Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2006  luglio 14 Venerdì calendario

ROVERARO Gianmario Albenga (Savona) 24 maggio 1936, luglio 2006 (assassinato). Finanziere • «Sembra che l´unica cosa valida per tutti, quando si parla di Gianmario Roveraro, siano i dati anagrafici e il curriculum professionale

ROVERARO Gianmario Albenga (Savona) 24 maggio 1936, luglio 2006 (assassinato). Finanziere • «Sembra che l´unica cosa valida per tutti, quando si parla di Gianmario Roveraro, siano i dati anagrafici e il curriculum professionale. Nei giudizi sull’uomo, si ricompongono le antiche fazioni. Quelli che una volta avremmo definito accoliti della ”finanza bianca”, secondo i quali era uomo di grandi intuizioni, l’innovatore che sdoganò i fondi comuni nell’Italietta finanziaria degli anni ”70, facendo della Sige un concorrente di Mediobanca. Quelli più laici – o anche molto laici, come appunto Enrico Cuccia e i suoi epigoni della cultura azionista – che vedevano nel finanziere scomparso un mezzo maneggione, spesso agganciato al carro politico e attore di operazioni dalle genesi o dagli esiti poco chiari, come la proposta di salvataggio di Federconsorzi, la cessione di Polenghi a Cragnotti, la quotazione della Parmalat di Tanzi. Riemerge una disputa classica, una querelle che lui, ai tempi, aveva così troncato: ”La finanza non è cattolica, né laica o massonica, è semplicemente finanza”. Di sicuro lui cattolico lo era, di un cattolicesimo un po’ ostentato, ortodosso. E anche democristiano, era: non dossettiano, alla Andreatta, piuttosto legato alla corrente di Goria e all’Opus Dei, di cui era soprannumerario. Di queste appartenenze, Roveraro ha lasciato ampie prove. La Fondazione Rui, che gestiva collegi universitari formati dalla Prelatura dell´Opus Dei. La Faes, associazione con analoghi fini ma che spaziava per tutte le età scolari. A Milano l’Humanitas, prima pietra di un complesso ospedaliero. Nato ad Albenga nel 1936, fisico imponente – da giovane fu anche campione di salto in alto, il primo italiano sopra i 2 metri [...] quando ancora si saltava ”di pancia” – Roveraro rimane comunque tra i finanzieri più intraprendenti dalla metà degli anni ”70 e per un ventennio. Sposato con tre figli, dopo gli studi economici entrò nel mondo borsistico finanziario. Prima alla Centrale, poi alla Sade e di lì alla Sige, braccio operativo dell’Imi dove resterà un decennio, facendolo crescere nel risparmio gestito – diffondendo nel paese i primi fondi comuni – e nelle sofisticatezze di banca d’affari, alla portata delle medie imprese (al contrario di Mediobanca, che allora viveva solo di grandi nomi). Nell’87 ruppe coi vertici dell’Imi, che mal ne sopportavano il carattere accentratore e orgoglioso verso la sua creatura. Raccolse un centinaio di investitori e con pochi denari fondò Akros. Seguì un altro decennio discreto, a cavallo dell’onda lunga di Piazza Affari, di cui intanto gli italiani si erano accorti. Ma nel ”97, complice la correzione sull’azionario e il nuovo boom immobiliare, Akros virò sul mattone. All’inizio tutto bene, come dimostra l´affare dell’Hotel Continental di via Manzoni a Milano. Ma in breve, su un investimento di 250 miliardi (di lire) Akros si trovò a perderne 290. In tal modo Roveraro fu disarcionato dalla sua creatura, ed essa smembrata e ceduta a Bipop e poi a Bpm. [...]» (Andrea Greco, ”la Repubblica” 14/7/2006). «Era il migliore dei ”centralini”, quei ragazzi di belle speranze che lavoravano alla Centrale, la finanziaria del vecchio gruppo Ambrosiano; è stato il banchiere cattolico - con esplicita e orgogliosa adesione all’Opus Dei - per definizione; è l’uomo che ha vissuto da protagonista stagioni rischiose del capitalismo italiano, strette tra la tragica scalata di Raul Gardini alla Montedison e il crack Parmalat. Per trent’anni e passa sempre in movimento, ma in fondo sempre fermo al crocevia della finanza che conta, Gianmario Roveraro. Dai primi passi come analista - nella Milano degli Anni 60 - nello studio dell’agente di cambio Isidoro Albertini, al battesimo del fuoco nella finanza operativa all’Imi. Nel 72 i fondi di investimento sono ancora un oggetto non identificato nei cieli della finanza italiana, ma lui - che sui fondi ha dato addirittura la tesi di laurea a Genova - ha già sentito odore d’affari: assieme al finanziere Francesco Micheli lancia Interfund, primo fondo di diritto lussemburghese. La loro sede romana è a un indirizzo celebre: via Parigi 11. Due piani sotto di loro c’è un coinquilino che si chiama Michele Sindona. Per il banchiere non ancora banchiere, l’Imi diventa la pista da cui spiccare il grande balzo. Prima è alla Sade del gruppo Montedison, poi torna proprio all’Imi, è il 74, ma con un ruolo di tutto rilievo: è amministratore delegato della Sige, la banca d’affari del gruppo il cui obiettivo, spiegherà poi, ”è mobilitare il risparmio delle famiglie verso le imprese”. Quando ne assume il comando conta quindici dipendenti; quando se ne va con uno strappo netto con il gran capo dell’Imi Luigi Arcuti i dipendenti sono diventati duecento, i miliardi gestiti trentamila. Ma perché lo strappo? Arcuti non ha proprio apprezzato due operazioni condotte da Roveraro: il finanziamento alla scalata condotta dalla Montedison di Mario Schimberni alla Bi-Invest di Carlo Bonomi (quella che fa esclamare a Giovanni Agnelli: ”Fondiaria humanum, Bi-Invest diabolicum”) e l’operazione fotocopia in cui aiuta Raul Gardini ad andare all’assalto proprio di Montedison. Il ”salotto buono”, Mediobanca in testa, non glielo perdona. Quella galassia composita che è la finanza cattolica ha atteggiamenti più sfumati. Roveraro partecipa al gruppo Cultura Etica Finanza che si stringe attorno a Caloia, a Giovanni Bazoli, a Piero Schlesinger. Con alcuni, come lo stesso Schlesinger e Alberto Gotti Tedeschi, ha rapporti fraterni. Con altri i legami sono assai meno stretti, talvolta conflittuali. Chiusa l’esperienza Sige nell’86, Roveraro si mette in proprio. Fonda la Akros, che con il suo nome in locandina prende il volo. Il Gotha del capitalismo italiano vuol mettere i suoi soldi in mano a quel banchiere: ci sono gli Agnelli e De Benedetti, Raul Gardini ma anche il patron della Nutella Michele Ferrero, la Ras guidata dal fraterno amico Roberto Zanni e la Popolare di Milano condotta dall’altrettanto amico Schlesinger. Nell’ufficio di piazza San Fedele l’unica nota di lusso sono le litografie di Mirò alle pareti. A chi gli parla di finanza cattolica, Roveraro risponde che la definizione non ha senso: ” vero che ci sono anche nella finanza i cattolici e mi auguro che siano cattolici fino in fondo nel lavoro che compiono”. in Akros che la strada di Roveraro si incrocia con quella di Calisto Tanzi. Il banchiere cattolicissimo e il cattolicissimo imprenditore si trovano e non si lasciano più: Akros porta in Borsa la Parmalat nel 1990 e - scriveranno poi i pm di Parma - ”grazie ad un diretto investimento contribuiva ad ingenerare fiducia negli investitori sulla bontà e serietà dell’operazione”. E sempre Roveraro interviene tre anni dopo quando c’è da garantire una ricapitalizzazione da 427 miliardi per il gruppo di Collecchio che già scricchiola. Di Tanzi è tanto intimo che lo porterà a Milano, a parlare proprio al gruppo Cultura Etica Finanza sul tema: ”Esiste un’esperienza cristiana d’impresa?”. Anche la Akros, però, non è destinata a durare in eterno: alcuni investimenti immobiliari sbagliati e la mossa della Commercial Union, l’assicurazione britannica che è diventata primo socio della finanziaria, mettono fuori Roveraro nel 1997. Il gioco della grande finanza è finito, lui riparte dal basso. Negli ultimi mesi crea una galassia di società che hanno come comune denominatore il nome Yard e ”l’attività immobiliare”. Forse sta proprio là la chiave del mistero» (Francesco Manacorda, ”La Stampa” 14/7/2006). «Il primo azzurro a superare i due metri. Il nome Roveraro nel mondo dell’atletica è associato all’abbattimento di un muro storico. il 9 settembre 1956 e a Lugano quel ragazzo di vent’anni valica 2.01. [...] è stato il numero uno del salto in alto in Italia dal 1954 al 1959. Le foto d’archivio rimandano l’immagine di un ragazzo che valica l’asticella con una tecnica d’altri tempi. Non il Fosbury, non il ventrale. E’ l’’Horine”, un passaggio inventato negli Stati Uniti a inizio secolo. Con questa tecnica, vince i campionati italiani assoluti a soli 18 anni. Due anni dopo realizza il primo dei suoi tre primati nazionali (1.99). Fa le prove generali per quello che diventerà il suo salto più celebre: il 9 settembre 1956 è a Lugano a vestire la maglia azzurra. Per vincere la gara si spinge oltre i 2 metri. Lui pensa alla misura tonda, ma poi i giudici rimisurano la quota e si rendono conto che ha valicato 2.01. Fresco di primato, Roveraro viene convocato per l’Olimpiade di Melbourne. Nell’ultimo allenamento prima di partire per l’Australia rimedia però uno stiramento e, da infortunato, non va oltre le qualificazioni. Peccato: il sesto di quella finale olimpica si ferma a 2 metri. L’anno dopo un altro record, un 2.02 propiziato dalla scarpa a suola rialzata perfezionata dal russo Stephanov. Intanto proseguono gli studi di Economia e Commercio e così nel ”60, quando si frattura un piede, rinuncia ai Giochi di Roma e si laurea con una tesi sui fondi comuni. Tra i suoi compagni di Nazionale di quegli anni c’è Livio Berruti. «’Mi ricordo di lui – spiega il campione olimpico dei 200 metri ”. Il suo nome, lo associo al mio esordio azzurro. Il 28 luglio 1957 eravamo all’Heysel di Bruxelles per il Sei Nazioni e le uniche vittorie italiane furono di Consolini e di Roveraro”» (Andrea Schiavon, ”La Gazzetta dello Sport” 14/7/2006).