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 2006  aprile 20 Giovedì calendario

Con i nuovi pozzi sarà superata la crisi del petrolio. Il Sole 24 Ore 20 aprile 2006. La crisi petrolifera che stiamo vivendo non ha niente a che vedere con le tante e improbabili suggestioni sulla "fine del petrolio"

Con i nuovi pozzi sarà superata la crisi del petrolio. Il Sole 24 Ore 20 aprile 2006. La crisi petrolifera che stiamo vivendo non ha niente a che vedere con le tante e improbabili suggestioni sulla "fine del petrolio". Per quanto paradossale, l’alto costo che il mondo paga oggi a conseguenza dei prezzi bassi che per quasi due decenni hanno scoraggiato la ricerca e lo sviluppo di nuovi giacimenti nelle aree più ricche di greggio del pianeta. Con il passare del tempo, la capacità produttiva globale si osì assottigliata: quella non utilizzata - il cuscino necessario a far fronte a momenti imprevisti di crisi - si uasi annullata (oggi timabile in un magro 2% dei consumi mondiali), rendendo il prezzo del petrolio ostaggio di ogni evento politico o climatico, di ogni paura reale o artificiale alimentata da rumours di mercato e speculazione. Per capire come sia stato possibile arrivare a tutto questo, è necessario fare un passo indietro. Da metà degli anni 80 ai primi del nuovo secolo, il greggio ha oscillato mediamente tra i 18 e i 20 dollari a barile, depresso da un eccesso d’offerta che per ben due volte è esploso generando il collasso dei prezzi (1986 e 1998-99). In entrambi i casi, il prezzo del petrolio scese anche sotto i 10 dollari a barile, consolidando la convinzione che l’oro nero fosse diventato "un bene come tutti gli altri". Ma mentre il mondo si adagiava su questa illusione, il fuoco covava sotto la cenere. Ossessionati dal rischio di sovrapproduzione, già nei primi anni 80 i grandi Paesi petroliferi avevano rinunciato a investire nella ricerca di nuovi giacimenti, se non in misura minima, limitandosi a produrre da quelli già attivi. Le proporzioni di questo fenomeno sono impressionanti, ma quasi sconosciute. Negli ultimi 25 anni, oltre il 70% dell’esplorazione petrolifera mondiale si è concentrata negli Stati Uniti e in Canada, aree ormai mature che detengono meno del 3% delle riserve di greggio del pianeta. Di converso, in Medio Oriente le attività esplorative sono state soltanto il 3% del totale mondiale, sebbene la regione controlli oltre il 70% delle riserve. Nell’intero Golfo Persico (65% delle riserve) sono stati perforati meno di 100 pozzi esplorativi tra il 1995 e il 2004: nello stesso periodo, negli Stati Uniti ne sono stati realizzati 15.700. Andando indietro nel tempo, i rapporti non cambiano. In Arabia Saudita, per esempio, sono stati realizzati soltanto 300 pozzi esplorativi dall’avvio dell’epopea petrolifera del Regno negli anni 30 dello scorso secolo, contro alcune centinaia di migliaia negli Usa. Per Iraq e Iran la situazione è ancora peggiore. La Russia paga ancora oggi l’arretratezza tecnologica e i danni alle gestione dei giacimenti ereditati dall’era sovietica, e investe pochissimo per allargare la sua base produttiva. Il Venezuela potrebbe raddoppiare la propria offerta di greggio in dieci anni attraendo capitali e tecnologie straniere: al contrario, ragioni politiche determinano una caduta della produzione. In realtà, la stragrande maggioranza dei grandi Paesi petroliferi ottiene greggio da giacimenti molto vecchi, scoperti nella prima metà del secolo scorso e da allora attivi. In molti casi, la loro produzione è sostenuta da tecnologie e mezzi arretrati che risalgono a 50 o 60 anni fa. Le grandi e piccole compagnie petrolifere occidentali possono relativamente poco di fronte a questa situazione. Nel loro insieme, esse controllano meno dell’8% delle riserve mondiali di greggio. Oltre il 90% di esse è appannaggio di Paesi che ne precludono il controllo a soggetti stranieri e - come si è osservato - sono assai restii a svilupparle in proprio. Mentre il mondo industrializzato teme per la sicurezza dell’offerta futura di energia e del suo prezzo, quei Paesi fino a ieri hanno avuto la preoccupazione opposta: la sicurezza della domanda. Avrebbero retto i consumi di greggio in futuro - si domandavano - o la crisi incipiente era soltanto una bolla destinata a esplodere, come sempre successo in passato? E in questo caso, chi avrebbe ripagato gli investimenti per una capacità produttiva che non avrebbe avuto mercato? Inoltre, perché contribuire a far scendere il prezzo del petrolio quando molti governi dei Paesi industrializzati, attraverso l’imposizione fiscale, lo fanno raddoppiare (Giappone) o addirittura triplicare (Europa)? Ancora oggi questi dubbi aleggiano sui Paesi produttori, ingigantiti dalla situazione interna di gran parte di essi. Non avendo saputo sviluppare settori alternativi al petrolio, quei Paesi ne sono prigionieri, nel senso che "vivono" di petrolio. Questa "monocultura" economica hiamata a sostenere un boom demografico e un’insofferenza sociale potenzialmente esplosivi, soprattutto nei Paesi a matrice islamica. Giusto o sbagliato che sia, pertanto, quei Paesi necessitano di prezzi elevati del greggio, sia per sopravvivere, sia per avere un incentivo concreto a investire nello sviluppo di nuova offerta petrolifera. Infine, offerta stretta e prezzi alti garantiscono ai produttori un ben più forte potere contrattuale sullo scacchiere politico internazionale, alimentando le irrisolte ambizioni di potenza di alcuni di essi. Come e quando si potrà uscire da questi condizionamenti? Ancora una volta, la risposta riposa su un paradosso: solo prezzi elevati del petrolio (ma basterebbero valori sui 35 dollari a barile) possono fornire un antidoto doloroso ma efficace alla crisi che stiamo vivendo. In parte lo stanno già facendo, ma la cura richiederà tempo. Grazie ad essi, infatti, negli ultimi due anni il ciclo degli investimenti petroliferi è esploso, consentendo alle compagnie private di varare grandi progetti in aree costose e difficili - ma accessibili - e ai grandi produttori di ritrovare le ragioni per investire. Se questo ciclo continuerà, entro il 2010 la capacità produttiva mondiale di greggio potrebbe crescere di 12-15 milioni di barili al giorno (mbg) - ben più di quanto sembri destinata a crescere la domanda di petrolio (7-8 mbg). Questo primo elemento alleggerirebbe in modo strutturale la pressione sui prezzi, e potrebbe anche indurre un loro forte ridimensionamento. Ma i prezzi elevati possono avere altri benefici. Leonardo Maugeri