La Repubblica 19/04/2006, pag.9 Sebastiano Messina, 19 aprile 2006
Quando Einaudi cancellò il rito delle consultazioni. La Repubblica 19 aprile 2006. " La Costituzione non parla di consultazioni: si affida al criterio del capo dello Stato
Quando Einaudi cancellò il rito delle consultazioni. La Repubblica 19 aprile 2006. " La Costituzione non parla di consultazioni: si affida al criterio del capo dello Stato. E il mio criterio mi dice che in questo momento quello che è necessario è un governo". Luigi Einaudi Il giorno di Ferragosto del 1953, nella casina del Vignola di Villa Farnese a Caprarola avvenne un fatto assai singolare: in quella dépendance rinascimentale, alle nove di sera, il presidente della Repubblica Luigi Einaudi presentò a due giornalisti e a un fotografo l´onorevole Giuseppe Pella. «Ecco l´uomo al quale ho appena affidato l´incarico di formare il nuovo governo» disse. Per quanto fosse assolutamente inusuale che un atto politico così rilevante come la nascita di un governo avvenisse in una residenza di villeggiatura, il fatto singolare era un altro: Pella veniva nominato saltando del tutto il rituale istituzionale delle consultazioni. Ma come mai, chiese al presidente uno dei due giornalisti (Vittorio Gorresio), lei ha deciso di non rispettare la prassi delle consultazioni? Perché la Costituzione, rispose secco Einaudi, non le prevede affatto. Da allora nessun presidente ha mai saltato il rito delle consultazioni. Anche se aveva ragione Einaudi, e anche se le regole del maggioritario renderebbero assolutamente superflui i colloqui di orientamento del presidente, forse è stata proprio l´infelice sorte del governo Pella - liquidato da De Gasperi come «governo amico» e dunque privo della paternità politica della Dc - a consigliare tutti gli inquilini del Quirinale a non rinunciare a quelle chiacchierate in pompa magna che conferiscono alla decisione finale una solennità rafforzata. Anche Carlo Azeglio Ciampi non ha mai seguito durante le crisi di governo l´esempio di Einaudi. Né lo farà stavolta, per quello che potrebbe essere il suo ultimo atto politico. Potrebbe, perché il capo dello Stato non ha ancora deciso se dare lui l´incarico a Romano Prodi o se lasciare al suo successore il compito di insediare il nuovo governo. La preoccupazione di Ciampi è quella di evitare che il 13 maggio - quando cominceranno le votazioni per l´undicesimo presidente della Repubblica - il Parlamento sia ancora impegnato nelle procedure di insediamento del nuovo governo. Ma tra il 2 maggio - quando presumibilmente saranno eletti, al quarto scrutinio, i presidenti delle Camere - e il 13 maggio c´è una finestra di dieci giorni esatti. Dunque se Prodi fosse in grado di consegnare la lista dei ministri nel giro di 24 ore, il capo dello Stato potrebbe pure decidere di affidargli l´incarico il 4 o il 5 maggio, in modo che la settimana successiva le Camere facciano in tempo a votargli la fiducia. Berlusconi non può resistere da Palazzo Chigi, perché i precedenti non gli lasciano scelta. Il suo predecessore, Giuliano Amato, si dimise sei ore dopo che Casini e Pera erano stati eletti presidenti delle due Camere. Dunque lui avrebbe il dovere di consegnare le sue dimissioni, e Ciampi il diritto di accettarle. Potrebbe però organizzare una resistenza passiva dalle aule del Parlamento, puntando sul fatto che per le consultazioni sono necessari i presidenti dei gruppi parlamentari: nel 2001 ci vollero otto giorni per affidare l´incarico, proprio perché era necessario aspettare che fossero eletti tutti. Se il Cavaliere volesse giocare la partita del Quirinale da Palazzo Chigi, potrebbe dunque suggerire ai suoi parlamentari di ritardare elezione dei capigruppo, sottraendo così giorni preziosissimi alla finestra temporale in cui potrebbe infilarsi il governo (non amico) del suo successore. Sebastiano Messina