La Repubblica, 15/05/2001, Ezio Mauro, 15 maggio 2001
Silvio Berlusconi ha vinto le elezioni, consegnando alla destra la maggioranza della Camera e del Senato, e dopo aver ottenuto nei prossimi giorni l’incarico dal Capo dello Stato - come vuole la regola di un sistema maggioritario, sia pure imperfetto come il nostro - governerà il Paese da presidente del Consiglio
Silvio Berlusconi ha vinto le elezioni, consegnando alla destra la maggioranza della Camera e del Senato, e dopo aver ottenuto nei prossimi giorni l’incarico dal Capo dello Stato - come vuole la regola di un sistema maggioritario, sia pure imperfetto come il nostro - governerà il Paese da presidente del Consiglio. Diciamo subito che si tratta di una vittoria piena e legittima, avvenuta dopo una campagna aspra ma pienamente regolare, e conquistata in una giornata (e una nottata) elettorale dominata da un caos tecnico nei seggi che è stato scandaloso, ma che tuttavia non ha tolto nulla alla chiarezza e alla regolarità del responso. un vero e proprio ”cambio”, qualcosa di più di un’alternanza tra destra e sinistra alla guida di una grande democrazia occidentale, com’è avvenuto e avviene in tutt’Europa. Viene sconfitta una classe dirigente che nell’insieme governa il Paese dal 1995, che ha risanato l’economia e che soprattutto ha portato l’Italia nell’Euro, lavorando in stretto rapporto con quel riformismo europeo (la socialdemocrazia tedesca, il socialismo francese, il laburismo inglese) che sembrava fino ad oggi la cultura politica continentale più adatta per coniugare rigore e sviluppo, crescita ed equità. Torna al potere per la seconda volta la destra berlusconiana, che nel ’94 tenne la guida del Paese per sette mesi appena. Berlusconi, che ha costruito se stesso nella mitologia del comando e nella leggenda dell’invulnerabilità, ha in realtà il merito di aver attraversato il deserto dell’opposizione per cinque anni. E l’ha saputo fare irrobustendo giorno dopo giorno il suo partito (dalla plastica all’acciaio e rafforzando intanto la presa totale sulla sua coalizione, fino a presentarsi ai suoi elettori come leader unico e indiscusso. Per lui, per la sua cultura e per la disperazione politica imprigionata nella lunga opposizione, la data di oggi non è soltanto quella della conquista di una maggioranza di governo, come avviene normalmente nelle alternanze occidentali: è la data della presa del potere, l’anno-zero, l’avvio di un’epoca rivoluzionaria. Ecco perché siamo davanti a un ”cambio”, e non ad un semplice passaggio di consegne tra una sinistra uscente e una destra subentrante. Il ”cambio”, o almeno il cambiamento, è con ogni evidenza ciò che volevano gli italiani. Più che nei suoi programmi, nei progetti o nelle proposte di governo, Berlusconi rappresenta antropologicamente, biograficamente, addirittura biologicamente un’altra Italia, che vuole impetuosamente ”fare”, ma chiede di fare da sé, escludendo insieme lo Stato e il senso dello Stato, pur di pagare meno tasse e soprattutto pur di non avere più regole. Ecco, se cercassimo una definizione di fondo del fenomeno venuto alla luce con il voto, dovremmo parlare di un Paese ”sregolato”, tumultuosamente vitale ma privo di un baricentro civico, senza più una comune identità civile, pronto a lasciarsi comandare pur di non farsi carico di responsabilità collettive, impegni condivisi, parametri comuni. Un Paese di individui che chiedono di crescere, certamente, ma ognuno per sé e secondo i suoi comodi, delegando al primo tra tutti - ma uguale tra i tanti - di pensare allo Stato, mettendolo in riga: e dunque modernizzandolo, snellendolo, sveltendolo, ma perché poi una volta fatto snello, moderno e più svelto, possa farsi da parte, e non intralciare il cammino di chi ha da fare. Questo spirito dei tempi, mezzo imprenditoriale (negli istinti), mezzo privatistico (nella cultura) non so bene se sia stato da Berlusconi interpretato a perfezione, oppure suscitato e coltivato con cura. Fatto sta che il leader della destra ne è oggi l’interprete e il padrone, il domatore e l’impresario [...]. Ezio Mauro