, ma taceva. Allora lo supplicavo di lasciarmi andare, perché volevo anch’io una famiglia». E se l’abbia obbligata a fare sesso, Natascha non riesce a dirlo: « sparita che aveva dieci anni – è delicata, l’appuntato Sabine ”. Credo non sappia bene che cosa significhi». Otto anni senza. Natascha Kampush era dal 2 marzo 1998 la Santina Renda, l’Angela Celentano, la Denise Pipitone d’Austria. Otto anni senza sapere niente di lei: rapita in un quartiere di Vienna mentre andava a scuola, data per venduta o uccisa o espiantata, mercoledì alle 13 rispuntata come uno zombie fra le ville coi cigni di gesso e le siepi pettinate di Strasshof, sobborgo oltre il Danubio, 16 chilometri da dove abitava. sempre stata lì, fra quelle casette una vicina all’altra. Senza che nessuno sapesse, vedesse, sospettasse. Senza che lei osasse urlare, buttarsi, andare alla cabina telefonica a cinque metri dal cancello. Solo otto anni dopo Natascha ha approfittato d’un momento, l’orco Wolfgang che al telefono trattava un affare per comprare un terreno. Ha infilato la porta semichiusa, s’è lasciata il buio oltre la siepe, alle spalle. Ha bussato alla porta d’una vecchietta d’ottant’anni. Educata, ha detto chi era. Ed è rinata. Lui, l’aguzzino Wolfgang, è morto da lì. Si chiamava Wolfgang Priklopil, era un tecnico di 44 anni. Ha tentato di riacciuffare la sua schiava ma, perduto, è salito sulla Bmw 850 rossa ereditata da papà. Ha chiesto aiuto a un socio d’affari («guidavo ubriaco, la polizia mi cerca, portami in stazione»), se n’è andato al binario e il treno l’ha preso, mercoledì sera, ma in fronte: suicida. Aveva un appartamento a Vienna, vicino alla famiglia di Natascha, ma nessuno s’era chiesto perché da otto anni abitasse in questa villetta di Heinestrasse 60, altro lascito di papà. La litania degl’increduli vicini. «Teneva sempre le tapparelle giù», dice Georgios, pensionato d’origine greca. Qualcuno l’aveva vista, quella ragazzina: «Ma pensavamo fosse una fidanzatina». Il lupo Wolf non dava molta confidenza. Ogni tanto tirava ai colombi col suo fucile, nessuno s’impicciava. «Due anni fa, mi aveva bloccato per chiedermi se vendevo la mia Bmw», ricorda Anne Marie Fuchs, 58 anni: «Ne ero quasi lusingata, pensavo volesse corteggiare me». 3.097 giorni lì sotto. La prigione vista da fuori è una casetta beige, le parabole sul tetto, decine di case noiose e uguali tutt’intorno in un quartierino-dormitorio sulla strada statale, senza una cafeteria o un negozio. Vista in tivù è dietro una botola larga 69 centimetri, tipo rifugio di Saddam, una scala coi vestiti di Natascha ancora appesi, libri, un letto a castello col water e il lavandino di fianco, un’enciclopedia per ragazzi («lui mi faceva anche lezione»), una tv ma solo per vedere qualche cassetta ogni tanto, un senso di pulizia segregata. «Una cella preparata con precisione – spiega l’ispettore Armin Halm ”. Pulita. Lui le curava anche i denti, che non hanno carie. Aveva deciso che quella doveva essere la sua schiava personale, da crescere e tenere per sempre come lui voleva». Otto anni fa, quando una bambina aveva visto l’ultima volta Natascha salire su un furgone bianco, con altri mille padroncini anche Wolfgang era stato ascoltato dalla polizia: «Spiegò che il camioncino gli serviva per lavori in casa». Lo lasciarono andare. Ora il caso è stato tolto a Vienna e affidato agli investigatori del Burgerland, perché su questa casa degli orrori e degli errori qualche chiarimento bisognerà darlo. «Allora non capii perché la polizia mollò le indagini così presto – dice mamma Brigitta ”. Io me lo sentivo che era viva, aspettavo solo che suonasse alla porta, non riuscivo a capire». Viva, magra, pallida. Natascha s’è persa tutta la saga di Harry Potter e non sa un rap di 50Cent, ma gli psicologi dicono che parla come una diciottenne. Ha chiesto pane, burro e marmellata, succo d’arancia. Le fanno l’esame del Dna, ma alla mamma è bastata una vecchia cicatrice. «In ascensore, mentre salivo a vederla al commissariato, avevo il cuore in gola – parla e lacrima ”. Gli occhi, pazzesco, sono i suoi! Sono molto orgogliosa che abbia resistito a queste torture. conscia, lucida, molto ragionevole. Non ho voluto chiederle niente, me lo racconterà lei quando vorrà. Questo dramma ha sfasciato la nostra famiglia, mio marito e io ci siamo separati, hanno detto su di noi le cose più infami. Basta, adesso! Aspetto solo l’inverno per tenermela vicina: Natale non era più Natale». All’angolo di Heinestrasse, tre ragazzine aspettano. Si chiamano Sabrina, Nadine e (pure lei) Natascha. Dieci anni fa giocavano a spingere le carrozzine delle bambole, a casa Kampush: «Andavamo nella panetteria dei suoi, facevamo merenda insieme». Le sole amiche di allora. Sabrina s’accende una Marlboro, nervosa: «Chissà se si ricorda ancora di noi». Francesco Battistini