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 2006  maggio 04 Giovedì calendario

BAVAGNOLI

BAVAGNOLI Carlo Piacenza 5 maggio 1932. Fotografo • «Volete sapere come nasceva Life? Henry Luce, il fondatore, diceva che era come mettere su uno spettacolo a Broadway: ogni mercoledì sera, quando veniva chiuso il numero, cresceva l’adrenalina proprio come dovessimo andare in scena. Intorno alle pagine c’era un’emozione tangibile, sapevamo di dover passare l’esame della selezione, si sceglievano i servizi secondo la loro forza emotiva, in una alternanza di toni leggeri e racconti dolorosi. Come la vita, appunto. Ma soprattutto c’era una cosa: il rigore assoluto. Alta professionalità mischiata a sublime invenzione. Nessuna ideologia, solo la forza dell’immagine. Non come le facili foto che si pubblicavano nello stesso periodo in Italia. Anche quelle del tanto osannato Mondo di Pannunzio. Foto che avevano bisogno di una didascalia per essere capite. Foto costruite in funzione di un messaggio preordinato. Bastava mettere insieme un prete con due carabinieri e il titolo era presto fatto: lo Stato al servizio della Chiesa”. [...] unico fotografo italiano nello staff di Life, la rivista che ha segnato la storia del fotogiornalismo [...] quello di Bavagnoli è sempre stato uno sguardo attento alla realtà senza preconcetti ma anche uno sguardo rivolto alla dignità dell’uomo. Formula che era nel codice genetico di Life. ”Non c’è mai stata una censura”, racconta. Un diktat però sì: ”Niente sangue! Diceva sempre Ed Thompson, lo storico direttore. Ero in redazione quando nel ”72 arrivarono le fotografie dell’Associated Press di Nick Ut del massacro di My Lai, quelle della bimba bruciata che scappava urlando dal napalm. Mi chiamò un grafico: ”Vieni a vedere, è terribile’ disse. Ci rendemmo conto della forza di quelle immagini, del potere straordinario che potevano avere quelle foto per scuotere le coscienze. Il direttore disse: ”Dobbiamo fare qualcosa contro questa guerra assurda. Allora pubblicammo una doppia pagina con tutte le foto dei giovani americani morti in quella settimana in Vietnam. La reazione fu enorme”. Bavagnoli ha smesso di fotografare. Ha uno sguardo distaccato, di chi ha toccato il meglio, incontrato gente straordinaria, in qualche modo coronato un sogno. [...] ragazzo, lasciata Piacenza per Milano, condivideva una stanza in via Solferino 8, con Luciano Bianciardi, Mario Dondero e Ugo Mulas. Erano i giorni della Vita agra in una Milano, quella del Jamaica, sofferta e sognatrice, piena di utopie e disincanti. Bianciardi nel suo romanzo si ispirò anche a lui. Bavagnoli viaggia sul filo della memoria, va ai giorni in cui aveva come compagno di banco, al 28°piano del palazzo sulla ”Avenue of America” di New York, quel Andreas Feininger, grande ritrattista celebre per quell’immagine antropomorfa e simbolo del lavoro del fotografo in cui la macchina fotografica diventa parte stessa del volto: occhi, naso, bocca. Ricorda gli amori tra i colleghi, la volontà esasperata di sperimentare idee e tecniche nuove, la competitività, che già nel ”36 animava gli sfottò tra i giornalisti di Time e quelli di Life. ”Square farms”, venivano chiamati quelli di Life, come dire gente quadrata di campagna. E loro, rispondevano con uno slang irripetibile a segnare la spregiudicatezza dei giornalisti di Time. Ovvero, gente che passerebbe anche sul corpo della mamma. Ma era la passione il segno distintivo, il bisogno di dare sempre il meglio e più degli altri: ”Era un insieme di umanità straordinaria, di musicisti, architetti, ingegneri che facevano i fotografi. Tutta gente che portava il proprio sapere con energia infinita. C’era una competitività enorme. Ma una profonda onestà intellettuale. Che si vedeva nella selezione severissima dei reportage. Venivano realizzati e impaginati ogni settimana servizi per fare addirittura tre giornali. Alla riunione decisiva solo uno su tre passava. Servizi durati mesi venivano buttati via. Pensate a quanti soldi al vento”. Il tema economico è un punto centrale, irripetibile e forse oggi del tutto impensabile per qualsiasi giornale. Ma Life era una macchina da soldi, otto milioni di copie vendute. E non si badava a spese nel giornale più influente d’America. Basti pensare ai funerali di Churchill. Bavagnoli racconta emozionandosi come fosse ancora lì, all’aeroporto di Heathrow appena finito di fotografare con gli altri sette colleghi l’addio dello statista: ”Per chiudere in tempo, Life aveva affittato un enorme Boeing completamente trasformato in giornale volante. I redattori scrivevano, i rullini venivano sviluppati in volo, i grafici impaginavano. All’arrivo a Chicago, dove c’era la tipografia, il giornale era pronto, giusto in tempo per andare in stampa. Life era anche questo”» (Gianluigi Colin, ”Corriere della Sera” 4/5/2006).