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 2006  aprile 09 Domenica calendario

Intervista a Salvatore Accardo: "Nel mio Stradivari la forza di sole e luna", La Repubblica, 9 aprile 2006 Dice Salvatore Accardo che i violini hanno una voce magica, e sanno raccontare la loro storia: «Perché li plasma il legno, materia che si modifica di continuo, in un perenne dinamismo di molecole

Intervista a Salvatore Accardo: "Nel mio Stradivari la forza di sole e luna", La Repubblica, 9 aprile 2006 Dice Salvatore Accardo che i violini hanno una voce magica, e sanno raccontare la loro storia: «Perché li plasma il legno, materia che si modifica di continuo, in un perenne dinamismo di molecole. Un violino, mentre è suonato, trasmette allo strumentista le sue vibrazioni: la connessione è profonda. Se è stato suonato bene il violino ringrazia. una testimonianza viva della propria storia e dei musicisti che lo hanno avuto. E può assorbirne i pregi o i difetti». I migliori liutai, adesso come nella fioritura del Sei e Settecento, sono quelli di Cremona. un flusso di sapienza che scorre da una generazione all´altra, in una trasmissione di criteri dei materiali, canoni costruttivi e rapporti strutturali rimasta quasi immutata lungo i secoli: «Ci sono anche altre scuole di liutai: quella bresciana, la veneziana, la napoletana... Cremona però rappresenta una storia a parte, scandita da gloriose famiglie come gli Amati, i Ruggieri, i Bergonzi. E i celebri Guarneri: il più noto è Giuseppe, detto "del Gesù", artefice di violini prodigiosi. Ma il sommo tra i liutai resta Antonio Stradivari, che produsse strumenti di qualità ineguagliabile. Anche i suoi figli, Omobono e Francesco, fecero violini, che tuttavia non reggono il confronto con quelli del padre. Molti, in seguito, hanno provato a copiarne le caratteristiche con le tecniche più sofisticate. Nessuno è riuscito a coglierne e a riprodurne il segreto». Qual è il senso irripetibile degli Stradivari? «Il genio di chi li ha fatti. Un talento unico, una percezione esatta. Nella scelta del legno, per esempio: lo selezionava ascoltando il riverbero del suono dal materiale grezzo, battendo le nocche delle dita sugli alberi per capire il tronco che suonava meglio. Aveva innumerevoli rituali: seguiva le fasi lunari per prendere il legno, lo teneva al sole per fargli assorbire energia, conservava lo strumento finito per un mese nella sua camera da letto per trasmettergli altra forza... Stradivari fu un mistero senza rivali. Non a caso, anche all´epoca, i suoi strumenti erano i più cari. Di persone molto facoltose, a Cremona, si usava dire (e si dice ancora): ricco come uno Stradivari». Da allora a oggi, a Cremona si usano gli stessi legni. «Quelli di Paneveggio, in Val di Fiemme, sono usati per la tavola armonica. Per le fasce e il fondo si usano i legni della Slovenia e Cecoslovacchia, soprattutto l´acero. L´anno scorso, nel bosco di Paneveggio, dove c´è un auditorio naturale, una sorta di camera acustica formata da abeti, ho tenuto un concerto per cinquemila persone: non c´era alcuna amplificazione, eppure la risonanza era fantastica». Accardo dispone di due strumenti pregiatissimi: uno Stradivari del 1727 e un Guarneri del Gesù del 1734. «Sono entrambi molto potenti. Ma è diversa la qualità del suono. Quello del Guarneri è più scuro, preferibile per Schumann o Brahms, mentre lo Stradivari è adatto a Mozart e a Beethoven, compositori che richiedono un suono più chiaro». Lo Stradivari di Accardo è stato suonato per quarantacinque anni dal leggendario violinista Zino Francescatti. «Poi volle che fossi io a prenderlo. Quando smise di suonare mi chiamò a Marsiglia, dove viveva, per farmelo acquistare. Era il violino che suonava meglio al mondo. Ricordo la prima volta che lo suonai: la sua intonazione era così perfetta che pareva fare tutto da solo. Poterlo avere mi sembrò parte di un destino. Negli anni Cinquanta ascoltavo i dischi di Francescatti con mio padre e gli dicevo: questo è il suono che vorrei. E lui, da buon napoletano, fiducioso negli incantesimi, sosteneva: un giorno sarà tuo».  sempre tanto intenso il rapporto che unisce il violinista al suo strumento? «Certo. Diventa come un´appendice del suo corpo. Si stabilisce una simbiosi, una storia d´amore. O di odio. Ci sono strumentisti che maltrattano lo strumento, a cui trasmettono le loro nevrosi. Se qualcosa non va ne danno la colpa a lui, lo fanno aprire, ne stravolgono gli accessori. E ogni volta per il violino è un trauma, come un´operazione chirurgica per una persona. Mai sezionare se non è necessario. Francescatti non cambiò accessori per quarantacinque anni, e io, quando ho avuto il suo violino, mi sono limitato a sostituire il ponticello, che era lo stesso da quasi mezzo secolo». Accardo dialoga col suo strumento? «Naturalmente sì. E poi lo curo, lo controllo, ne seguo il benessere in ogni dettaglio. Nelle soste lo metto a riposo allentando le corde, altrimenti restano in tensione. Quando torno a suonare è magnifico ritrovare la nostra relazione, che si arricchisce a ogni incontro». Coi suoi due violini parla nello stesso modo? «Ho più confidenza con lo Stradivari. Il Guarneri ce l´ho solo da un paio di anni. Con l´altro ci conosciamo alla perfezione. generoso e affidabile, e dà sempre tutto ciò che ha. Ci sono violini che suonano meno bene in sale brutte, troppo umide o troppo secche. Lui, invece, offre il massimo ovunque lo suoni. Il Guarneri è più presuntuoso: esige solo sale bellissime». Leonetta Bentivoglio