Varie, 21 aprile 2006
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Bilotti Carlo
• Cosenza 18 agosto 1934, New York (Stati Uniti) 17 novembre 2006. Mecenate. «[...] un Paul Getty di origine calabrese emigrato poco più che ventenne negli Stati Uniti e diventato miliardario commerciando non il petrolio, ma i profumi di Nina Ricci e di Pierre Cardin. Capace di ricavar denaro da qualunque cosa gli capitasse fra le mani, Bilotti ancor prima di diventare un ricchissimo busnessman si era fatto conoscere come un collezionista dal fiuto speciale, amico di artisti come Salvador Dalí, Giorgio de Chirico e Andy Warhol, a cui commissionava opere come fossero camicie su misura. Presidente di un paio di importanti musei a New York e a San Pietroburgo e infaticabile nell’organizzare mostre internazionali, in Italia Bilotti era quasi sconosciuto. Finché, a settant’anni suonati, si è deciso a tornare alle origini. [...] aveva donato a Cosenza, la città dove è nato, una spettacolare raccolta di statue di Dalí e di Giacomo Manzù, di Mirò e di Robert Indiana. Con due patti. Che le opere fossero piazzate nel cuore della città, in mezzo all’area pedonale, e che una piazza fosse intitolata a sua figlia Lisa, morta a vent’anni per una leucemia. Poi è stata la volta di Roma, il luogo della sua giovinezza. Sono bastati pochi incontri con Walter Veltroni (’Un uomo con una capacità operativa che mi ha sorpreso, sembra quasi un americano”) perché l’ultra moderato Bilotti decidesse di donare a Roma una collezione di venti quadri di Giorgio de Chirico, oltre a opere di Gino Severini e Andy Warhol. [...] ”La passione per la pittura mi si era attaccata addosso da bambino, guardando i soffitti pieni di angeli in volo nel palazzo dei miei nonni materni, i baroni di Serradileo. Poi a Roma, alla fine degli anni ”50, ero entrato in un giro di artisti come Afro, come Fantuzzi. Ma il mio mito era de Chirico. Un giorno mi presento a casa sua. ”Voglio un suo quadro’. ”Ma tu ce l’hai i soldi?’, risponde brusco. Avevo in tasca solo 20 mila lire, i risparmi di un anno. Mi fece capire che non bastavano, ma poi vedendo la mia faccia disperata mi mise davanti cinque disegni. ”Uno lo compri, un altro te lo regalo’. Il disegno regalato fa parte della donazione che ho fatto a Roma [...] Ho avuto una vita strana, piena di coincidenze. Ero andato a New York per il matrimonio di mio fratello e lì, a un ricevimento, qualcuno mi chiede di dirigere una rivista per gli italiani d’America. Accetto e comincia la mia nuova vita. Intanto molti artisti italiani come Gianni Dova o Emilio Scanavino e anche maestri famosi come Severini, Pirandello, Morandi sbarcavano a New York, per mettersi in luce sul piano internazionale. Ma poi nessuno comprava i loro quadri. Io passavo quando le mostre chiudevano e me li portavo a casa per poco. [...] de Chirico? [...] compravo anche lui, a buon prezzo, da certi mercanti russi. Una volta gli avevo anche suggerito di trasferirsi negli Stati Uniti e lui mi aveva risposto: ”Ma non capisci che per un artista l’America è in Italia? Da noi un pittore viene chiamato maestro, e anche i sarti e i ristoratori collezionano quadri’. Nel ”67 avevo messo insieme ottanta opere, tutte di italiani. Intanto le quotazioni salivano e io comincio a scambiare i pezzi più importanti con alcuni Mirò e Chagall. La mia collezione si trasforma. Più tardi arriveranno anche Picasso, Matisse, De Kooning e tanti altri [...] Una volta, credo fosse il Settanta, un gallerista di New York mi offre un Cristo crocifisso di Salvador Dalí per 30 mila dollari. ”Chi vuole che glielo compri, qui i collezionisti sono tutti ebrei’, gli dico. E riesco a portarlo a casa per la metà. Ma quel Cristo non convinceva neanche me, sembrava sospeso nel vuoto. Il giorno dopo telefono a Dalí, di cui ero diventato amico, e gli chiedo di modificarlo. Ci diamo appuntamento in Spagna, a Figueras, e ci mettiamo d’accordo perché lui aggiunga un cielo con le nuvole, la Madonna e un centurione romano. Qualche tempo dopo il quadro mi viene richiesto da un’associazione ebraica di Milano, che vuole fare un un regalo al papa. In conclusione, il mio Cristo modificato è finito nei Musei vaticani”. Quanto ne aveva ricavato? ”Neanche una lira. Ma ero stato ripagato con uno Chagall. Uno scambio eccellente, come tanti altri che sono riuscito a fare nel corso degli anni”. Le cronache americane raccontano di una sua grande amicizia con Warhol. Come era nata? ’Ci aveva presentati la figlia di un famoso corridore spagnolo, il marchese Deportago, che faceva la modella per Nina Ricci. Andy Warhol era un tipo complesso, un timido che parlava poco, ma assorbiva tutto come un computer. Era preoccupato perché la sua rivista, ”Interview’, che parlava di droga e di sesso, andava male, nessuno gli dava pubblicità, nell’America perbenista degli anni Sessanta. Io ruppi il tabù e gli feci avere le pubblicità di Cardin e della Ricci. Da quel momento per lui fu il boom [...] Mi piaceva moltissimo l’arte pop che tipi come lui o Jasper Johns o Roy Lichtenstein avevano lanciato come reazione a un’arte che era diventata troppo astratta. E poi Warhol condivideva la mia passione per de Chirico. ” uno che ripete sempre i suoi quadri, si copia all’infinito, proprio come me’, diceva. Così, dopo la morte di de Chirico gli avevo chiesto di celebrarlo, prendendo come base sei opere della mia collezione e serializzandole. Ne era nata anche una mostra a Roma, nella Sala degli Orazi al Campidoglio, intitolata ”Warhol versus de Chirico’” [...] Amo molto ”I mobili in una camera’, una specie di incubo notturno, con una roccia che irrompe in una stanza da letto, quella del pittore. De Chirico diceva di aver paura delle tenebre, per questo lavorava di notte, non voleva le tende nella sua camera. Sono affezionato anche a ”L’archeologo misterioso’, che avevo comprato da un personaggio straordinario, Pierre Matisse, il figlio di Henry, uno dei mercanti più bravi del Novecento. Pierre aveva un grandissimo occhio, ma poi si attaccava troppo ai suoi quadri, gli spiaceva venderli [...] Un collezionista vero è sempre un po’ mercante. C’è quest’ansia di ottenere un’opera, e poi magari lasciarla, scambiandola con qualcosa che ti appassiona di più. Ho inseguito per più di dieci anni un Kandinskij fra i più importanti, chiedevano due milioni di dollari, troppo. Adesso sono riuscito ad averlo, a un prezzo ancora più alto, ma appunto con uno scambio [...] Mia moglie è americana e la mia vera casa è in California, a Palm Beach, dove viviamo con due ragazzini che abbiamo adottato. Ma a Roma ho molta carne al fuoco. D’accordo con Veltroni sto restaurando a Villa Ada un rudere, la Chiesa del Divino Amore, per farla diventare un luogo di meditazione spirituale, come la Rothko Chapel a Huston. [...]”» (Chiara Valentini, ”L’espresso” 28/4/2006).