Il Sole 24 Ore 06/04/2006, pag.1-14 Davide Paolini, 6 aprile 2006
Gulasch, cous-cous, culatello: il voto è un pranzo di gala. Il Sole 24 Ore 6 aprile 2006. Dimmi come mangi, ti dirò come voti
Gulasch, cous-cous, culatello: il voto è un pranzo di gala. Il Sole 24 Ore 6 aprile 2006. Dimmi come mangi, ti dirò come voti. Che sia proprio balzana l’idea di una correlazione tra il comportamento a tavola e la scelta elettorale in cabina? Viene da chiederselo riflettendo sul trend della politica in Italia, in cui è evidente il ridimensionamento delle ideologie e dei confessionalismi. Proprio la crescente laicizzazione della politica permette di considerare le simpatie politiche sulla stessa linea delle segmentazioni che regolano i beni di consumo, e la preferenza a un uomo politico è alla stregua di quella che si è disposti a dare a una marca di vino o di una pasta o di un olio extravergine. Certo l’atteggiamento a tavola, la scelta di un menu, la preferenza per un tipo di cucina piuttosto di un’altra non sono definitivi, ma forse c’è in essi la stessa approssimazione dei sondaggi. Purtroppo durante questa tornata elettorale, in cui gli eletti sono già stati decisi dai partiti, sono mancate ovviamente le tipiche cene dove, tra un piatto e l’altro si cercava di convincere l’elettore indeciso. L’inutilità dell’investimento in pranzi ha portato a un calo del giro d’affari del catering davvero sensibile: i ristoratori sono i primi sicuri sconfitti del 9 aprile. Ci sono però dei dettagli da sfruculiare, a cominciare dai simpatizzanti Ds, sicuri frequentatori dei Festival dell’Unità. Ebbene dal 1948 la cucina di queste feste sparse per l’Italia è cambiata: si è passati dal gulasch con patate, piatto tipico dell’Est d’Europa degli anni ’60-80 al cous-cous e al kebab dei giorni nostri. Si può ben affermare, quindi, che il diessino è favorevole al cambiamento delle abitudine gastronomiche, alle feste dell’Unità, mentre non lo è casa o al ristorante o alla trattoria o all’osteria dove primo, secondo e dolce sono la trinità da rispettare, così pure la pasta e il riso sono un dogma da non mettere in discussione. Basta ricordare l’ormai famoso risotto televisivo di D’Alema. Non a caso il più acuto gastronomo francese Curnonsky (al secolo Maurice Sailland) alla fine degli anni ’50 scrisse il saggio Les parties en gastronomie individuando correlazioni tra i vari schieramenti del Parlamento e le posizioni politiche. E a proposito della gauche scrisse di una tendenza a ricercare i piccoli ristoranti dove il patron fosse il cuoco, di piatti semplici ma ben fatti: e soprattutto per loro inventò il neologismo di "gastronomadi". Curnonsky descrive, invece, la destra francese come la sentinella della cucina tradizionale. noto che tra i sostenitori di An ci sia una grande percentuale di bon vivants e di forti bevitori, così come alta è la frequentazione dei ristoranti, ma spesso quei locali dove si tiene molto all’etichetta e alle buone maniere. Alquanto incerto è il quadro gastronomico di Forza Italia. Se i profili dell’elettore che lo vedono molto sovraesposto al mezzo televisivo sono corretti, allora abbiamo un identikit del simpatizzante votato al mito della snellezza, al cibo light. inoltre attento agli ingredienti, quali l’aglio e la cipolla, rifiutati da Berlusconi, che possono disturbare la socialità. Mentre i ristoranti frequentati sono quelli trendy, dove l’ambiente e le frequenze del jet set giocano un ruolo di primo piano. Un quadro in contrasto con Curnonsky che definisce i simpatizzanti del "centro" amanti della cucina borghese e della cucina regionale, frequentatori di ottimi ristoranti d’hotel, dove non vengono mai riutilizzati i fondi delle salse. Viene da chiedersi se, appunto, il quadro del gastronomo francese non sia per Forza Italia ma piuttosto per Udc, Udeur, Margherita. I militanti di Rifondazione comunista sono interpretati molto efficacemente da Curnonsky, quando descrive l’extrème gauche: inquieti, fantasisti, innovatori alla ricerca di piaceri improvvisi e sensazioni nuove, cioè a dire cibi e ricette anche straniere, nonché massima apertura per la sperimentazione gastronomica. Curiosa è l’inclinazione verso i dolci. Non è questo l’identik per i Comunisti italiani, decisamente più conservatori a tavola e meno inclini a sperimentare nouvelle cuisine, fusion o cucine esotiche. Molto più facile descrivere l’inclinazione dei Verdi quali integral-biologico-vegetariana se non altro per i valori che professano. La Lega Nord professa una predilezione fideistica per la cucina locale, il vino del territorio, i pasti cadenzati, la donna in cucina a casa. C’è poca attenzione al piacere dei piatti, l’importante è la razione abbondante. Singolare è stata l’uscita un paio di anni fa del senatore Erminio Boso che identificò nel minestrone il piatto cult della Lega, nel riso quello di sinistra, nella pasta le preferenze della destra, ma guarda caso Giorgio Gaber nella sua splendida composizione "destra e sinistra" canta: la minestrina è di destra, il minestrone di sinistra, quindi aggiunge che la patata in natura è di sinistra, spappolata è di destra, il culatello è di destra, la mortadella è di sinistra. L’accostamento politico con Romano Prodi è assai noto, ma per gli eventuali festeggiamenti della sinistra, visto i vari partiti che la compongono con tendenze diverse propongo: mortadella, ma con champagne. Mentre per la destra in caso di vittoria: ostriche e lambrusco. Abbinamenti che segnano uno scambio delle coppie. Solo gastronomico, naturalmente. Davide Paolini