La Repubblica 16/04/2006, pag.51 Gigi Riva, 16 aprile 2006
Le consegnavamo al calzolaio come fossero gioielli. La Repubblica 16 aprile 2006. Come tutti, avevo un rapporto sentimentale con le scarpe
Le consegnavamo al calzolaio come fossero gioielli. La Repubblica 16 aprile 2006. Come tutti, avevo un rapporto sentimentale con le scarpe. Le amavo, le curavo, ma chiedevo anche che assistessero le mie prestazioni e in qualche caso le migliorassero. Diventavano mie soltanto dopo un po´ di tempo, dopo aver imparato a conoscerle e dopo che loro avevano avuto il tempo di conoscere me e i miei piedi. Certo cinquant´anni fa il calcio era diverso. Era un altro mondo. Più essenziale, scarno, povero. E le scarpe di allora corrispondevano alla situazione, che poi era lo specchio della società. Una volta la scarpa da calcio aveva ben altra accessibilità commerciale. In pratica era un bene quasi immaginario, un sogno, specialmente per le classi medio-basse. Quando ero bambino sono arrivato ad odiare Babbo Natale. Non so dire per quanti anni ho sperato, invano, che mi portasse con la slitta un magnifico paio di scarpe per giocare a pallone, di quelle che vedevo nelle fotografie. E invece niente, mai niente: mi regalava solo arance. Quando ho iniziato a giocare usavo le scarpe che si poteva permettere la mia società. Ero uno scaramantico sin da giovane e se avevo segnato la domenica prima, o fatto qualcosa di molto speciale, una gran rovesciata per esempio, rimettevo le stesse scarpe. Ma non ero il solo. Nel Cagliari molti facevano come me. Delle scarpe avevamo molta cura, come fossero gioielli. Esistevano un prima e un dopo partita riservati alle scarpe. A fine partita le ripulivamo e le consegnavano al calzolaio che, se necessario, provvedeva a ripararle. Le uniche che ho buttato via sono state quelle utilizzate per quelle due maledette partite della nazionale, Italia-Portogallo e Italia-Austria, in cui mi ruppi le gambe. Credo che i calciatori di oggi tengano alle proprie scarpe come noi un tempo. Solo che adesso ci sono dietro contratti favolosi, mentre allora di favoloso c´era solo il fatto di poter giocare. L´unico "lusso" che ci permettevamo era di usare come cavie i ragazzi della Primavera: davamo a loro le scarpe nuove, le facevamo sgrezzare un po´ e poi cominciavamo a usarle noi della prima squadra. C´era una ditta di Padova, la Valsport, che mi mandava delle scarpe fatte apposta per me. Ma sotto non c´era alcun contratto: nel senso che non mi pagavano. Mi davano le scarpe e basta. Erano di pelle di canguro, leggerissima, e mi andavano alla perfezione. Ne avevo quattro paia: due con i tacchetti di gomma e due con i tacchetti di alluminio. Con la Valsport avevo anche studiato una scarpa rivoluzionaria per l´epoca, con la suola divisa in due: sarebbe stata perfetta per il mio modo di correre, simile per dinamica a una scarpa chiodata da centometrista. Ma non l´ho mai utilizzata. Perché nel frattempo ho smesso. Ne ho un paio a casa, nuove di zecca. Gigi Riva