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 2006  aprile 13 Giovedì calendario

REJA

REJA Edoardo Lucinico (Gorizia) 10 ottobre 1945. Allenatore. Dalla 24ª giornata del campionato 2009/2010 alla Lazio. Dal 2004/2005 al 2008/2009 (esonerato dopo la 27ª giornata) sulla panchina del Napoli, che portò dalla C1 alla coppa Uefa In serie A ha allenato anche il Vicenza, all’estero l’Hajduk Spalato (2009/2010) • «Parla indifferentemente italiano, friulano, napoletano o sloveno. Conosce vini, spogliatoi e passioni, ama vivere prima di tutto. [...] ”I miei erano contadini, lavoravano nei campi dalla mattina alla sera. Avevamo grandi difficoltà economiche ma pranzo e cena non mancavano mai. Nel dopoguerra il problema principale era mangiare, tutto il resto sembrava secondario”. Per non parlare del calcio. ”Mi piaceva da pazzi. Con i miei amici attraversavamo l’Isonzo, al di là del fiume c’era un campo, o qualcosa che lo ricordava. Giocavo fino a sera e poi, con le ginocchia rotte tornavo a casa”. A giocare il secondo tempo. ”Quante botte ho preso. Aprivo la porta e iniziavano le discussioni, mio padre era dolce ma sul calcio s’incazzava sempre, la storia del pallone non gli andava giù. Vedeva nel suo unico figlio il successore naturale e capiva che la situazione gli stava sfuggendo di mano, io volevo fare il calciatore, su questo non avevo dubbi. A sedici anni mi arrivò l’offerta della Spal, Ferrara sembrava un altro mondo, provai a parlarne con lui. Ai quei tempi per poter lasciare il tetto natìo c’era bisogno del permesso scritto dei genitori. ”Quel foglio non lo firmo, pensa a cercarti un lavoro vero’, diceva papà”. Margini esigui per una trattativa. ”Gli chiesi di lasciarmi provare almeno per due mesi- racconta Reja - ma rifiutò, anche solo di prendere in considerazione l’ipotesi. Così quell’autorizzazione me la scrissi da solo, passando la notte a imitare la firma di mio padre. Venne bene, il giorno dopo mi misi in viaggio. Dopo l’esordio in serie A, mi venne a trovare, arrendendosi. ”Vabbè continua’, mi disse. Gli sono grato perché l’educazione che credo di avere, la devo a lui. Tutti dobbiamo qualcosa ai nostri genitori”. un pensionato, la prima tappa del minorenne Reja: ”Dormivamo in sedici, in un edificio di proprietà del presidente Mazza, in via Roma. Tutti insieme, tutti lontani da casa. Al piano di sotto c’era la sede della Spal”. Tutt’intorno, un certo senso di provvisorietà. ”All’inizio di ogni stagione arrivavano le nuove promesse, c’era circa un anno di tempo per trovare un abitazione. Molti di noi studiavano, nell’incertezza del futuro”. Anni di amicizie ancora vive. ”Dopo l’allenamento, dalle sei alle nove, frequentavo un corso da disegnatore tecnico e a tarda sera raggiungevo una trattoria con Fabio Capello, che studiava da geometra. Fabio fu il compagno con cui divisi l’esperienza della convivenza ferrarese, era friulano come me, di Pieris, ci capivamo al volo. Andammo a vivere insieme per risparmiare, la nostra stanza costava cinquemila lire a testa, in tutto ne guadagnavamo 60.000”. Una stanza con bagno, dalla bizzarra gestione. ”L’affittammo da due zitelle, avranno avuto 70 anni. Adorabili. Cucinavano meravigliosamente, ci trattavano come prìncipi e civettavano a causa nostra. Una parteggiava spudoratamente per me e l’altra per Fabio, io e lui, piegati dal ridere, le ascoltavamo dietro la porta chiusa”. La migliore amica di Capello si chiamava Livia. Occhi azzurri, capelli rossi, la ragazza più bella di Aquileia. Reja si innamorò, senza pentirsi mai. A viaggiare inseguendo le sue rotte nomadi, da Torino a Catania, adesso è lei. Sono passati 40 anni, hanno avuto una figlia ormai grande, Elisabetta. ”Me la presentò Fabio, non capii più niente. Io gli feci conoscere Laura, che poi sarebbe diventata sua moglie. Uscivamo sempre in quattro, cercando di far piano al ritorno, per non svegliare le padrone di casa”. Ride spesso Reja, senso dell’umorismo cosmopolita, plasmato dalle mille italie incontrate inseguendo palloni, tifosi e presidenti protagonisti, cui ama rispondere, sordo alla convenienza, senza chinare la testa. Gaucci lo cacciò dopo due mesi, Corioni e Cellino dopo essersi fatti riportare la squadra in serie A. Mauro Pederzoli, direttore sportivo del Brescia e del Cagliari guidati da Reja, oggi al Liverpool, traccia dell’amico un ritratto preciso. ”Credo che il suo maggior pregio sia quello di non essere un monomaniaco in un mondo, il nostro, dove la monomania paga. Nel suo caso, l’avere interessi diversi, il mare, la sua terra, i libri, non pensare 24 ore al giorno ossessivamente al calcio, lo ha aiutato, lo ha reso libero. Reja è così: quasi sempre dolce e affabile, fino a quando non si arrabbia, in quel caso non c’è verso di frenarlo. Arrivò a Brescia nel ”95 per salvarci, sembrava impossibile e ci riuscì. L’anno dopo, senza che nessuno se l’aspettasse, portò la squadra in serie A stravincendo il campionato. Aveva 50 anni, e aveva coronato un’aspirazione antica, eppure bastò un litigio telefonico con Corioni, quando eravamo nel ritiro di Vipiteno, per fargli prendere la decisione di abbandonare l’albergo, la squadra e la serie A all’alba”. Il motivo del contendere era il portiere Zunico. Corioni lo aveva confermato contro il volere di Reja. ”Alle 4 di mattina Edy bussò in camera e mi annunciò che andava via. Urlammo molto, reciprocamente, non ci fu niente da fare”. [...]» (Malcom Pagani, ”il manifesto” 8/4/2006).