Il Sole 24 Ore 06/04/2006, pag.7 Ugo Tramballi, 6 aprile 2006
Hamas: ”siamo al verde”. Il Sole 24 Ore 6 aprile 2006. Abu Dis. All’ombra del Muro che qui è alto otto metri e divide in due case, strade, scuole e il campus dell’Università al-Quds, il colore dell’edificio è indistinguibile
Hamas: ”siamo al verde”. Il Sole 24 Ore 6 aprile 2006. Abu Dis. All’ombra del Muro che qui è alto otto metri e divide in due case, strade, scuole e il campus dell’Università al-Quds, il colore dell’edificio è indistinguibile. Doveva essere ocra. Ora ricorda solo qualcosa che è stato corroso: dalla pioggia e dal sole, dal tempo che passa, dalla pace e dall’Intifada. Doveva essere il Parlamento palestinese, il più vicino possibile a Gerusalemme. Non è mai stato aperto. Nessun esecutivo al mondo ha mai governato in videoconferenza. Usando i mezzi della modernità e sfidando le consuetudini, ieri Ismail Haniyeh ha comunque convocato la prima seduta di Consiglio dei ministri del primo monocolore Hamas. Ma essendo ufficialmente un’organizzazione terroristica, i suoi membri non possono spostarsi liberamente da una parte all’altra dei Territori. Una metà dei nuovi amministratori dell’Autorità palestinese si è riunita attorno a lui, nel parlamento di Gaza, in boulevard Omar al-Muktar, nell’edificio che era stato del governatore militare israeliano. L’altra è stata convocata a Ramallah, in Cisgiordania, in un palazzo anonimo che sembra più una scuola che un Parlamento: era stato scelto perché aveva una sala grande abbastanza per 120 deputati. Un’aula, appunto, non un emiciclo. Ai tempi di Arafat i ministri si riunivano invece alla Muqata, il suo quartier generale. Ma quelli erano altri tempi. Sia il Parlamento di Gaza che quello di Ramallah - oggi non si capisce più quale dei due sia la succursale dell’altro - non sono però il vero Parlamento palestinese. La sede doveva essere quella di Abu Dis, diventato ormai un quartiere sud-orientale nella cintura urbana di Gerusalemme, a lato del monte degli Ulivi. Venne costruito durante le trattative fra israeliani e palestinesi negli anni Novanta. L’edificio segna il punto più avanzato del processo di pace: quando gli israeliani erano a un passo dal riconoscere anche qualche diritto di sovranità palestinese nella parte orientale di Gerusalemme. Tecnicamente Abu Dis non è Gerusalemme, anche se dal tetto del Parlamento mai aperto si riesce a vedere la cupola dorata del Duomo della Roccia sulla Spianata del tempio, il simbolo della lotta di liberazione palestinese. Il fallimento di Camp David e l’Intifada del 2000 hanno congelato la pace e i lavori di costruzione di quell’edificio: mancavano pochi ritocchi. Una nazione che ha troppi Parlamenti alla fine non ne ha nessuno. Oggi un pezzo di Hamas governa da quello di Gaza, un altro da quello di Ramallah. Poiché non rinnega la lotta armata e non riconosce il diritto del nemico di esistere, Israele non permetterà mai agli uni d’incontrare gli altri. Ma un pezzo del Governo dei palestinesi, quello di Abu Mazen, il presidente, continua a essere amministrato dalla Muqata. In una simile condizione, il primo Consiglio dei ministri non poteva che incominciare con un’ammissione d’impotenza: mancano i soldi per governare. "Non riceveremo i nostri salari fino a che ogni dipendente dell’Autorità palestinese non verrà pagato", ha detto ai deputati il premier Haniyeh, in videoconferenza da Gaza. I ministri, tutti di Hamas, hanno un ideale: possono anche rinunciare allo stipendio. Gli impiegati, gli usceri e soprattutto i soldati dell’Autorità, sono di Fatah, li avevano assunti Arafat, Abu Mazen, Abu Ala e tutti i capi che dimostravano il loro potere dando un lavoro: loro vogliono la paga. Il viceprimo ministro Nasser Eddin Shaer, da Ramallah, ha annunciato un piano dei 100 giorni che dovrebbe affrontare l’emergenza economica. Conta sui 55 milioni di dollari stanziati la settimana scorsa dal vertice della Lega araba a Khartoum. Ma anche Shaer sa che quei soldi la Lega li darà ad Abu Mazen, non ad Hamas. Comunque non basterebbero per coprire la metà delle spese mensili dell’Autorità. Il giorno prima, il ministro degli Esteri Mahmoud Zahar aveva mandato una lettera a Kofi Annan. Nell’ansia di vedere Hamas trasformarsi in un partito normale (salverebbe le coscienze di chi, con il boicottaggio economico, teme di affamare il popolo palestinese) qualcuno aveva letto nel documento un riconoscimento di Israele. Zahar ha smentito: la politica di Hamas non cambia. Vale quello che Zahar aveva detto domenica all’agenzia di stampa cinese: "sogno di appendere al muro di casa mia una gigantesca carta del mondo nella quale Israele non appare". Ugo Tramballi