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 2006  aprile 08 Sabato calendario

Chi perde accetta il verdetto. La Stampa 8/4/2006 Leggendo giorni fa un bel libro di una storica italiana sulla politica estera di Nixon, mi è caduto l’occhio sul discorso da lui pronunciato al Congresso dopo essere stato battuto da Kennedy alle elezioni presidenziali del 1960

Chi perde accetta il verdetto. La Stampa 8/4/2006 Leggendo giorni fa un bel libro di una storica italiana sulla politica estera di Nixon, mi è caduto l’occhio sul discorso da lui pronunciato al Congresso dopo essere stato battuto da Kennedy alle elezioni presidenziali del 1960. Il suo discorso precedette solo di pochi giorni quello inaugurale di Kennedy, di cui tutti conoscono la frase che è scritta sul marmo del cimitero di Arlington dove è sepolto: "Non chiedetevi cosa il vostro Paese può fare per voi, chiedetevi che cosa voi potete fare per il vostro Paese". Il discorso di Kennedy viene spesso giustamente ricordato, mentre quello di Nixon viene dimenticato ingiustamente; perché contiene un passaggio finale che, credo, sia non meno significativo della bella frase kennedyana. Val la pena di citarlo per intero, ricordando anche che Kennedy vinse quelle elezioni con una minima maggioranza di voti popolari, il 49,7% contro il 49,5% di Nixon. "Nelle nostre competizioni elettorali - disse Nixon - non importa quanto la rivalità sia stata dura, non importa quanto i risultati delle elezioni siano stati vicini. Coloro che perdono accettano il verdetto e sostengono coloro che vincono. Con questo spirito saluto John Fitzgerald Kennedy, Presidente degli Stati Uniti d’America". A quelle parole tutti, vincitori e vinti, democratici e repubblicani, si alzarono in piedi e applaudirono. Avete letto bene, Nixon disse proprio così: "sostengono il vincitore". Ma cosa significa esattamente quella parola "sostengono"? Forse che, passate le elezioni, le forze politiche che hanno perduto devono rinunciare alle loro idee e allinearsi su quelle dell’avversario? Evidentemente no. Significa, io credo, che chi vince ha il diritto e soprattutto il dovere di governare e che per governare deve essere sostenuto dal Paese e non solo dalla propria parte politica. Deve essere sostenuto, nei limiti e nel rispetto della Costituzione, dalle istituzioni, dall’apparato e dai poteri dello Stato, partendo dal presupposto che il fondamento dell’azione di governo è il bene del Paese e non il bene di chi ha vinto. Non è possibile che un Paese sia governato ordinatamente se il 49,5% della popolazione avversa, contrasta e dileggia ogni atto e ogni parola di chi ha avuto il mandato dal 49,7%. Che la minoranza faccia sentire la sua voce è più che legittimo. Che là dove sono in gioco grandi questioni della vita nazionale il contrasto possa essere duro e prolungato è ugualmente legittimo. Ma l’interesse dei cittadini esige che chi governa governi al meglio e non al peggio. E se, malgrado sia stata libera di governare, una parte ha esercitato male il potere affidatogli o ha interpretato male i bisogni del Paese, deve essere mandata via al termine dei cinque anni del mandato parlamentare. E’ lecito pensare che anche in Italia, quando saranno noti i risultati elettorali (sarebbe anzi stato meglio farlo a campagna elettorale in corso), i due candidati premier facciano un’affermazione che richiami in qualche modo quella che Nixon fece 46 anni fa? Sono sicuro che la maggioranza degli italiani sarebbe loro grata. Sarebbe anche il modo di ridare dignità a una fase della vita nazionale che ha visto una degenerazione crescente del modo di concepire la politica e un crescente sconcerto dei cittadini. Sarebbe, credo, una prova di forza e non di debolezza, di coraggio e non di pavidità. Boris Biancheri