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 2006  aprile 09 Domenica calendario

Il coro delle ucraine, da colf a star, La Stampa, 9 Aprile 2006 Alla quarta domenica si sono guardate negli occhi e hanno deciso che non potevano andare avanti così: tutta la settimana a fare le badanti

Il coro delle ucraine, da colf a star, La Stampa, 9 Aprile 2006 Alla quarta domenica si sono guardate negli occhi e hanno deciso che non potevano andare avanti così: tutta la settimana a fare le badanti. E la domenica finiva per consumarsi sempre allo stesso modo: ai giardinetti, con un panino e una lattina nel sacchetto di plastica, a raccontarsi tristezze e nostalgie, le lacrime in bilico. Questa non era vita. Se i prossimi anni li dovevano passare così, tanto valeva reagire. «Troviamoci pure ma invece di piangere, cantiamo». Era l’estate di due anni fa e a Mestre nasceva il Coro Dolya, piacere tutto privato delle badanti ucraine. Si incontravano e davano voce a un patrimonio comune, i canti bucolici ucraini di trecento anni fa, malinconici magari ma forti dello straordinario potere della musica. Un passo alla volta sono arrivati i primi concerti, poi i costumi cuciti con i tessuti tradizionali fatti arrivare da casa grazie a un finanziamento ottenuto per uno spettacolo organizzato con il Carnevale di Venezia. E’ arrivato anche un fisarmonicista, per accompagnare le voci. Formazione variabile: trenta elementi a pieno regime, ma gli impegni di lavoro hanno sempre la precedenza, e qualche volta ci si ritrova solo in quindici. Mille difficoltà, ma una volontà sempre più forte: oggi Dolya, che significa «destino», canta in tutto il Nordest, da Marghera a Trieste, da Rovigo a Vicenza. E la loro storia diventa un film. «Le donne del Destino» è in lavorazione in questi giorni a Mestre; il regista è Pierluigi Ferrandini, 31 anni di Bari, già assistente di sceneggiatura e regia per «La terra» di Sergio Rubini. Ha incrociato per caso la storia di questo coro, leggendo l’annuncio di uno spettacolo mentre si trovava a Trieste; a Mestre, alla Oz film e alla Venice Film Commission, la sua proposta ha trovato immediato appoggio e finanziamento. Alle badanti ucraine, che interpretano se stesse, non è chiesto altro che vivere la propria vita: la macchina da presa le seguirà nel loro lavoro quotidiano, scandaglierà le loro storie personali scoprendo che molte di loro sono diplomate e c’è chi ha fatto, in patria, la maestra per vent’anni prima di ritrovarsi senza più un soldo, travolta come tutti dalla sorte di un paese che ha pagato prezzi altissimi alla caduta del Muro. Poi il regista riprenderà i loro concerti e i volti del pubblico in ascolto: i sopralluoghi lo hanno convinto che potrebbero essere proprio queste le inquadrature più sorprendenti, per l’emozione che il canto del Dolya riesce a trasmettere. A Venezia sono quattromila i cittadini ucraini. Quasi tutte donne e, salvo rare eccezioni, tutte badanti. Nessuna di loro, dicono, è venuta in Italia per restare: sono qui per garantire un futuro ai loro figli, molte li hanno lasciati che sapevano appena camminare e sanno che li ritroveranno adolescenti, ma per poter pagare loro gli studi non avevano altra scelta. Fino a che restano in Italia, vogliono vivere e non sopravvivere: «Se qualcuno parla male di questo paese, io soffro - dice Tamara Pazdyakova, presidente dell’Associazione Ucraina Più - perché l’Italia ci ha accolte e ci ha dato una possibilità di futuro. Ci manca la nostra terra, ma cantando la sentiamo vicina. Speriamo di farla conoscere un po’, in questo modo, anche a voi». Anna Sandri