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 2006  aprile 14 Venerdì calendario

Un milione di parole per parlare inglese. La Stampa 14 aprile 2006. Questo sì che è un bel record

Un milione di parole per parlare inglese. La Stampa 14 aprile 2006. Questo sì che è un bel record. L’autorevole quotidiano inglese The Independent ci informa che, stando a ricerche autorevoli, tra l’altro l’americano Global Language Monitor, la lingua inglese dovrebbe raggiungere entro la prossima estate il milione di parole. Siamo già quasi a 990 mila. La cifra, già di per sé ragguardevole, diventa travolgente se paragonata al patrimonio linguistico francese - 100 mila parole -, tedesco - 200 mila -, spagnolo - 225 mila, russo, in coda, con 125 mila. In quanto a noi, il mio autorevole amico Gianluigi Beccaria mi dice che siamo all’incirca sulle 160 mila. Bisogna però fare alcune riflessioni. Intanto: il numero dei parlanti inglesi, che tocca i 500 milioni in tutto il mondo, superato dal cinese mandarino e alla pari con lo hindi, possiede un carattere di universalità e di penetrazione senza rivali. In effetti, veniamo informati che i parlanti inglesi con buoni studi usano tra le 24 mila e le 30 mila parole. Per la cronaca, Shakespeare usò 24 mila parole, 1700 delle quali si vantava di aver inventato. Va rammentato che il primo dizionario sistematico dell’inglese, quello di Samuel Johnson, apparve nel 1755 con una messe linguistica di poco superiore a quella shakespeariana, tenendo conto che l’autore eliminò tutti i termini sconvenienti. Tra l’altro, usò quale modello il nostro Dizionario della Crusca. Bisogna anche riflettere su un elemento cruciale: l’inglese affonda le sue radici in un retroterra scandinavo e germanico, ma anche in uno latino. Il grande studioso danese Otto Jespersen, la cui storia della lingua inglese fa ancora testo, osservò che un inglese ricorre per indicare le funzioni basilari del comportamento umano - dormire, mangiare, camminare, vivere, morire - a parole di origine soprattutto scandinava. I termini di origine latina riguardano soprattutto riferimenti astratti, ma spesso esiste un doppio livello di significato. Per esempio, se pensiamo a un termine corrente come «aborto», troveremo da un lato miscarriage che è l’aborto naturale e abortion che è l’aborto procurato. Poi, sussiste la coesistenza tutt’altro che uniforme tra lo standard english della Gran Bretagna e dei paesi postcoloniali e l’american english. E’ stato dimostrato che tutta una serie di parti dell’automobile si dice in modi diversi in questi due bacini linguistici. L’americano medio non sa che cosa sia un lift - ascensore - e lo chiamerà elevator, a conferma che spesso i neologismi americani rivelano un’origine romanza. Non meno significativi appaiono molti prestiti, di cui i più antichi sono indubbiamente francesi: pensiamo a police o specie in Nord America prairie che addirittura dà il titolo a un capitolo di Moby Dick di Melville. In Gran Bretagna - tenetelo presente se doveste utilizzarlo - il fermoposta si chiama alla francese poste restante, negli Stati Uniti general delivery. E i prestiti italiani? Ai tempi del «dottor» Johnson esistevano vendetta, regatta (con due t), bagno, postribolo. Oggi non ci sono dubbi. I due italianismi più diffusi sono pizza (pronunciato pisa) e mafia. L’inglese rimane la lingua più inventiva con netto primato per quello degli Stati Uniti. In parte l’invenzione ha radici per così dire interne, ma s’impone talmente per la sua espressività da diventare genere di esportazione. Così, se esistono il chinglish con termini mutuati dal cinese, e il japlish dal giapponese, tutta una serie di parole o di espressioni nascono dalla fantasia popolare. Negli Stati Uniti Ground Zero che designa l’area di distruzione delle Torri Gemelle, nel linguaggio dei giovani significa «stanza in disordine». Noi siamo in Italia degli avidi importatori. Pensate a zapping ora sappiantato da surfing per chi passa velocemente da un programma televisivo ad un altro. Ho osservato di recente su Panorama che persino la stampa di sinistra parla di spin-doctor, consigliere. La nostra voluttà di assimilazione sembra ormai inesorabile. Devolution va considerata proverbiale. La cascata è infrenabile. Se vi interessa sapere qual è forse l’ultimo termine accettato dai dizionari autorevoli come l’Oxford, fondamentalmente conservatore (resistette a lungo prima di inserire gender riferito all’identità e alla cultura femminile o femminista) è offshoring arrivato anche da noi per indicare prodotti importati, fabbricati all’estero. Ma i vari centri di monitoraggio non sono affatto privi di senso dell’umorismo, e metto nel mazzo la colonna settimanale di William Safire sul New York Times e sull’International Herald Tribune. Così tra i neologismi si annovera pure Bushism, vale a dire termini involontariamente storpiati dal presidente Bush, il cui inglese lascia purtroppo a desiderare. E’ un gioco che consiglierei anche in Italia. Claudio Gorlier