Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2006  agosto 23 Mercoledì calendario

Il grande business dei disperati del mare. La Stampa, mercoledì 23 agosto L’isola delle tartarughe e del mare nostrum caraibico scoppia

Il grande business dei disperati del mare. La Stampa, mercoledì 23 agosto L’isola delle tartarughe e del mare nostrum caraibico scoppia. Di immigrati clandestini, certo. Quelli che sono partiti ieri pomeriggio con la nave Siremar diretti in Sicilia erano già stati sostituiti prima ancora d’andar via dai 191 naufraghi raccolti domenica dalle guardie costiere a 60 miglia dalla riva. Una drammatica staffetta senza fine. Ma Lampedusa quest’anno rischia di scoppiare dentro, implodere. Lacerata da un conflitto a bassa intensità che si combatte tra le casette squadrate gialle e rosa. E gli sfortunati ospiti del Centro Misericordia di Dio in questo caso non c’entrano. O meglio, sono il pretesto, come Elena di Troia, d’un rogo che aspetta solo la scintilla. Da una parte ci sono i lampedusani «integrati», quelli che il business dell’immigrazione hanno imparato a cavalcarlo alla grande, imprenditori dell’emergenza come ne sbucano fuori in ogni teatro di guerra. Dall’altra si ammassano le truppe dei pescatori, degli albergatori, degli osti e dei meccanici, compaesani ed ex amici dei primi, esclusi dal circuito dell’economia umanitaria, un affare cresciuto in maniera proporzionale agli sbarchi che negli ultimi anni ha cominciato a insediare la pole position del turismo. «Ci stiamo organizzando per bloccare il porto», annuncia Pietro Costanza, un vecchio pescatore d’età indefinibile con gli occhi azzurri liquidi e i modi assai diretti. Il nemico non è lo straniero, precisa. Pietro come quasi chiunque da queste parti ha soccorso decine e decine di barconi sfondati scortando a terra i passeggeri più morti che vivi e regalando un pullover. L’avversario vero oggi è il vicino di casa: «C’è una piccola cricca che fa i soldi sulle sovvenzioni statali per l’immigrazione, il resto di noi si impoverisce». Salvatore, 45 anni, titolare dell’autonoleggio Mikael, sostiene che l’allarme sbarchi, amplificato dai media, abbia terrorizzato i turisti, calati di oltre 40 per cento: «Ho chiuso la stagione 2005 guadagnando 150 mila euro, lo dico senza vergogna. Ora che siamo quasi agli sgoccioli non ho incassato neppure la metà». Basta fare una passeggiata tra cala Guitgia e il porto per capire a cosa alludono i cospiratori. Le automobili della polizia e i defender dei carabinieri, concentrati in pochi affollatissimi parcheggi, raccontano quali sono gli hotel che si avvantaggiano dagli ospiti d’eccezione. Perché è vero che a Lampedusa i turisti possono toccare anche quota 20 mila, ma, nel loro piccolo, le forze dell’ordine e il personale umanitario raggiungono almeno le 400 unità. Forestieri che mangiano, dormono, consumano, e, soprattutto, rimangono qui dal 1° gennaio al 31 dicembre. L’albergo Baia Turchese, per esempio, è la base dei carabinieri. Un centinaio di persone alloggiate a pensione completa che nel poco tempo libero sorseggiano una bibita e giocano a biliardo nella hall dominata dal poster del film su Lampedusa «Respiro», con Valeria Golino. Un giovane militare dall’accento nordico, di ritorno dal turno al Cpt, ammette: «Siamo un bell’affare, ognuno di noi costerà non meno di 300 euro al giorno». Il proprietario del Baia Turchese, Tomasino Lombardo, padre dell’assessore al Turismo Giandamiano Lombardo, divide la torta con l’hotel Paladini di Francia, dove sono sistemati i poliziotti. Ma, a pranzo e a cena, confluiscono tutti sulla terrazza panoramica di Tomasino, affacciata sulla spiaggia bianchissima. Niente di personale con i fortunati vincitori delle gare d’appalto, ripetono gli esclusi. Solo che «il business degli immigrati non si limita a ingrossare i portafogli di due o tre famiglie, ma svuota tutti gli altri». Perché l’economia umanitaria comprende una filiera che va dal grande albergo-ristorante riservato alla security al forno Maggiore, da cui Gianfranco tira fuori ogni mattina 7-800 panini per gli uomini e e le donne rinchiusi nel Misericordia di Dio. Quantità impensabili per la clientela dei villeggianti, abituati a uno spuntino sui chioschi in riva al mare. E poi c’è la fornitura dell’acqua, i surgelati, la frutta. Carmelo, titolare della bottega in via Andrea Anfossi, ha consegnato ieri 70 chili di prugne, 90 chili di pesche domenica. E la richiesta non è neppure al top del suo potenziale: «Lo scorso anno i clandestini erano di più e, lo ammetto, le cose andavano ancora meglio. Adesso il Centro funziona addirittura troppo bene, le persone restano dentro un giorno, massimo due e vengono mandate via. Per chi ci lavora come me sarebbe meglio una permanenza maggiore». Andatelo a spiegare ai pescatori tipo Pietro Costanza, pronti alle barricate perché per loro «gli africani sono dei poveracci disperati sfruttati in patria tanto quanto qui». Che vedano terra da vivi, o che non la vedano mai. «Neppure i corpi dispersi in mare sfuggono alla logica del marketing», continua Pietro. «Servono agli stipendi di chi li cerca e alla gloria di chi li trova». Agli altri, come lo chef Antonio, in arte Yair, anima della trattoria Ucalaciune, non resta che protestare: «Che fine farà il commercio del pesce azzurro quando sarà consolidato il messaggio che queste acque sono piene di cadaveri? Nessuno lo comprerà più». Anche lui, ci tiene, non ce l’ha affatto con i migranti: «Sono stato uno dei primi ristoratori a mettere la mia cucina a disposizione di questi uomini e queste donne costretti dalla fame a rischiare tutto, il Centro ancora non esisteva nemmeno». E non esisteva l’economia che ci ruota intorno. Pietro, Salvatore, Gianfranco, quelli borderline rispetto al nuovo trend dell’isola scommettono che se il governo chiudesse il Misericordia di Dio ci sarebbe una rivoluzione guidata dai lampedusani «integrati». Ma se non lo chiude, la faranno loro. Francesca Paci