Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2006  aprile 16 Domenica calendario

Gli Etruschi, maestri delle vigne. La Repubblica 16 aprile 2006. Roma. Si dice che furono i greci a insegnarci come coltivare la vite e fare il vino

Gli Etruschi, maestri delle vigne. La Repubblica 16 aprile 2006. Roma. Si dice che furono i greci a insegnarci come coltivare la vite e fare il vino. A portare nella penisola il nettare di Bacco. Ma non è vero. Quando giunsero i primi coloni da Oriente, i nostri antenati producevano già vino. I greci li hanno aiutati solo ad affinare le tecniche, hanno portato nuovi attrezzi agricoli e nuovi vitigni. Ma le conoscenze di base c´erano già. Ad affermarlo è un gruppo di studiosi - archeologi, botanici e biologi molecolari - che cercano di risalire alle origini della domesticazione della vite nella Penisola: capire come e quando è avvenuta, individuare i confini tra vitigni diversi e diverse culture enologiche. il "Progetto Vinum". E dopo due anni ci sono i primi risultati sull´Etruria meridionale, tra Toscana e Lazio: è ormai certo che gli Etruschi sapevano coltivare la vite da date antichissime. La ricerca non è stata impresa facile; si son dovute cercare informazioni storiche nella natura, oltre che nelle cose. Individuarle così come fa l´archeologo con gli oggetti, interpretarle con gli strumenti della biologia molecolare, e alla fine anche proteggerle. Perché anche le piante sono documenti storici importanti. Per due anni gli archeologi hanno vagato per la campagna alla ricerca della vite selvatica, in particolare quella cresciuta in prossimità delle città e fattorie antiche, etrusche o romane. «Siamo partiti dal presupposto che la vite cresciuta più vicino a dove l´uomo è vissuto, conservi più facilmente tracce di domesticazione», spiega Andrea Zifferero, archeologo dell´Università di Siena. «Che sia cioè vite già domesticata ma ritornata allo stato selvatico dopo l´abbandono dell´area». Presupposto che andava dimostrato. La vite ha bisogno di acqua e cresce dunque soprattutto lungo i ruscelli, sui cigli dei pianori: «Ma ne abbiamo trovata anche lungo le mura delle città, come a Populonia, oppure presso le tombe, come alla necropoli del Puntone vicino Saturnia», dice Zifferero. Trovata in forma di "lambruscaia", cioè vite abbarbicata ad altri alberi. La vite tipica del paesaggio etrusco. E poiché la vite cerca la luce, può salire lungo l´albero ad altezze vertiginose. «Paiono quasi liane», osserva Zifferero. I campioni raccolti sono stati esaminati dal laboratorio di biologia molecolare dell´Università di Milano diretto dall´esperto di viticoltura Attilio Scienza. E il risultato non si è fatto attendere: la vite selvatica prossima ai siti archeologici ha una composizione genetica diversa rispetto a quella dei boschi. E in alcuni casi s´è trovata anche una predominanza di viti femmine, segno che c´è stata una manipolazione genetica per ottenere le più produttive piante ermafrodite (tutte le viti coltivate sono ermafrodite). In un caso si è persino trovata una vite selvatica ermafrodita. Quelle sono dunque le viti domesticate dagli Etruschi, regredite allo stato selvatico dopo l´abbandono del luogo. Ma hanno conservato nei geni il ricordo della domesticazione. Quindi gli Etruschi sapevano bene come crescere la vite; «dai greci hanno imparato a usare un falcetto particolare col tagliente sul dorso, la falx vinitoria, che serviva a sfrondare gli alberi portanti per far giungere più sole alle viti», spiega Andrea Ciacci dell´Università di Siena. «Ma vi hanno aggiunto un manico molto lungo per raggiungere le cime più alte». Ciacci racconta anche che il re di Roma Numa Pompilio fece una legge per obbligare i romani a potare le viti. «Ciò significa che all´epoca, cioè verso il VII secolo a. C., si cominciò a regolamentare le tecniche di coltura delle viti», continua Ciacci. «Ma Numa parla solo di vino da offrire agli dei, e il fatto che le viti si trovino anche vicino alle tombe induce a pensare che il poco vino prodotto fosse usato solo per il culto. Del resto anche oggi i contadini fanno il vino "di lambruscaia" da bere in occasioni particolari». Solo più tardi, dal VI secolo a. C. in poi, si diffusero nelle nostre campagne le tecniche di coltivazione della vite più redditizie per produrre più vino. Solo allora si cominciò a vendere vino anche oltremare. E col tempo iniziarono ad apparire anche i primi filari di vite. Precisi, razionali, facili da gestire. Anche questi non furono opera dei greci; ma dei romani. Cinzia Dal Maso