Onda n. 17 2006, 19 aprile 2006
Ci sono attori, o presunti tali, che si danno arie e si sentono arrivati alla prima comparsata in televisione
Ci sono attori, o presunti tali, che si danno arie e si sentono arrivati alla prima comparsata in televisione. Altri che, nonostante, una carriera decennale, nutrono grande rispetto per la professione e si gettano anima e corpo nelle produzioni in cui sono coinvolti. Flavio Insinna appartiene certamente a questa seconda categoria. Noto al grande pubblico per l’interpretazione del capitano Anceschi nelle cinque serie di Don Matteo, Insinna indossa l’abito talare per dare viso, voce e corpo alle eroiche gesta di Don Pietro Pappagallo, unico sacerdote caduto alle Fosse Ardeatine il 24 marzo del 1944 e ricordato dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi con la concessione della medaglia d’oro nel 56° anniversario dell’eccidio. «La storia di Don Pietro la conoscevo per sommi capi - dice Insinna - ma dal primo giorno in cui ho saputo che avrei interpretato quel ruolo ho cominciato a studiare e a documentarmi a fondo». Romano, 40 anni, tifosissimo della Roma («ho l’abbonamento in Distinti Sud») Flavio ha ripreso un personaggio al quale era ispirato il Don Pietro Pellegrini di Aldo Fabrizi in ”Roma città aperta”, «ma lui era un monumento, io sono solo uno che fa il mestiere», dice con una modestia non frequente tra i suoi colleghi. Ma chi era il Don Pappagallo de La buona battaglia? Durante l’occupazione tedesca Don Pietro, mosso da cristiana carità, cercò di aiutare tutti coloro (soldati, partigiani, ebrei, ecc.) che si rivolgevano a lui, fornendogli documenti falsi e copertura, senza secondi fini se non quello dell’umana solidarietà. Finché una spia, da lui aiutata e protetta, non ne provocò l’arresto, la detenzione a via Tasso e infine la morte. «Devo molto al regista Gianfranco Albano. Per meglio interpretare questo ruolo mi ha accolto in casa sua come un fratello maggiore; se non fosse per lui avrei lasciato il film dopo pochi giorni perché davanti a storie così dolorose si comincia sempre a lavorare con il timore di non essere all’altezza». E invece ne è venuto fuori un lavoro corale e fedele: «Sin dal primo giorno di lavorazione si è respirata un’altra atmosfera. Abbiamo lavorato con entusiasmo e grande rispetto, mettendoci il massimo impegno possibile». Un «dovere» verso un eroe e le persone che con lui hanno condiviso una delle pagine più buie della storia del nostro Paese. Insinna non è nuovo a indossare l’abito talare, infatti era stato già apprezzato interprete di Don Bosco: «Di solito quando si finisce di interpretare un personaggio ci si toglie anche la maschera, ma in quell’occasione mi sono avvicinato alla fede. Mi ha dato modo di conoscere alcuni sacerdoti salesiani con cui sono rimasto in contatto e con i quali capita di andare a visitare oratori per stare con i bambini. Per me è un grandissimo onore e una preziosa occasione umana». Dopo il film, insomma, «è inziata la parte più bella, lo scambio e Don Pappagallo è una prosecuzione ideale: pensa che lui è nato lo stesso anno (1888) in cui è morto Don Bosco». Insinna, giovanissimo, era nel Laboratorio di Gigi Proietti («nel mio biennio c’erano anche Gabriele Cirilli, Enrico Brignano, Nadia Rinaldi e Chiara Noschese e molti altri che sono diventati apprezzati registi e sceneggiatori») ma la popolarità gli è arrivata con il capitano Anceschi di Don Matteo: «Gli devo quasi tutto». Eppure sembra che la sesta serie non si girerà, in barba ad un cast affiatatissimo («Terence Hill è un extraterrestre, lavorare con lui è stato un sogno») e agli ascolti da capogiro (batte sistematicamente il Grande Fratello attestandosi oltre i sei milioni di ascoltatori a puntata): «La faremo - tra qualche mese o tra anni - se avremo lo stesso entusiasmo che abbiamo avuto dall’ottobre 1998, giorno della prima scena, a quando abbiamo girato girato l’ultima. Ma anche a poker, sebbene tu vinca tutte le mani, dopo un po’ si deve chiamare l’ultimo giro».