Varie, 12 aprile 2006
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Kaprow Allan
• Atlantic City (Stati Uniti) 23 agosto 1927, 11 aprile 2006. Artista • «[...] si era laureato con una tesi su Mondrian, il più rigoroso e geometrico fra i padri dell’avanguardia. Incredibile, perché Kaprow è stato invece uno dei grandi protagonisti, a partire dalla fine degli anni ’50, del superamento dei limiti della pittura e scultura in direzione di un coinvolgimento totale dell’arte nella vita, attraverso la realizzazione di eventi artistici interdisciplinari, che combinavano insieme nei modi più diversi danza, teatro, film, musica, letterature oltre che i linguaggi plastici e pittorici. Influenzato in particolare da John Cage e dal suo “chance method”, dal vitalismo esistenziale della pittura d’azione di Pollock e dalle performance zen del Gruppo Gutai, Kaprow è l’inventore e teorizzatore degli enviroment e degli happening, caratterizzati da una estrema fluidità spazio-temporale, da una quasi assenza di schemi strutturati e da un diretto coinvolgimento del pubblico. Come ha dichiarato l’artista, gli environment hanno incorporato subito l’idea di cambiamenti interni durante la loro presentazione. I normali spettatori sono diventati partecipanti attivi e la nozione tradizionale dell’artista creatore è stata sospesa. Gli environment dovevano immergersi il più possibile negli spazi reali e nel flusso temporale della società, cercando di uscire il più possibile dalla chiusa dimensione del contesto dell’arte. Ed è cosi che si sono trasformati in happening. Kaprow inizia a realizzare nel 1957/58 i suoi primi environment (Beauty Parlor), ambienti con materiali poveri informalmente disposti e con suoni e odori. Nello stesso periodo da vita anche i primi happening, con una full immersion del pubblico. Del 1959 è 18 Happening in 6 Parts, alla Reuben Gallery di New York, un’articolata serie di azioni performative all’interno di tre ambienti caratterizzati dalla presenza di luci, specchi, superfici dipinte, suoni elettronici e meccanici. Gli spettatori vengono dotati di sacchi di plastica pieni di materiali variabili (pezzi di carta, fotografie, legno, frammenti, dipinti, figure ritagliate) e invitati a intervenire secondo precise istruzioni. Ma anche se l’evento si basava su un programma definito, i risultati erano assolutamente imprevedibili. L’idea di fondo era che “l’happening è qualcosa di spontaneo, qualcosa che avviene come avviene”. Un happening nel senso più radicale del termine è Calling (1965) senza pubblico ma con soli partecipanti. Si trattava di un certo numero i persone che dovevano realizzare separatamente varie azioni in varie parti di New York, per ritrovarsi tutti alla fine, dopo percorsi diversi, in un bosco del New Jersey. L’evento non aveva potuto essere visto nel suo insieme da nessuno, ma tutti avevano percepito il fatto di vivere un’intensa esperienza comune. Ecco alcune delle regole dettate dall’artista per l’esecuzione degli happening: il tempo come lo spazio devono essere discontinui; questi eventi devono essere rappresentati una sola volta, senza repliche; niente spettatori, tutti devono essere attivamente coinvolti; e infine , la composizione di un happening è uguale a quella di un assemblage e di un environment cioè è costituita di un collage di eventi in relazione a un certo tempo di svolgimento e a un certo spazio d’azione. Tutto il lavoro di Kaprow finalizzato alla “rianimazione dell’esperienza vitale”, come quello di altri artisti dell’happening (come Higgins, Grooms, e in parte Rauschenberg) e del movimento Fluxus, rientra nel clima più generale degli anni ’50/’60, quello connotato da una controcultura politica ideologica libertaria, tesa utopicamente a innescare un processo di rivoluzione radicale dei vecchi schemi di comportamento individuale e collettivo» (Francesco Poli, “La Stampa” 12/4/2006).