Note: [1] Jena, La Stampa 7/4; [2] Edmondo Berselli, L’espresso 13/4; [3] Marco Marozzi, la Repubblica 1/2; [4] Goffredo De Marchis, la Repubblica 2/12/2005; [5] Corriere della Sera 7/2; [6] Roberto Bagnoli, Corriere della Sera, 3/4; [7] p. e. r., Libero , 2 dicembre 2005
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 10 APRILE 2006
«Nessun leader è mai arrivato a dire che se perde le elezioni si suicida. Peccato» (Jena). [1]
Fino al ”numero” dell’Ici, tutti i sondaggi diffusi nei corridoi di partito, commissionati dalle grandi banche, lasciati circolare dalle multinazionali, risultavano omogenei: per la Casa delle libertà non si poteva parlare di rimonta. Nei giorni successivi all’ultimo confronto televisivo, il Cavaliere ha deciso di giocarsi il tutto per tutto. Edmondo Berselli: «Per un esercizio di realismo politico, conviene mettere sul tappeto i tre scenari possibili. La vittoria del centrosinistra, il successo di Berlusconi, e il risultato più controverso, il pareggio». [2]
Scenario numero 1: vince Prodi. Berselli: «Era il risultato più probabile, la conclusione logica di una sequenza di tornate elettorali in cui la Cdl aveva accumulato una sconfitta dopo l’altra. Quando qualcuno gli fa notare che un conto è prendere più voti dell’avversario e un altro governare, Prodi non sembra preoccuparsi: Francesco Rutelli e Walter Veltroni si stanno impegnando sul futuro partito democratico, Fausto Bertinotti, pur citando di continuo l’età postfordista e la precarizzazione della vita, ossia i temi classici dell’ideologia della nuova sinistra, si è dato il profilo dell’uomo di governo e delle istituzioni. Il Professore deve mostrare rapidamente la capacità di formare un governo efficiente, dal profilo europeo: la qualità dei ministri è la prova migliore che il centrosinistra è in grado di schierare uomini capaci di rassicurare i mercati e di tentare il rilancio dell’economia nazionale, facendolo uscire dalla sindrome della crescita zero». [2]
Per i dicasteri principali si fanno i nomi di Tommaso Padoa-Schioppa, Mario Monti, Enrico Letta, Pier Luigi Bersani, Massimo D’Alema, Giuliano Amato ecc. [2] Prodi vorrebbe un governo con «la base di politici», ma che sia un «mix», con qualche «ruolo» per «tecnici». [3] A D’Alema, si sa, piacerebbe il ministero degli Esteri. Lo disse, tra l’altro, anche in una puntata di ”Porta a Porta”. Fassino vorrebbe rimanere segretario del partito e si accontenterebbe di fare il vicepremier. [4] Mastella ha già fatto sapere che farebbe volentieri il ministro dell’Istruzione. Disse un paio di mesi fa a un convegno del suo partito a Roma: «Dopo aver ascoltato alcuni interventi al congresso della Rosa nel Pugno, so quale è il mio posto se il centrosinistra dovesse vincere: chiederò di essere ministro della Pubblica istruzione. Emma Bonino dice che mai ci dovrà essere un ministro della Pubblica Istruzione amico di Ruini. Bene, io sono amico e rispettoso dei principi della Chiesa, senza confondermi sul piano della mia laicità».[5]
I Verdi hanno candidato ai Lavori pubblici Alfonso Pecoraro Scanio, firmando contestualmente un superpiano delle infrastrutture da 110 miliardi di euro. Marco Rizzo (Comunisti italiani): «Non vorrei che per una poltrona si appannassero valori forti come la difesa dell’ambiente perché, se Berlusconi risulterà sconfitto, bisognerà adoperarsi per far prevalere gli interessi dei lavoratori e non quelli di Confindustria». Ermete Realacci, responsabile territorio e qualità della Margherita: «Per quel ruolo così delicato che è la difesa dell’ambiente non si può appaltare un pezzo del programma a nessuno nè a nessuna forza politica, il programma deve essere di tutti». Il senatore Verde Sauro Turroni: «Mettere un Verde come Pecoraro Scanio alle Infrastrutture per i diessini è come mettere Dracula presidente dell’Avis, invece sarebbe una scelta rivoluzionaria per il bene del nostro Paese». Edo Ronchi, ex Verde e ministro dell’Ambiente ora passato nei diesse: «No comment». [6]
probabile che, qualunque fosse l’esecutivo, una parte del popolo di centrosinistra resterebbe deluso. Basta leggere i risultati del sondaggio sul ”Fantagoverno” promosso in passato dall’’Espresso”: accanto a indicazioni verosimili (Rutelli all’Interno, D’Alema agli Esteri, Amato o Enrico Letta all’Economia), spiccavano candidature quantomeno improbabili. Esempi: Gino Strada (il medico fondatore di Emergency) agli Esteri; Vittorio Agnoletto (medico fondatore della Lila e portavoce dei no global di Genova) alla Sanità; Ilda Boccassini o Francesco Saverio Borrelli alla Giustizia; Santoro o Colombo alle Comunicazioni; il conduttore tv Piero Angela all’Ambiente; la conduttrice tv Licia Colò alle Politiche Agricole; Montezemolo alle Attività produttive. ”Libero”: «Il gioco, insomma, non è riuscito. Ma, perlomeno, ha dato fiato a quelle che sono le vere aspirazioni dell’elettorato della sinistra. Loro il banchiere cattolico Giovanni Bazoli non lo considerano proprio». [7]
Cosa succederebbe nella Cdl in caso di sconfitta? Berselli: «Berlusconi spera di risultare il capo del primo partito al Senato, in modo da risultare ancora centrale in ogni negoziato, e in grado all’occorrenza di alzare barricate. Gianfranco Fini è il più sconfitto di tutti, perché perde senza avere una strategia di riserva: non può reggere cinque anni di opposizione senza sviluppi. Roberto Maroni ha già annunciato che in caso di sconfitta la Lega se ne va per i fatti suoi. Nell’Udc, Pier Ferdinando Casini, Marco Follini e Bruno Tabacci mandano segnali al centrosinistra, ”perché se Prodi radicalizza noi facciamo un’opposizione durissima; ma se Prodi sente la necessità di allargare la maggioranza, noi siamo un partito di governo, non un partito della protesta”. Quanto al Quirinale, la prima scelta è Carlo Azeglio Ciampi, dato che Prodi si ritrova perfettamente nella visione ciampiana di un’Italia pacificata. Se il presidente non ci sta, Giuliano Amato è ancora in prima fila». [2]
Per ora è solo sulla carta. Ma dallo scorso novembre è partito il progetto di fusione tra Mediaset e Telecom Italia. Claudio Antonelli: «Il colosso, che prenderebbe forma nel caso in cui Silvio Berlusconi non fosse più presidente del Consiglio, sancirebbe la definitiva rivoluzione del settore delle telecomunicazioni: in particolare il Biscione sarebbe il ”content provider”, fornirebbe i contenuti, mentre la società di Marco Tronchetti Provera la rete di trasporto. Il tutto supportato dall’innovativo sistema del digitale mobile. Insomma, tre televisioni e un gestore telefonico tutto in uno, come unico sarebbe il presidente: Silvio Berlusconi. Una mega fusione che potrebbe essere battezzata ”Mediaitalia” o più facilmente ”Mediacom”, dalla risonanza senz’altro più internazionale ed esotica. Nella grande partita da cui uscirebbe un gruppo tra i primi 5 al mondo entrerebbe anche Tarak Ben Ammar. Il finanziere franco-tunisino, produttore, banchiere e portavoce della pattuglia francese che presidia l’azionariato di Mediobanca, nonchè amico di lunga data del Cavaliere, sembrerebbe disposto ad assisterlo anche in questa nuova avventura. D’altronde l’affare all’orizzonte sembrerebbe essere tanto allettante quanto innovativo. E al momento, nel panorama finanziario, Berlusconi sarebbe tra i pochi in grado di gestire una liquidità tale da subentrare a Tronchetti Provera (acquisendo anche le azioni in capo a Gnutti in pancia a Olimpia, la holding che controlla Telecom) nel settore delle telecomunicazioni, facendo scomparire una volta per tutte i confini tra il mercato televisivo e quello telefonico». [8]
Scenario numero 2: vince Berlusconi. Non è la Cdl a vincere: è un successo tutto del Caimano, riuscito nell’impresa impossibile, nella rimonta incredibile. Berselli: «I suoi alleati non sono meno sorpresi degli avversari. Fini e Casini, ridotti definitivamente al rango di gregari, accettano un ruolo accessorio nel futuro ”Partito del popolo”. Mentre il centrosinistra si scioglie come neve al sole, Prodi cerca un incarico internazionale e il partito democratico entra in stallo, Berlusconi prepara un’altra finanziaria illusionista. Nel frattempo manda Gianni Letta al Quirinale, piangendo lacrime di coccodrillo su Ciampi sacrificato alle ragioni di partito. Si sente immortale, invincibile, capace di ipnotizzare per sempre un paese intero. Gli rimane un solo ostacolo, il referendum confermativo sulla riforma costituzionale. Se la Cdl lo perde, come è probabile, il centrodestra è finito. La Lega se ne va, progettando altre marce sul Po». [2]
In caso di vittoria, Berlusconi ha promesso un vicepremier donna con otto ministre e venti sottosegretarie. Iva Zanicchi (per un mese europarlamentare di Forza Italia): «La Prestigiacomo vicepremier? Bella donna, va bene. Anche Stefania Craxi è carina. Ma a me piace la Boniver, che è una con esperienza e con gli attributi sotto». La Gardini? «Mah, fa la portavoce, non ha mai portato niente». Mara Carfagna? «Ah, la... L’attrice, quella che fa tv... Sì, mi dicono che è laureata, al contrario di me, e in Forza Italia basta che sei laureata e fai anche il presidente della Repubblica... Io Berlusconi lo amo, ma bisogna che ci ripensi. Sempre con ’ste donne da piazzare! Se ne ha in mente una valida, siamo contente, ma darci il contentino così, a priori...». Stefania Craxi: « un dibattito che m’interessa poco. Quello che conta, è portare al governo le quote grigie. Grigie come la materia cerebrale». [9] Alessandra Mussolini: «Diciamola tutta: il centrodestra vincerà e io soppianterò Fini prendendo il suo posto di vicepresidente del Consiglio». [10]
Silvio Berlusconi è un leader che mantiene le promesse. Maria Laura Rodotà: «Se vincerà guiderà il Paese affiancato - come ha anticipato in tv - da una vice primo ministro e da otto ministri donne; anzi, direbbe lui, signore. Non solo politiche di professione; secondo ambienti a lui vicini, affiderà dicasteri importanti a esponenti della società civile. Ecco una prima lista di papabili. Vicepremier: scartata per motivi familiari l’autocandidatura di Alessandra Mussolini (l’ala moderata del Polo insiste a tenerla lontana dai palazzi con balcone) la poltrona dovrebbe andare a Stefania Prestigiacomo. Ha esperienza di governo, bella presenza, bei tailleurs, è tenace (manterrà la delega alle Pari Opportunità per potersi fare qualche pianto); Infrastrutture: Stefania Craxi: Indicata da Sandro Bondi, potrà riabilitare il nome di famiglia, insozzato da accuse di tangenti. Tra l’altro, a differenza della famiglia Lunardi che scava gallerie, la famiglia Craxi-Bassetti produce reality shows (quindi non c’è conflitto di interessi, a meno che non vogliano chiudere i ragazzi del Grande Fratello in un tunnel per la Tav); Attività Produttive: Stefania Nobili. La figlia di Vanna Marchi è un’imprenditrice navigata (i processi in corso non sono un problema, nei governi B.). Per promuovere il made in Italy all’estero si avvarrà della consulenza del mago Do Nascimiento (già in loco); Beni culturali: Cristina Chiabotto. L’ex Miss Italia verrà scelta in quanto bellezza nazionale e naturale successore dell’attuale ministro Rocco Buttiglione, che giorni fa ha detto che le donne brutte sono tutte all’opposizione. Lui ci rimarrà male, però; Affari sociali: Cristina D’Avena. Sfumate le candidature di Jessica Rizzo, di Eva Henger e di una certa Samantha conosciuta l’altra notte dal premier su un telefono erotico causa bacchettonismo dell’Udc, il delicato dicastero sarà affidato alla storica cantante per bambini Fininvest. Un grande ritorno; Pubblica istruzione: Ombretta Colli. Indicata da Bondi, più simpatica di Letizia Moratti, grande fumatrice, diventerà popolarissima tra i liceali depenalizzando le sigarette nei gabinetti; Salute: Vanna Marchi. Mamma e figlia ministre sono una novità; e poi potrà replicare alle proteste per i tagli alla sanità pubblica consigliando applicazioni di alghe e spaventando i critici con le sue urla; Welfare: Naomi Campbell. Nel governo ci vuole qualche straniero, come nel Milan. E lei sa come trattare i dipendenti che protestano (anche qui, le pendenze giudiziarie non dovrebbero essere un problema, nel governo B.). [11]
Scenario numero 3: finisce in pareggio. Berselli: «Il pareggio equivale a qualsiasi risultato politicamente illeggibile. Esemplificato da una maggioranza diversa fra Camera e Senato. il trionfo della nuova legge elettorale, il ”Porcellum”. L’Italia della crescita zero si ritrova nella politica zero. Di rivotare non se ne parla. Ed è anche la gioia di tutti gli inciucisti, i sostenitori della teoria di Mario Monti che le riforme necessarie per il paese sono troppo pesanti per essere realizzate da una sola parte politica, e ci vuole dunque uno sforzo corale e bipartisan. Solo che ci sono due modi per farlo: un governo di salute pubblica sostenuto dai poteri forti, una specie di consiglio d’amministrazione della borghesia, con la benedizione di Luca Cordero di Montezemolo e di Diego Della Valle; oppure una chiamata a raccolta di tutta l’Italia postdemocristiana». [2]
Si tratta di uno scenario meraviglioso per i politici più manovrieri, per la razza doc Prima Repubblica. Berselli: «Da Clemente Mastella a Ciriaco De Mita, da Casini e Buttiglione ai socialisti razza pentapartito. Prodi è fuori tempo e fuori gioco, Berlusconi anche, a meno che non si ricicli, perfetto Zelig, come padre nobile dell’Inciucio. Fini deve darsi da fare come un disperato per non essere emarginato. Fassino e D’Alema pure. Umberto Bossi gode, pensando alle potenzialità disgregatrici che si spalancano per la Lega. Cominciano i preparativi per realizzare la Terza Repubblica (o siamo già alla Quarta?). Dopo avere annunciato il suo possibile voto a Pippo Franco, Giulio Andreotti contempla soddisfatto un’Italia che diviene di nuovo eterna, premoderna, corporativa. Quindici anni di transizione politica vengono buttati nella spazzatura della storia. Quasi quasi, fa meno impressione la vittoria del Caimano (si sottolinea quasi)». [2]