Varie, 7 aprile 2006
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Tate Jeffrey
• Salisbury (Gran Bretagna) 28 aprile 1943. Direttore d’orchestra • «A vederlo entrare in scena curvo, ansante, gli arti dai movimenti incerti, parrebbe un personaggio tratto da un racconto di Hugo o di Hoffmann. Eppure Jeffrey Tate [...] direttore musicale del San Carlo di Napoli [...] è uno degli interpreti più raffinati in circolazione. Il pubblico inesperto lo vede arrancare verso il podio, ignaro della malattia che lo tormenta, una tremenda spina bifida, malformazione della colonna vertebrale caratterizzata da una incompleta saldatura delle vertebre, e si domanda dove quell’uomo apparentemente debole e affranto troverà la forza per dirigere [...] Eppure quando, nel silenzio o nell’imbarazzo generale, d’un tratto alza al cielo la mano a segnare l’incipit dell’ouverture, il miracolo del teatro si rinnova: i duettini e i terzetti scorrono agili e nervosi, le cavatine preziose e ammalianti, le arie eccitate da un turbinio di fremiti. Il gesto sicuro, preciso, severo nell’indicare ogni minima nuance, s’addolcisce e allarga nei momenti più suadenti. E la figura del direttore inizialmente greve, ingombrante, arcigna, si trasfigura in quella d’uno smilzo ballerino piroettante nel cielo inghirlandato dai sei ordini di palchi, d’un funambolo dal passo spigliato che mira spavaldo il baratro di figure scintillanti oltre il sipario. Il rapporto fra arte, handicap e malattia ha segnato la vita intellettuale di Tate fin da ragazzo, allorché preferì conseguire la laurea in medicina ed esercitare la professione di Ippocrate prima di abbracciare quella di Aristosseno. In definitiva uno dei temi dominanti del Dottor Faustus di Thomas Mann, dove la malattia che coglierà il protagonista del romanzo, Adrian Leverkühn, lo distruggerà lentamente ma gli consentirà preziosi momenti di intensa eccitazione immaginativa. Di tal fatta saranno state le atmosfere e le riflessioni evocate nei primi passi della carriera musicale del giovane Tate quando accompagnò la tournée di una Maria Callas ormai alla deriva vocale, a Parigi nel 1976, sostenuta soltanto dal magnetico fascino d’interprete. O quando seguì, in qualità di maestro accompagnatore, un Herbert von Karajan ormai claudicante al Festival di Salisburgo. [...]» (Riccardo Lenzi, ”L’espresso” 13/4/2006).