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 2006  aprile 30 Domenica calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 1 MAGGIO 2006

Un editoriale sulla presidenza delle Camere apparso nel Corriere di qualche giorno fa, era intitolato «Pessimo spettacolo». Sergio Romano: «Forse sarebbe stato preferibile dire che lo spettacolo era brutto e lasciare ”pessimo” per quello che poteva accadere e che è puntualmente accaduto al Senato fra venerdì e sabato». [1]

La maggioranza, sia pure di due soli voti, non è mai venuta meno. Eugenio Scalfari: «Sulla carta (esclusi i senatori a vita) il centrosinistra aveva al Senato 158 seggi e il centrodestra 156. Nella prima votazione di venerdì scorso ha avuto 157 voti contro i 140 di Andreotti e i 15 di Calderoli (155 in totale). Sono mancati un voto al candidato dell’Unione e un voto al candidato della Cdl. Nelle successive votazioni (quelle funestate da ”Francesco-tiratori”) Marini non è comunque mai sceso sotto ai 159 voti validi, fino ai 165 della votazione della vittoria, con una maggioranza di 9 voti sull’avversario. Questi sono i numeri. Lo sbando del centrosinistra non c’è mai stato e l’Unione ha tenuto in tutte le sue componenti». [2]

Quello che è accaduto non può tranquillizzare nessuno. Massimo Giannini: « un test inquietante, che anticipa il sicuro Vietnam parlamentare al quale il centrosinistra sarà condannato comunque nei prossimi mesi. ”La maggioranza tiene”, ha detto Franco Giordano, prossimo segretario di Rifondazione, dopo la prima fumata nera su Marini. tutt’altro che una consolazione. Una maggioranza stabile, se esiste come tale, non ”tiene”, ma si impone con la forza dei numeri, per quanto esigui e millesimati, ogni volta che è richiesta una conta. In caso contrario, rischia di essere solo una maggioranza variabile. Esiste in teoria, ma nella pratica è costretta ogni volta a scommettere il tutto per tutto fino all’ultimo voto, con la minaccia costante dei franchi tiratori nel voto segreto o degli assenti ingiustificati in quello palese». [3]

Prodi e l’Unione non possono archiviare quello che è successo al Senato alla stregua di un incidente di percorso. Paolo Franchi: «Sarebbe un errore grave. Anzi, catastrofico. Perché la realtà, anche quando è dura, bisogna guardarla in faccia. Si trattava di eleggere subito nell’unico modo possibile, e cioè con una grande prova di compattezza, il proprio candidato alla seconda carica dello Stato. E il centrosinistra, alla fine, non ce l’ha fatta. Niente happy end, contro le previsioni». [4]

Dire la verità in questa fase potrebbe essere il contrario del tafazzismo. Maria Laura Rodotà: «Non dirla potrebbe rendere meno credibili; potrebbe far pensare che da una maggioranza arrogante (anche i non arroganti lo erano, a volte, forse per farsi coraggio e votare certe leggi) si sia passati a una maggioranza (precaria al Senato) a rischio ipocrisia; e non aiuterebbe a creare consenso. Forse i leaders del centrosinistra dovrebbero prendere esempio dai loro colleghi che nel bel mezzo della figuraccia francofrancesca erano sinceri. Anche i colleghi con cui sono sposati, basta con le polemiche sulle consorti. Per dire: venerdì notte il segretario ds Piero Fassino si proclamava ”tranquillissimo”; la moglie senatrice Anna Serafini diceva ”mi viene il voltastomaco”. Era venuto anche ai cittadini telespettatori. Viva lei». [5]

Se il buongiorno si vede dal mattino, e se, come molti dicono, il voto alla Camera e al Senato è stato una sorta di prova generale, la lezione che se ne ricava è che il prossimo governo durerà. Tenuto insieme dal più primario, istintivo e indissolubile dei vincoli: la paura. Lucia Annunziata: «I fantasmi, si sa, non esistono. Ma le ombre sì. E la paura di perdere, di scomparire, alla fine, sembra aver potuto più di ogni divisione ideologica, e/o personale. Potrebbe, appunto, essere questa la ricetta dei prossimi cinque anni». [6]

«Ora basta trattarci come straccioni: l’Udeur è determinante. Prodi ha paura solo di Bertinotti, e sbaglia. Deve temere anche me» (Clemente Mastella). [7] Concita De Gregorio: «La questione era questa: il senatore Mastella, già garantito nella sua designazione a ministro della Difesa personalmente da Romano Prodi venerdì pomeriggio (la telefonata è arrivata alla vigilia della seconda votazione), non voleva dimettersi dal Senato come invece la regola delle incompatibilità voluta da Prodi stabilisce. Grave impasse risolta nella notte: si farà per Mastella un’eccezione, in virtù della sua posizione di segretario di partito sarà ministro e senatore insieme. Perciò ecco che all’ora di pranzo del 29 aprile, sciolto il nodo Mastella, i tre ”Francesco Marini” della vigilia si trasformano finalmente in ”Franco senatore Marini”: tre voti identici come tre firme, tre promesse mantenute». [8]

Mastella ha mantenuto la sua promessa. Adesso si aspetta che Prodi faccia altrettanto: «Il nostro sì è solo perché c’è un girone di ritorno, nel senso che c’è un governo da fare. E a questo punto devono stare tutti molto attenti. Io ho chiesto la Difesa e non transigo. Pannella vuole Bonino? Di cattivo gusto dire così. Ho l’esperienza giusta per questo incarico. Istruzione? Non ci provassero, si beccano l’appoggio esterno». [7]

Il successo di sabato consacra Marini presidente del Senato, ma toglie un voto alla sua maggioranza. ”Corriere della Sera”: «Il problema rischia di riproporsi aggravato al momento della formazione del governo Prodi. Il lodo che prevede l’incompatibilità tra cariche parlamentari e ministeriali non sembra avere vita facile: sono molti i senatori che aspirano a una carica di ministro o sottosegretario. Eppure, si ha la consapevolezza che ogni nomina nell’Esecutivo promette di rendere ancora più fragile la tenuta dell’Unione a palazzo Madama; e più esposta agli agguati dell’opposizione.
Sono note le ambizioni di personalità come il leader dell’Udeur, Clemente Mastella, e del senatore della Margherita Tiziano Treu. Nei giorni scorsi lo stesso Lamberto Dini era stato additato come possibile ministro, ma aveva smentito. E a incarichi di prestigio sono candidati i diessini Gavino Angius, Livia Turco e Anna Finocchiaro. Si parla di dicasteri come Giustizia, Sanità: tali, insomma, da richiedere un impegno e una presenza costante. Un problema per l’Unione al Senato». [9]

Prodi ha fatto un buon proposito quando ha detto di puntare ad essere il presidente del governo di tutti gli italiani. Paolo Pombeni: «Per farlo ha bisogno di un clima di sostegno e di consenso civile, che è qualcosa di più di una maggioranza parlamentare. Almeno sui grandi obiettivi bisogna che apra un confronto vero col paese, che indubbiamente è rappresentato anche da una opposizione che ha un insediamento sociale considerevole. Deve avere il coraggio di lanciare una politica delle cose, che magari scontenterà i professionisti dei talk show e delle dichiarazioni televisive delle due parti, ma che troverà senz’altro ascolto in un paese che chiede di non perdere la sua posizione nel mondo, e quindi anche in tutte le rappresentanze responsabili che siedono in parlamento. Nessuno propone inciuci: basta la fiducia nella razionalità dei progetti e nella possibilità di dialogo fra tutti coloro che, pur da posizioni diverse, sono interessati al bene del paese, e poi si può benissimo lavorare con una corretta dialettica fra maggioranza e opposizione, come in ogni democrazia parlamentare». [10]

La prima giornata della nuova legislatura ha dimostrato, con chiarezza e drammaticità, quali saranno le condizioni politico-parlamentari nelle quali Prodi cercherà di governare il nostro Paese. Luigi La Spina: «Non tanto per la constatazione di quanto sia difficile assicurare costantemente al Senato la maggioranza di centrosinistra, poiché il dato elettorale già l’aveva resa evidente. Ma l’annullamento del secondo turno di voto per l’elezione del presidente del Senato, un fatto inedito nella storia della nostra Repubblica, ha rivelato un clima nel quale una situazione già molto difficile viene aggravata da comportamenti di una classe politica non all’altezza delle attese di quei cittadini che, pochi giorni fa, l’hanno votata». [11]

Per sopravvivere in queste condizioni non basta proclamarsi vincitori. Romano: «Occorre distinguere i settori in cui il governo ha il diritto di fare la propria politica (economia, fisco, lavoro, rapporti con Bruxelles) da altri, più istituzionali, in cui il governo può, nell’interesse del Paese, avviare un dialogo con l’opposizione. Ve ne sono almeno due. Il primo è l’elezione del presidente della Repubblica. Il secondo è il referendum confermativo sulla riforma costituzionale del governo Berlusconi alla fine di giugno. Se rileggerà quel testo attentamente, la nuova maggioranza si accorgerà che contiene novità (i poteri del Premier, le competenze del Senato, la riduzione del numero dei parlamentari) che possono giovare persino al futuro del suo governo. Forse esiste la possibilità di emendare quello che merita di essere corretto e di realizzare finalmente la grande riforma costituzionale di cui il Paese ha bisogno. Un accordo migliorerebbe il clima. E in un clima diverso tutto, anche il cambiamento della legge elettorale, diventerebbe più facile». [1]

Cosa potrebbe accadere nel caso in cui dovesse venire in discussione alla Camera, ormai in stragrande maggioranza proporzionalista, una nuova legge elettorale mirata a correggere gli aspetti più discutibili di quella attuale? Marcello Sorgi: «Oppure se si dovesse riaprire il dibattito in materia di bioetica, vita, aborto e più in generale sui cosiddetti valori, in un Parlamento dove una più forte rappresentanza femminile attende di far sentire la sua voce bipartisan. O ancora, in campo sociale, tra lo schieramento trasversale difensore della flessibilità e, a certe condizioni, del lavoro intermittente, e quello, che pure unisce pezzi di sinistra e di destra, contrario all’istituzionalizzazione del precariato». [12]

Sono solo alcuni esempi, tanti altri se ne potrebbero fare. Sorgi: «In materia di riforme istituzionali (più o meno poteri al premier o al Capo dello Stato), di sicurezza (ordini diversi di priorità tra la ”tolleranza zero” della criminalità e le ragioni del disagio delle periferie), di giustizia (il caso Bologna, con Cofferati da una parte, e dall’altra Rifondazione che rivendica il diritto di criticare i magistrati, è emblematico), di politiche industriali e di modernizzazione (anche quando cede, come sta accadendo sulla Tav, Bertinotti sa far valere le proprie ragioni). Ed è solo un’agenda sommaria delle questioni che ci attendono, un elenco, un calendario, una prospettiva che è impossibile non aver percepito. Forse ormai, rispetto alla novità Bertinotti, la differenza è tra chi, come Prodi, avendola intuita lo dice, e comincia ad attrezzarsi, e chi, come Rutelli, Fassino e D’Alema, non sapendo che fare, prende tempo fingendo di non aver ancora capito». [12]

Provvedimenti e scelte, nei mesi a venire, dipenderanno da troppe variabili. Marco Tarquinio: «Saranno nelle mani dei senatori a vita (con gli ovvi problemi di forma e di sostanza politica che questo comporta). Risulteranno legate agli umori altalenanti dei ”malpancisti” dei due poli e, in particolare, di quelli del centrosinistra. E dipenderanno inesorabilmente dai bollettini medici di stagione (e dalla tempra nonché dal senso di sacrificio dei senatori, ancorché febbricitanti). Se questa è la condizione data per capovolgere l’idea dell’Italia ”grande malata d’Europa” e l’immagine della ”Penisola con le stampelle” propagandate con alacrità negli ultimi tempi di qua e di là dei patri confini, parlare di ironia del destino è forse persino poco». [13]

«Vivere alla giornata e accontentarsi di poco è la parola d’ordine» (Michele Serra). [14]