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 2006  aprile 16 Domenica calendario

VIANELLO Edoardo

VIANELLO Edoardo Roma 24 giugno 1938. Cantante • «Primi anni Sessanta. Edoardo Vianello, insieme a un geniale paroliere di nome Carlo Rossi, inventava canzoni a raffica. Alcune sono indimenticabili. [...] come nasceva una canzone come I Watussi? “L’idea ce l’avevo da un sacco di tempo, solo il ritornello, ‘Siamo i Watussi altissimi negri’, ma non mi veniva niente. Una sera dissi a Carlo Rossi: ‘C’è questo nuovo ballo, l’hully gully’. E lui: ‘Facciamo che sono i Watussi che inventano l’hully gully’. Passeggiando continuò: ‘Potrebbe essere ‘Nel continente nero...’’, e io spontaneamente risposi: ‘Paraponziponzipò’. E lui: ‘Alle falde del Kilimanjaro...’, e io: ‘Paraponziponzipò’. A quel punto era fatta. Il giorno dopo la feci sentire agli amici; piacque talmente tanto che io per non deluderli improvvisai il seguito su un giro di blues, che poi era ‘Sia-a-mo i watussi, sia-a-mo i watussi...’”. [...] scandiva “A-a-bbronzatissima” nei riverberi dei leggendari 45 giri che hanno formato l’immaginario degli anni Sessanta. [...] “[...] ho iniziato nel 1956. Un mio amico ha trovato un documento, c’era a Roma un Circolo marchigiano, presidente Beniamino Gigli, allora era in auge, ha trovato addirittura una recensione che uscì sul Tempo, del Trio Swing, così si chiamava, in cui c’ero anch’io. Nel 1959 ci fu il primo contratto con la Rca, poi vinsi un’audizione con la compagnia Masiero-Volonghi-Lionello, cercavano un cantante-chitarrista-attore, io avevo la voce chiara, scandivo bene, e poi cantavo delle cose che per l’epoca erano piuttosto strane. Avevo già scritto Il capello, ma la Rca lì per lì non volle inciderla perché dicevano che era come una barzelletta, una volta sentita poi la seconda volta non faceva più ridere. Due anni dopo quando avevo un po’ più di potere la volli incidere e fu il mio primo successo. Il capello mi cambiò la vita. Successe che mi chiamarono, e ancora oggi non saprei dire come sia successo, a Studio Uno (quando mi madre mi disse che avevano chiamato dalla Rai pensai a uno scherzo). L’unica spiegazione è che io avevo conosciuto Mina, ero andato apposta, ad agosto, con la tenda e la Seicento che mi ero comprato coi guadagni del tour in teatro. Io allora pensavo ancora di fare soprattutto l’autore, e partimmo col mio amico, Vinicio Tango, che allora mi faceva da manager. Arrivavamo da Trani, dove avevo fatto una serata, risalimmo l’Adriatico e a San Benedetto del Tronto vidi i manifesti di un concerto di Mina. Arrivammo due giorni prima e feci amicizia col gruppo, i Solitari, e loro mi promisero che se rimanevo mi avrebbero presentato Mina. Mina mi disse che aveva sentito parlare bene di me. La cosa, oggi irripetibile, è che a sorpresa Mina a metà spettacolo disse: ‘Ora vi voglio far conoscere un mio caro amico’, mi chiamò e mi fece cantare quattro canzoni. Era il 1960, l’anno de Il cielo in una stanza. In autunno faceva in televisione Gran Galà, io andavo sempre e lei mi faceva sempre un sacco di feste. Poi mandai una mia canzone a Sanremo, nella mia ingenuità pensavo che l’avrebbe cantata Mina, invece lei aveva già un pezzo, Le mille bolle blu. Poi la sorpresa. Mina mi disse che l’aveva incisa comunque e aveva deciso di metterla come retro de Le mille bolle blu. Per me era già un successo incredibile. A Sanremo finì che andai io a cantarla, perché si decise che doveva essere l’anno dei cantautori: Bindi, Paoli, Celentano. Però non se ne accorse nessuno. Finalmente riuscii a convincere la Rca a incidere Il capello e andai a Studio Uno, in diretta il sabato sera. Dal giorno dopo scoppiò il finimondo. Però è vero che faceva anche l’autore puro. Per esempio La partita di pallone… “Pochi sanno che l’avevo pensata per Mina. Era una canzone che doveva per forza cantare una donna. Però mi dissero che non l’avrebbe incisa. La incise la Pavone e fu un successo clamoroso. Mina si offese. A quel punto diventò una sequenza continua: Guarda come dondolo, Con le pinne il fucile e gli occhiali, O mio signore. Avevo un paroliere geniale, io gli chiedevo un capoverso, uno slogan e partivo da lì. Bastava che mi dicesse ‘Non è un capello ma un crine di cavallo’, oppure ‘Guarda come dondolo’ e io partivo, poi aggiustavamo insieme. In quel momento non avevo concorrenza, forse per questo le canzoni sono rimaste nel tempo [...] Un grosso vuoto dal ’66 al ’72, anche perché quando è arrivato il ’68 le mie canzoni diventarono improponibili. Mi venivano a contestare, o meglio sentivo una certa ostilità, così smisi. Mi sono messo in disparte, poi nel 1971 inventai la formula dei Vianella. Mi ero sposato con Wilma Goich nel ’67 e i pochi spettacoli che facevo li facevamo insieme, così venne l´idea di pensare qualcosa per tutti e due. Così nacquero i Vianella, sentivamo che l’atmosfera del pubblico cambiava quando cantavamo insieme. Le cose che piacevano di più erano quelle romane. Nel frattempo avevano carcerato il Califfo (Franco Califano, ndr), dopo la prigione ottenne di stare in una clinica così potevamo andare da lui, con la certezza di trovarlo. Lavorammo insieme e nacque Semo gente de borgata. Era ripartito tutto [...] Con Wilma ci separammo nel ’78. Continuammo a lavorare insieme ma non c’era più la stessa atmosfera. Poi smettemmo. Nel 1982 un impresario mi convinse a ricostruire un mio percorso. Nel frattempo si ricominciò a parlare di anni Sessanta. Ivan Cattaneo incise un disco sugli anni Sessanta, Italian graffiati, Gianni Minà a Blitz non parlava d´’altro, poi incontrai Jerry Calà che stava per fare Sapore di mare, mi chiamarono e curai tutta la colonna sonora. Improvvisamente ripartì l’interesse, e dal 1982 a oggi non è mai più finito. Paradossale ma vero. Io non rinnego niente, voglio fare il testimonial delle mie canzoni”» (Gino Castaldo, “la Repubblica” 16/4/2006).