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 2006  aprile 18 Martedì calendario

Il mostro dell’Oklahoma. New York. La Stampa 18 aprile 2006. Spiedini pronti e barbecue pulito come se fosse nuovo di zecca

Il mostro dell’Oklahoma. New York. La Stampa 18 aprile 2006. Spiedini pronti e barbecue pulito come se fosse nuovo di zecca. Così Kevin Ray Underwood, 26 anni, si era preparato a divorare il corpo della piccola, Jamie Rose Bolin, 10 anni, attirata con un tranello nel proprio appartamento di Purcell, un piccolo centro a Sud di Oklahoma City. Qualche giorno prima il maniaco aveva affidato al proprio diario online la volontà di diventare cannibale. «Se fossi un cannibale che cosa indosseresti per cena?» si era domandato sul proprio blog su Internet, rispondendosi: «La pelle della pietanza della sera prima». Conosciuto dai vicini come un personaggio tranquillo e schivo nonché adorato dalla madre per essere un ragazzo stupendo, Underwood era afflitto da forte depressione fino al punto da arrivare a maturare in solitudine la scelta di divorare un altro essere umano. La piccola Jamie Rose Bolin deve essergli sembrata la candidata migliore da finire arrosto sul barbecue di casa. Da qui la trappola tesa alla bambina che, una volta attirata in casa, è stata colpita più volte in testa con un oggetto di legno e quindi, una volta tramortita, è stata strangolata da Underwood, che per essere sicuro di riuscire nel soffocamento le ha anche messo un nastro sulla bocca. Ma l’assassino non è riuscito a portare a termine il proprio piano perché la scomparsa della bambina è stata notata e nel piccolo centro la polizia non ha avuto troppa difficoltà a trovare il cadavere, arrestando Underwood, che durante gli interrogatori non ha avuto difficoltà ad ammettere tanto l’omicidio che l’intenzione avuta di divorare il corpo della giovane vittima. David Tompkins, capo della polizia di Purcell, ha aggiunto di aver trovato le prove del fatto che dopo l’omicidio Underwood ha violentato sessualmente la bambina, confermando il disegno maniacale di volersi impossessare della piccola sotto ogni punto di vista. Con gli abitanti di Purcell sotto shock, le indagini della polizia hanno portato ad appurare che Underwood aveva adoperato il diario online - su un blog inaugurato nel 2002 - per descrivere depressione, malvagità e solitudine. Si definiva «single, annoiato e solitario ma a parte questo anche carino e felice», raccontando i propri sentimenti di alienazione e accompagnandoli a frequenti riferimenti alla famiglia, come il fatto di essere stato «molto imbarazzato» per i complimenti ricevuti dalla madre e dal padre in singole occasioni, che lo sommergevano di regali ed affetto appena lui faceva le cose più banali, come riparare il computer alla sorella. Lo scorso 4 febbraio Underwood, il cui nome online era «Subspecies 23», era arrivato ad ammettere di «combattere contro la depressione» lamentando soprattutto le difficoltà che incontrava nell’interagire con altre persone. «L’unica volta in cui credo in Dio è quando gli rimprovero qualche cosa oppure quando sono davvero depresso, piango e prego affinché mi renda migliore - aveva scritto sul web - affinché allontani dalla mia mente qualsiasi tipo di orrenda malvagità, così da consentirmi di vivere come una persona normale, perché questa è l’unica cosa che chiedo alla mia vita». La scoperta del diario online ha consentito alla polizia di stabilire che la depressione peggiorò nel settembre 2004, a seguito della decisione di Underwood di interrompere la cura con un antidepressivo in genere adoperato per curare eccessi di stato di ansia. Sebbene i genitori della vittima abbiano chiesto ai concittadini di non riversare sui genitori di Underwood le responsabilità dell’orrendo delitto, i riflettori si sono subito accesi sulla madre, Connie Underwood, che ha candidamente confessato di fronte alle televisioni locali tutta la sua sorpresa. «Non ho proprio idea da dove tutta questa violenza sia potuta arrivare - ha detto, tacendo sulla depressione - mio figlio è sempre stato un ragazzo magnifico ed il mio unico desiderio in questo momento è far sapere ai parenti della vittima quanto dolore senta per ciò che è avvenuto». Eppure chi aveva lavorato con lui in una drogheria di Oklahoma City lo descrive in maniera assai diversa dalla madre: «Era un buon lavoratore e nessuno si sentì mai minacciato da lui ma diceva sempre di annoiarsi, il tono della sua voce era falso ed era sempre cupo in volto, riuscire a farlo sorridere è sempre stata un’impresa». Maurizio Molinari