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 2006  maggio 03 Mercoledì calendario

Lo strano vocabolario dei nostri politici. La Repubblica 3 maggio 2006. Nel giorno in cui Fausto Bertinotti dedicava la sua elezione a presidente della Camera a "operaie e operai", l´ex prefetto Bruno Ferrante, candidato sindaco di Milano, deprecava l´annunciata partecipazione della sua rivale Letizia Moratti alla manifestazione milanese per il Primo Maggio

Lo strano vocabolario dei nostri politici. La Repubblica 3 maggio 2006. Nel giorno in cui Fausto Bertinotti dedicava la sua elezione a presidente della Camera a "operaie e operai", l´ex prefetto Bruno Ferrante, candidato sindaco di Milano, deprecava l´annunciata partecipazione della sua rivale Letizia Moratti alla manifestazione milanese per il Primo Maggio. Letizia Moratti è, o sarebbe, una "padrona", e non si è mai visto un padrone sfilare il Primo Maggio con i lavoratori. Operai e padroni: sarà anche un caso ma è come se dalle credenze della politica siano state estratte antiche chicchere, inutilizzate da decenni, fuori moda e forse polverose, in cui servire il rosolio. Oggi i padroni si chiamano datori di lavoro, capitani d´impresa, top manager, grandi azionisti, capi, boss o megaboss; gli operai si chiamano dipendenti o manodopera, gli impiegati sono collaboratori, quadri, staff (indimenticabile neologismo della stessa Letizia Moratti, quando cinque anni fa si stava insediando al ministero della Pubblica Istruzione e sceglieva i collaboratori: «Non ho ancora visto i dossier, per ora sto staffando»). Le segretarie sono assistenti, i precari sono lavoro flessibile, gli apprendisti sono stagisti, il lavoro stesso si chiama attività, collaborazione, sforzo comune. Nebulose di eufemismi, a volte anglicizzanti, sempre fuorvianti, circondano la realtà pura e semplice: il lavoro non è liberato, e non lo sarà. I lavoratori percepiscono salari e stipendi in contropartita della loro prestazione d´opera alle aziende. Le aziende sono governate in linea gerarchica, l´area di garanzia è ristretta al lavoro dipendente ma l´assunzione non è più lo sbocco naturale dopo lo studio e l´apprendistato. Questo è il dato di fatto, il resto è fondotinta lessicale. Ciò che vi è di più curioso nella vicenda dei candidati milanesi è che il termine "padrona" è stato avvertito come una parola forte, se non proprio come un insulto: ma nessuno fra i sarcastici propugnatori del linguaggio politicamente scorretto si è erto a elogiare la franchezza di Ferrante (che già all´epoca delle primarie si era distinto per aver chiamato "giullare" il rivale Dario Fo, che gli dava del "poliziotto"). L´ironia con cui si accolgono gli espedienti verbali per nominare absit iniuria i poveracci ("portatori di handicap", "diversamente abili", "persone di colore") non scatta quando si chiama padrone un padrone. Letizia Moratti è stata a capo di un´importante agenzia di brokerage ed è sposata a un petroliere; nel periodo in cui è stata alla presidenza della Rai non ha certo usato un metodo che spiccava per cautela e collegialità delle decisioni, e ci si ricorda soprattutto dei conflitti epici con la Direzione Generale dell´azienda. Insomma, è una persona che comanda: ha il carattere e la possibilità materiale di comandare, ama farlo e probabilmente sa come si fa. Come l´avrebbe chiamata l´ammiratissimo Barney di Mordecai Richler? Forse nella nebulosa di nuovi significanti che ne rendono opaca l´identità il lavoro ha anche cambiato significato, e come lui la sua festa del Primo Maggio. Vie terze e terziarie hanno confuso le relazioni fra datori di lavoro e dipendenti e nulla, nel mondo del lavoro, ha conservato un nome proprio. "Padrona" oggi è un termine che è in corso solo nell´archeologia del "Scior padron da li belli braghi bianchi" o al massimo nei teatrini del sadomaso. Fra il presidente della Camera con i suoi operaie e operai e il candidato a Palazzo Marino con la sua padrona, uno dei due si è poi pentito della scelta lessicale, e non è stato Bertinotti. Peccato. Per quella volta che Ferrante ne diceva una bella e chiara... Stefano Bartezzaghi