La Repubblica 14/04/2006, pag.9 Filippo Ceccarelli, 14 aprile 2006
Brogli, un fantasma vecchio cent´anni. La Repubblica 14/04/2006. Nel paese dei furbi, dei faziosi e degli arruffoni i brogli sono una tentazione irresistibile
Brogli, un fantasma vecchio cent´anni. La Repubblica 14/04/2006. Nel paese dei furbi, dei faziosi e degli arruffoni i brogli sono una tentazione irresistibile. Per tutti e da sempre. Farli, ma anche denunciarli quando non ci sono. «In Italia, da quando si tengono elezioni, è sempre successo che i candidati respinti non vogliono mai essere stati respinti dalla volontà degli elettori, ma dalle violenze del governo»: così rispondeva, con implicito sarcasmo piemontese, il vecchio Giovanni Giolitti a Gaetano Salvemini, bocciato nel 1913 nel collegio di Molfetta, che anche per via dei brogli l´aveva definito «ministro della malavita». In qualche modo, la lontananza dagli eventi permette di dire che avevano ragione tutti e due. Giolitti nel sostenere, sia pure con cinico realismo, che le elezioni, dopo tutto, «chi le fa, le vince». E il povero ma onestissimo Salvemini nell´indicare e documentare l´utilizzo dei prefetti e delle clientele nella manipolazione del risultato elettorale. Non per andare troppo in là nel tempo, ma a costo di oscurare per un attimo Berlusconi, Pisanu e le strategie comunicative sui numeri, varrà giusto la pena di ricordare che i peggiori manipolatori di voti dell´Italia unita furono due ex garibaldini, Nicotera e Crispi, quest´ultimo peraltro predecessore e asperrimo nemico di Giolitti. Allo stesso modo, sarebbe sbagliato dimenticare l´abbondanza di falsificazioni, minacce e prepotenze consumate a favore del «listone» fascista nel 1924. Renderle note in Parlamento con un appassionato discorso costò probabilmente la vita a Giacomo Matteotti. E insomma: i «brogli» - come ha voluto definirli Berlusconi - sono una pessima attività, ma certo fanno parte della vita nazionale. E non solo perché modificano le cifre e quindi il dato politico, ma anche perché riscaldano il clima, accendono la fantasia e diffondono diffidenza sul risultato quando le irregolarità non sono né acclarate, né a volte dimostrabili. Da questo punto di vista appare esemplare la nascita della Repubblica, pure lungamente e pervicacemente avvolta da un alone di sospetti (per zone del paese escluse dal voto, come parecchie migliaia di profughi e prigionieri di guerra). Ecco. Nel 1990, mosso dal non disprezzabile intento di «suscitare una riflessione sull´etica dell´informazione», Mixer mandò in onda un falso scoop sui brogli del 2 giugno. C´era un vecchio magistrato pentito, a nome Alberto Sansovino, che confessava di aver truccato due milioni di voti. C´erano filmati d´epoca, testimonianze e un documento risolutivo depositato presso un notaio. Tutto finto. Nella sua valenza paradossale, tra Orson Welles e il situazionismo, il «falso televisivo sui brogli elettorali» si offriva comunque ai telespettatori italiani nella sua più ambigua e straniante plausibilità. Nessuno tuttavia, dei tanti che quella sera abboccarono, pensò mai di cambiare forma istituzionale; difficilmente sarebbe ritornato il re. Ma intanto il broglio all´italiana continuava a rappresentare la sua triste e folkloristica epopea. Ce n´è davvero per tutti i gusti e per tutte le strumentazioni. Dalla matita copiativa sotto l´unghia al ritocco tecnologico e telematico, passando per la scolorina. Alla rinfusa: i finti ciechi con accompagnatori al seggio di San Mango d´Aquino; i sottilissimi magheggi bizantini e tarantini ai danni dell´onorevole Memmi; il disgraziatissimo socialista friulano che si vide scavalcato da una bella craxiana, forse ingiustamente, e che in ogni caso s´incatenò davanti al portone di Montecitorio; le perizie calligrafiche effettuate sulle schede di Padova per appurare se e come i dorotei di Bisaglia fossero riusciti a tenere fuori da Montecitorio il moroteo Romanato; il dolente pamphlet dell´ambasciatore Ducci, incautamente presentatosi alle elezioni, dal titolo Candidato a morte; le schede pre-votate Msi di Catania; quella specie di strofetta che a ogni elezione municipale risuonava nella Dc romana: «E´ uno scandalo/ lo spoglio/ che si svolge/ in Campidoglio». Auspice il sistema proporzionale, e ancora di più la preferenza multipla, si può dire che il broglio ha addomesticato la classe politica della Prima Repubblica. Prima in senso consociativo, consentendo in pratica agli scrutatori democristiani e comunisti di dividersi di buon grado le schede bianche; per poi lasciare al gioco impunito delle forzature e delle contraffazioni elettorali, specie nel gioco correntizio democristiano, la formazione dei rappresentanti di intere aree geografiche. O almeno: nelle elezioni del 1983, a Roma, ci furono così tanti brogli da scatenare un´inchiesta che portò all´arresto di 44 tra scrutatori e presidenti di seggio. Ma la vicenda più spaventosa si registrò nella circoscrizione Napoli-Caserta durante la prova del 1987; un mercato diffuso, o meglio un colossale mercimonio che alcuni veterani di Montecitorio ancora ricordano come «il vero miracolo di San Gennaro». Mille indiziati, 42 deputati in bilico, un verbale su tre irregolare, scrutatori analfabeti, 35 mila schede e altre prove bruciate dalla Croce Rossa, o forse no, un testimone fondamentale stroncato da un infarto. «Un autentico golpe bianco realizzato con garbugli di inaudita suggestione» lo definì l´onorevole Trantino. In pratica la giunta per le elezioni, aperti tutti i plichi, si trovò di fronte a un tale caotico imbroglio da richiuderli al più presto. E buonanotte. L´abolizione della preferenza unica e in seguito il maggioritario migliorarono un po´ la situazione. Ma la storia a volte va anche indietro: e nel paese dei furbi, dei tifosi, dei pasticcioni, di quelli che non sanno vincere, né perdere, né pareggiare, ecco, il broglio torna come un fantasma inesorabile anche quando non c´è. Filippo Ceccarelli