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 2006  maggio 04 Giovedì calendario

E Bertinotti alla Camera si porta Coppi e Bartali. Corriere della Sera 4 maggio 2006. Prima di tutto, il poster in bianco e nero: Fausto Coppi e Gino Bartali che si passano la borraccia

E Bertinotti alla Camera si porta Coppi e Bartali. Corriere della Sera 4 maggio 2006. Prima di tutto, il poster in bianco e nero: Fausto Coppi e Gino Bartali che si passano la borraccia. Fausto Bertinotti non ha ancora scelto la parete su cui la appenderà, ma ha già detto ai suoi collaboratori che a quella foto non rinuncia. Per tanti anni ha campeggiato nella sua stanza al partito, e adesso dovrà essere nel suo nuovo ufficio di presidente della Camera. D’ altronde, si sa, lui è un grande tifoso di Coppi, anche se i compagni del sindacato lo chiamavano Malabrocca (come la storica maglia nera del Giro), perché alle riunioni rimaneva sempre l’ ultimo. Tutti gli oggetti personali sono stati tolti dalla sua stanza nella sede nazionale di Rifondazione, in viale del Policlinico, a Roma. E imballati ordinatamente, per essere riposti in scatole da trasloco. Tra questi, anche la collezione di biglie e il gatto di porcellana bianca, ai quali Bertinotti tiene in maniera particolare. Tanto da aver chiesto più volte, in questi giorni, con una punta d’ ansia: «Ma il gatto e le biglie, me le faranno mettere lì, nel nuovo ufficio? Che dite?». E anche i manifesti sindacali, molti del periodo della sua militanza a Torino nella Cgil. Anche quelli Bertinotti vuole portare nella sua stanza alla Camera. Pezzi di vita ai quali non intende assolutamente rinunciare. Pur essendo perfettamente consapevole che, per il suo ruolo di presidente, a qualcosa dovrà pur dire di no. In questo senso, ha cominciato lunedì primo maggio, nella «sua» Torino, quando ha sfilato in corteo. «Fausto, Fausto», lo acclamavano. E lui, lasciandosi guidare un po’ dall’ istinto e un po’ dall’ abitudine, prima ha alzato il braccio chiudendo tre dita. Due, tre secondi... Poi le ha subito riaperte. No, niente pugno chiuso, deve aver pensato. E così il compagno Fausto ha inaugurato il nuovo corso del saluto a mano aperta. «Sono qui da presidente della Camera, a rendere omaggio a questa città. Ma sono commosso, un’ accoglienza così non me la aspettavo», dirà poi con gli occhi umidi, quasi in lacrime. In lacrime come quest’ ultimo 25 aprile, quando già si sapeva che sarebbe stato lui il nuovo presidente della Camera. Bertinotti, in macchina, stava andando a Marzabotto per la cerimonia di commemorazione. Guardava fuori dal finestrino quando ha sussurrato: «Certo, se adesso mi vedesse mio padre. Io presidente...». Ed è scoppiato in lacrime, pensando a Enrico Bertinotti, recluta a Caporetto, spalatore di carbone sulle locomotive a vapore e macchinista. Socialista convinto. Della sua stanza a Montecitorio, invece, Fausto Bertinotti ha preso possesso da un paio di giorni. Ha già conosciuto anche i dipendenti. «Ma quanto è cortese - ha raccontato uno di loro -. Ti incontra una, due, tre volte? Beh, ti saluta e ti stringe la mano una, due, tre volte. Una gentilezza inaspettata. Anche esagerata, se vogliamo. Sì, perché noi mica ci siamo abituati...». Intanto, per inaugurare il nuovo corso, Bertinotti ha anche deciso di accantonare lo spoils system: tutti i nominati dal suo predecessore, Pier Ferdinando Casini, dovrebbero essere confermati, tranne casi eccezionali. Come a dire: preferisco valutare il valore delle persone, non l’ origine politica della loro nomina. E però, è chiaro che la sua decisione non passerà inosservata. Come non è passata inosservata la scelta di rinunciare alla tradizionale scorta in dotazione del presidente della Camera. Niente auto blu che precedono e seguono la sua vettura, e di conseguenza niente cortei a velocità sostenuta e lampeggianti accesi. Come anche niente auto di scorta sotto casa. A Torino, Fausto Bertinotti si è presentato con una sola macchina, così come faceva da segretario di Rifondazione, e i soliti accompagnatori: un autista e un uomo di scorta. Punto. Anche se raccontano che è stato arduo convincere gli sbigottiti responsabili sicurezza di Montecitorio che a lui, beh, andava bene così. Tanto che sulla macchina sotto casa sarebbe stata tentata una mediazione. «Presidente - gli avrebbero detto con voce conciliante -, ci pensi, almeno due uomini in borghese... Non li noterebbe nessuno. E noi saremmo tutti più tranquilli. Che ne dice?». Silenzio. Risposta: «Diciamo che ci penso. Ma che, per ora, non se ne fa nulla». Angela Frenda