Il Messaggero 14/04/2006, Roberto Gervaso, 14 aprile 2006
La notte di San Bartolomeo. Il Messaggero 14 aprile 2006. Caro Signor Gervaso, si accusa giustamente l’integralismo islamico di provocare morti e stragi con attentati e bombe umane, ma come dimenticare che anche la Chiesa cattolica, in passato, favorì o, comunque, chiuse un occhio su tanti orrendi eccidi perpetrati in nome di Cristo da governi dispotici, veri e propri bracci armati dei Papi romani? Penso alla notte di San Bartolomeo
La notte di San Bartolomeo. Il Messaggero 14 aprile 2006. Caro Signor Gervaso, si accusa giustamente l’integralismo islamico di provocare morti e stragi con attentati e bombe umane, ma come dimenticare che anche la Chiesa cattolica, in passato, favorì o, comunque, chiuse un occhio su tanti orrendi eccidi perpetrati in nome di Cristo da governi dispotici, veri e propri bracci armati dei Papi romani? Penso alla notte di San Bartolomeo. Mi farebbe piacere che lei la rievocasse, con i suoi precedenti. Renzo Cobianchi - Rieti La riforma luterana trionfò in Germania e in Scandinavia. Quella calvinista in Svizzera, in Inghilterra, in Olanda, gettando semi fecondi in Francia. Qui, i suoi seguaci, chiamati ugonotti, all’inizio non ebbero vita facile, poi s’inserirono nel sistema, conquistando posti chiave. Il clero gli dichiarò guerra, ma non riuscì a estirparli. Enrico II ne consegnò parecchi al boia. La moglie Caterina de’ Medici li strumentalizzò contrapponendoli agli ultracattolici Guisa. Il figlio Carlo IX li protesse. Malaticcio, pavido, tentennone, infingardo, per quasi tutto il regno questo sovrano, sebbene agnostico, si sentì più ugonotto che cattolico. Si circondò di consiglieri calvinisti, scelse come mentore il capo indiscusso degli ugonotti, ammiraglio Coligny, come amante Maria Touchet, anche lei ugonotta. Sotto di lui i protestanti acquistarono influenza e prestigio, ottennero, a corte e fuori, alti gradi e importanti cariche. Il loro potere cominciò a declinare quando i Guisa da una parte, Caterina dall’altra, temendo di perdere il proprio, si coalizzarono per scalzarli dalle loro posizioni. Fu lo stesso Coligny a offrire il fianco a quest’offensiva proponendo al re un’alleanza con il protestante Guglielmo d’Orange contro Filippo II, re di Spagna. Carlo, succubo dell’ammiraglio, accettò di scendere in armi contro il cognato. Al che la madre lo accusò (e mai accusa fu più fondata) di essere lo zimbello dell’ammiraglio. Il povero monarca si difese male, tentò di scagionarsi ma, alla fine, chiese perdono e giurò a Caterina che mai avrebbe fatto lega coi protestanti. Dalle sue labbra non uscì una sola parola contro Coligny. Il voltafaccia del re fu un duro colpo per gli ugonotti. L’ammiraglio, che non se l’aspettava, cominciò a impensierirsi. Il matrimonio dell’ugonotto Enrico di Navarra con Margherita di Valois, sorella di Carlo, sembrò, lì per lì, risollevare le sorti della causa protestante. Ma fu solo un’illusione. Il pateracchio, dettato più da ragioni di Stato che di cuore, fu preso come un’offesa dai parigini, che vedevano in Enrico il campione dell’eresia, e come una sfida dai soliti Guisa, che perdevano così ogni speranza di cingere la corona di Francia. Quella corona che i Valois, con un piede ormai nella fossa, s’accingevano a deporre. La stessa Caterina, che di quelle nozze era stata l’artefice e la regista, si sgomentò. Una volta sul trono, Enrico, per il quale Parigi non valeva ancora una messa, avrebbe fatto della Francia un Paese protestante. Ma tornare indietro era impossibile. Possibile era invece limitare i danni di quell’improvvida unione, dichiarando apertamente guerra agli ugonotti. La prima vittima, colpita all’insaputa del re, fu Coligny. Il 22 agosto 1572, l’ammiraglio venne fatto centro a due archibugiate, che gli staccarono di netto un dito della mano sinistra e gli spappolarono il braccio fino al gomito. Carlo mandò subito all’amico il suo medico personale, poi, con la madre, che di quel complotto era l’anima, andò a fargli visita. Il giorno dopo, il Consiglio della corona si riunì per far luce sul ferimento: i colpi erano partiti dalla finestra di un palazzo appartenente ai Guisa. Si sparse la voce che gli ugonotti, assetati di vendetta, stessero meditando una rivolta. Non era vero, o era vero solo in parte. I correligionari dell’ammiraglio avevano minacciato di farsi giustizia da sé qualora il re non avesse punito gli attentatori, ma non pensavano affatto di rovesciare la monarchia. Fu la perfida e astuta Caterina ad attribuire loro questo disegno. La manovra riuscì. Il re cascò nella trappola, e quando la madre gli disse che trentamila protestanti stavano per spodestarlo e imprigionarlo, sebbene a malincuore, aderì alla sua richiesta di uccidere Coligny: «Avete deciso di ammazzare l’ammiraglio. Sta bene, ma allora dovete ammazzare tutti gli ugonotti di Francia affinché nessuno possa rimproverarmi quest’assassinio». Fu il segnale e l’avallo d’uno dei più orrendi macelli della Storia. I morti sarebbero stati - secondo alcuni - seimilacentottantotto; secondo altri, quindicimilacentotrentotto; secondo altri ancora, centomila. Davanti al tribunale della Storia poco conta il numero delle vittime dello spaventoso bagno di sangue. Fu la premeditata efferatezza, il falso e odioso alibi religioso, che tentò di gabellare per crociata un vero e proprio genocidio, a macchiare d’infamia gli ultimi Valois. Caterina, che invocò il massacro, non fu meno colpevole di Carlo, che lo legittimò; i Guisa, che lo guidarono, non ripugnano meno dell’ambasciatore spagnolo che, saputo della strage, esclamò «Dio sia lodato». O del Papa, che, a Roma, fece suonare le campane a festa. Roberto Gervaso