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 2006  aprile 09 Domenica calendario

Dear Mom, ritorno a vivere da te. Il Sole 24 Ore 9 aprile 2006. Jim ha ventisette anni. Qualche anno fa ha lasciato il suo paese natale, nel cuore dell’Indiana rurale, per andare alla conquista della Grande Mela

Dear Mom, ritorno a vivere da te. Il Sole 24 Ore 9 aprile 2006. Jim ha ventisette anni. Qualche anno fa ha lasciato il suo paese natale, nel cuore dell’Indiana rurale, per andare alla conquista della Grande Mela. A New York, però, ha trovato solo una vita di stenti e una carriera da dog-sitter. Eccolo tornato, di conseguenza, all’ovile da mamma e papà, con qualche sogno in meno e una solida carriera nell’azienda di famiglia davanti a sè. Dwight, invece, di anni ne ha ventotto e a New York ci è nato e cresciuto. E però soffre di abulia: non riesce a prendere una decisione che sia una. Lavora nel call-center di una casa farmaceutica (dal quale viene prontamente licenziato), vive con un paio di coetanei in un’appartamento dall’atmosfera tristemente post-universitaria, mette a frutto il suo fascino distratto per sedurre ragazze delle quali non sa che farsi. Jim e Dwight sono i protagonisti, rispettivamente, dell’ultimo film di Steve Buscemi, Lonesome Jim, e del romanzo d’esordio di Benjamin Kunkel, Indecision(in uscita in questi giorni per i tipi della Rizzoli). E però sono anche gli esponenti di punta di una nuova categoria sociale che si è affacciata prepotentemente sulla scena americana negli ultimi anni. "Adultescenti", li ha definiti il New York Times. Giovani tra i venticinque e i trentacinque anni che, fino a qualche tempo fa sarebbero stati considerati adulti a tutti gli effetti e che oggi, invece, sembrano inspiegabilmente attardarsi nel limbo di una transizione infinita. Secondo i ricercatori dell’università della Pennsylvania, sono cinque gli indicatori del passaggio al l’età adulta: l’abbandono della casa dei genitori, la conclusione degli studi, l’indipendenza finanziaria, il matrimonio e il concepimento di un figlio. Ebbene, sulla base di questi criteri, se nel 1960 il 77% delle donne e il 65% degli uomini, a trent’anni, potevano essere definiti adulti, oggi solo del 46% delle donne e del 31% degli uomini può dirsi lo stesso. Così, la figura dell’eterno Tanguy, il mammone protagonista del film francese di qualche anno fa, un tempo relegato al folklore delle culture latine, comincia ad aleggiare anche su quella che fino a ieri era la terra promessa dei baby-miliardari della new economy. Ed è tutto un fiorire di ipotesie di polemiche,con libri che insegnano a superare la Quarter-Life Crisis, la crisi del quarto di vita che ha preso il posto della classica crisi di mezza età e autori come Linda Perlman Gordon e Susan Morris Shaffer che affrontano il problema da un punto di vista opposto. Il loro Mom, Can I Move Back In With You? (Mamma, posso tornare a vivere con te?) è stato presentato dalla casa editrice Penguin come un "manuale di sopravvivenza per genitori". Una che ha le idee chiare in materia è Anja Kamenetz, una brava giornalista del Village Voice, autrice di un libro affilato come la lama di un machete: Generation Debt: Why Now Is A Terrible Time To Be Young (Generazione debito: perché adesso è un momento terribile per essere giovani). Non è la solita meditazione disillusa del solito ragazzotto spiritoso sul crollo delle illusioni e delle aspettative, in un’era dominata dal consumismo, l’unico ismo sopravvissuto alla fine delle ideologie... Al contrario, il pamphlet della Kamenetz è un viaggio, corredato di cifre e di esempi ben circostanziati, nel disagio di una generazione di figli le cui prospettive, per la prima volta dal dopoguerra, sembrano peggiori di quella dei padri. La crisi delle nuove generazioni, in effetti, è, prima di tutto una crisi finanziaria. Il costo dell’istruzione universitaria è cresciuto più in fretta sia dell’inflazione che dei redditi delle famiglie negli ultimi tre decenni, con la conseguenza che, oggi, due terzi degli studenti si laurea con un debito nei confronti dello Stato o delle banche che in media tocca i 23 mila dollari. In più, pur di mantenersi agli studi, una proporzione crescente di ragazzi è costretta a lavorare part-time, il che allunga a dismisura i tempi della permanenza al college. Questi sforzi, però, sono indispensabili. perché chiunque non riesca a superare il traguardo della laurea rischia di cadere nella trappola dell’economia low-cost. Nel 1970, il primo datore di lavoro del paese era la General Motors, che pagava 17,50 dollari l’ora. Oggi, il primo datore di lavoro è Wal-Mart, una catena di supermercati che impiega 1,6 milioni di americani per un salario di 8 dollari l’ora. L’economia post-industriale è una winner-take-all society: una società nella quale i migliori (o, perlomeno, quelli con le credenziali giuste) fanno saltare il banco (oggi la retribuzione annuale del CEO di una grande azienda è pari, in media a 240 volte quella di un operaio), mentre i lavoratori non qualificati sono condannati a un destino da working poors: non disoccupati come in Europa, ma oberati di lavoro per uno stipendio da fame e senza la minima garanzia sociale. I dati potrebbero moltiplicarsi, ma non è detto che bastino a dare un quadro del complesso rimescolamento dei rapporti tra le generazioni in atto negli Stati Uniti. La dilatazione dell’adolescenza, in effetti, non è avvenuta in una sola direzione. E per convincersene basta dare un’occhiata a Lunar Park, l’ultimo romanzo di Brett Easton Ellis (pubblicato in Italia da Einaudi), l’impietoso osservatore dei giovani californiani di Meno di Zero, degli yuppies scatenati di American Psycho e dei protagonisti del jet-set di Glamorama: un sismografo talvolta estremo, ma quasi sempre accurato nell’identificare gli smottamenti che attraversano la società americana. Ai dinner-party suburbani descritti nel romanzo si parla solo di bambini. Ma non sono più i ragazzini di una volta. Quelli che vengono evocati con trasporto dai genitori riuniti sono "bambini con attacchi di vertigine dovuti allo stress delle elementari e che seguono terapie alternative e ragazzini di dieci anni con disturbi alimentari causati da ideali fisici irrealistici. Ci sono liste d’attesa riempite di nomi di novenni prenotati per le sessioni di agopuntura del dott. Wolper". E poi altri temi di discussione: "l’eliminazione della pasta dai pasti scolastici, il nutrizionista scelto per il bar mitzvah, le classi di Pilates per dodicenni, la ragazzina che ha bisogno del reggiseno speciale, il bambino che chiede alla madre al supermercato: "ma questo contiene carboidrati, per caso?"". In pratica, siamo al paradosso completo. Lo specchio della cultura americana ci rimanda il riflesso di una società nella quale l’adolescenza è letteralmente esplosa. Da un lato si è dilatata a dismisura, invadendo verso il basso il campo dell’infanzia, con bambini che maturano sempre piu’ velocemente, e verso l’alto il campo del l’età adulta, con trentenni che ancora si dibattono nel limbo di una condizione sostanzialmente adolescenziale. D’altra parte, però, l’adolescenza è di fatto scomparsa perché è diventata la cultura dominante, in una società nella quale tutti vogliono (e, in una certa misura, possono) restare giovani per sempre. Non è un caso, forse, se passeggiando per le strade di New York, una delle insegne che si incontrano con maggiore frequenza è quella di una nuova catena di negozi di abbigliamento: Forever 21. Giuliano Da Empoli