Sergio Romano, Corriere della Sera, 21/04/2006, 21 aprile 2006
Amendola, interventista nel ’ 15, colonialista nel ’ 22, Corriere della Sera, 21 aprile 20006 Recentemente, ricordando l’ anniversario della morte di Giovanni Amendola, abbiamo letto della sua fiera opposizione all’ incipiente regime, ma pure dell’ appassionata difesa dell’ intervento dell’ Italia nella Prima guerra mondiale
Amendola, interventista nel ’ 15, colonialista nel ’ 22, Corriere della Sera, 21 aprile 20006 Recentemente, ricordando l’ anniversario della morte di Giovanni Amendola, abbiamo letto della sua fiera opposizione all’ incipiente regime, ma pure dell’ appassionata difesa dell’ intervento dell’ Italia nella Prima guerra mondiale. Amendola, come quasi la totalità della borghesia interventista, riteneva che lì, nelle trincee, sarebbe avvenuta la vera unità del Paese. Il Corriere di Albertini fu la punta di diamante dell’ interventismo e l’ implacabile avversario di Giolitti che voleva la neutralità. Ora io le domando: come mai, ancora oggi, non si perviene a una seria critica di una scelta, quella dell’ intervento, senza la quale non vi sarebbe stato nemmeno il fascismo? Con i «se» non si può fare la storia, ma lei non ritiene che quella che fu nei fatti la prepotenza di una minoranza non sia, in maniera chiara, storicamente condannabile? Amendola fu un martire e un grande personaggio, tuttavia questa teoria che il coinvolgimento delle masse in un riconoscimento dello Stato potesse avvenire solo nei massacri e nelle spaventose trincee della guerra, non le sembra la certificazione di una visione prevaricatrice e autoritaria, anticamera naturale della dittatura? Insomma non è giunta l’ ora di far scendere la Prima guerra mondiale dai monumenti? Angelo Rambaldi. angelo.rambaldi@ior.it Caro Rambaldi, ho dovuto accorciare la sua lunga lettera e me ne spiace, ma spero di avere salvato il punto centrale del suo intervento. Potrei risponderle che la critica dell’ ingresso dell’ Italia nel primo conflitto mondiale è stata fatta ormai da buona parte della storiografia del secondo dopoguerra e che un altro libro sullo stesso argomento (ve ne saranno, indubbiamente) non aggiungerebbe molto a ciò che è già stato scritto. Preferisco dirle che certe sentenze storiche a posteriori presentano il grave inconveniente di non permettere alle generazioni successive di comprendere il clima politico e culturale in cui furono fatte scelte che appaiono oggi contrarie alla nostra cultura e alla nostra mentalità. Non basta. Per impedire che certi personaggi, generalmente considerati positivi, vengano travolti da tale giudizio, lo storico-censore finisce per tacere e nascondere gli aspetti della loro vita che appaiono, alla luce della tesi, difficilmente difendibili. il caso di Giovanni Amendola. Uno dei giornali che hanno ricordato la sua morte (Repubblica, se non sbaglio) ha pubblicato una fotografia che avrebbe dovuto suscitare maggiore curiosità. Vi si vede Amendola, in finanziera e cilindro, con un gruppo di notabili arabi e un uomo vestito di una elegante uniforme coloniale. I notabili sono libici, l’ uomo è Giuseppe Volpi e il luogo è Tripoli che Amendola, ministro delle Colonie nel governo Facta dal febbraio del 1922, visitò in luglio. Quando Amendola arrivò in colonia, nel mezzo dell’ estate, le operazioni militari per la riconquista della Tripolitania avevano registrato alcuni successi. In particolare 9.000 uomini, al comando del colonnello Graziani, avevano riconquistato Azizia e liberato il presidio militare di Avia, isolato dai ribelli. Quelle operazioni erano il risultato di un accordo a Roma, nelle settimane precedenti, fra Volpi, governatore della Tripolitania, e il nuovo ministro. L’ accordo divenne ancora più stretto nei mesi seguenti. Volpi ebbe l’ impressione che la classe politica avesse finalmente abbandonato i tentennamenti del passato e puntasse, senza esitare, sulla riconquista militare della colonia. Il 2 agosto del 1922, dopo un rimpasto del governo Facta, scrisse al segretario generale della Tripolitania: «La crisi ministeriale fu lunga e difficile, ma noi possiamo felicitarci soltanto di avere ancora alla presidenza Facta, e che alla testa del dicastero delle Colonie sia rimasto S. E. Amendola, così perfettamente orientato». Il frutto di quell’ orientamento fu una nuova offensiva, preparata durante l’ estate, che iniziò nella seconda metà di ottobre. L’ occupazione di Jefren, fra il 28 e il 31 ottobre, cadde mentre Benito Mussolini stava costituendo il suo primo governo, ma appartiene di diritto alla gestione Amendola. Più tardi, quando il nuovo ministro delle Colonie, Luigi Federzoni, criticò la politica del suo predecessore e lo accusò di cedevolezza verso la Senussia, Amendola si difese in Parlamento e si attribuì il merito di avere «rovesciato la politica che è stata fatta per molti anni in Tripolitania». Come vede, caro Rambaldi, Giovanni Amendola non fu soltanto interventista. Fu anche, nel senso positivo che la parola ebbe per molti in quegli anni, colonialista. Questa constatazione non toglie nulla al suo antifascismo, ma dovrebbe ricordare a noi tutti che nessuno ha il diritto, per meglio appropriarsi di una persona, di censurare una parte della sua vita. Romano Sergio