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 2006  aprile 13 Giovedì calendario

Seeger Pete

• New York (Stati Uniti) 3 maggio 1919. Cantante • «[...] ha per così dire traghettato la grande misura popolare nella modernità, coniugando originalità personale e tradizione. [...]» (Claudio Gorlier, ”La Stampa” 12/472006). «[...] la leggenda vivente del folk americano[...] nella sua vita ha letteralmente attraversato la storia della musica americana, iniziando da giovane a lavorare con il grande musicologo Alan Lomax a fine Anni 30, per poi accompagnare il mito di Woody Guthrie nei ”40, essere quindi perseguitato dal maccartismo, capeggiare negli Anni 60 il revival folk capitanato da Bob Dylan e Joan Baez ed essere infine celebrato da Bruce Springsteen [...] Ha scritto o firmato il riadattamento di canzoni tradizionali diventate popolarissime in tutto il mondo [...] Oltre alla fama come cantante, Seeger è noto per il suo impegno civile ed ecologico, per le lotte a favore dei diritti umani, contro la guerra in Vietnam, contro il nucleare e per la giustizia sociale. [...] Qual è la storia di una canzone come We Shall Overcome, famosa come inno per i diritti civili in tutto il mondo? ”La canzone è il risultato di qualcosa che assomiglia molto a quello che succede per la storia dei cibi, che passano attraverso migrazioni e scambi tra civiltà. In origine era un canto tribale africano, portato qui negli Stati Uniti dagli schiavi, i quali hanno creato il ritornello in inglese. Intanto l’avevano rallentata per adattarla ai ritmi duri del lavoro. Negli anni è cambiata, è stata adottata dai sindacati durante la grande depressione e si è trasformata in una sorta di coro popolare in levare. Io non ho fatto altro che riadattare questa ultima versione che sentivo durante gli scioperi, facendone un inno per la gente oppressa sul lavoro e nella vita, che combatte per un giusta causa. [...] Ho fatto l’autostop sette mesi. Woody Guthrie mi disse come fare per imparare qualcosa e sbarcare il lunario. Mi disse: ”Siediti in un bar con il tuo banjo in spalla e ordina una birra. Bevila più lentamente che puoi. Prima o poi qualcuno si avvicinerà e ti chiederà se sai suonare lo strumento che porti. Dopodichè ti allungherà un quarto di dollaro per suonare, chiedendoti qualche canzone. Ti guadagnerai il necessario per sopravvivere e se non saprai la canzone richiesta te la insegneranno loro’. Era il mondo di quei contadini disperati, che stavano perdendo tutto e che affollavano le strade d’America in cerca di fortuna. Bastava sedersi in bar con il proprio strumento a tracolla per essere avvicinati e imparare qualcosa dagli altri. La musica non manca mai, anche nei momenti più difficili, anzi: in quei momenti costituisce una specie di salvezza, unisce le persone” [...] Alan Lomax [...] ”Era un grande musicologo, lui e Moses Asch hanno fatto un lavoro incredibile, molto diverso da quello dei musicologi europei che trascrivevano le canzoni, di fatto modificandole. Loro le registravano, riportandocele il più fedelmente possibile. Peccato che non gli lasciarono mai pubblicare le canzoni di protesta o quelle più sconce. Spesso erano le migliori. Ma sono lì, negli archivi a Washington e pian piano qualcuno le tirerà fuori dagli scaffali”. [...] il padre fu un grande musicologo [...] ”Si chiamava Charles e scrisse un manifesto sul significato della musica popolare. Al punto nove diceva: ”La questione principale non è chiedersi se siamo di fronte a musica popolare o no. La questione vera è chiedersi a che cosa serve quella musica. Se serve a sposarsi, a diventare indipendenti o più democratici, se serve a accompagnare il lavoro, allora quella è musica popolare’. Mio padre diceva che la musica da ricercare - e indottrinò su questo Alan Lomax - era il vernacolo delle persone, la più simile al linguaggio parlato. Il jazz in città, il country in campagna, il background dei gruppi etnici che vivono in America. Disse a Lomax: ”Registrale e non cambiare una nota, questo è il nostro patrimonio sacro’”. [...]» (Carlo Petrini, ”La Stampa” 31/5/2006).