La Repubblica 05/04/2006, pag.15 Jenner Meletti, 5 aprile 2006
Detenuti in rivolta: quei due non li vogliamo il cappellano: se mi chiamano starò in silenzio. La Repubblica 5 aprile 2006
Detenuti in rivolta: quei due non li vogliamo il cappellano: se mi chiamano starò in silenzio. La Repubblica 5 aprile 2006. Parma. Nessuno era in branda, sabato notte, nel grande carcere di via Burla. Tutti a guardare la televisione, per sapere se davvero due delinquenti avessero ucciso Tommaso e buttato il corpo in una discarica. Alle 22,50 la tv dà l´annuncio: il piccolo è stato trovato fra i rifiuti sul greto dell´Enza. Nelle nuove carceri non ci sono più le «bocche di lupo», che permettevano di guardare solo un pezzo di cielo. I detenuti sentono le sirene e sulla strada che porta alla galera vedono un «blindo» - come lo chiama don Umberto Cocconi, cappellano volontario al Burla - scortato da molte auto. I detenuti capiscono subito. Stanno portando dentro Mario Alessi e Salvatore Raimondi, i due assassini di Tommaso. E allora, come quando nelle carceri scoppia la rivolta, parte «la battitura». Pentole, tegami e tutto ciò che può fare rumore viene battuto contro la porta, i muri, le sbarre della finestra. «C´è stato un vero boato», dice padre Celso, anche lui cappellano assieme ad altri due frati francescani. Padre Celso è un religioso carismatico che richiama molti fedeli. Proprio a lui, subito dopo il sequestro, Paola e Paolo Onofri avevano chiesto una preghiera. Il frate consegnò loro quattro croci Tau, simbolo francescano. «Tre per voi e per il figlio più grande, Sebastiano. Un´altra per Tommaso, quando tornerà». Domenica, quando ormai era sera, pentole e tegami sono tornati in azione per più di un´ora. «Da allora - dice don Umberto Cocconi - questa protesta si alterna ad un silenzio quasi assoluto, che in carcere è rarissimo. Ieri ho detto Messa nella mia sezione. I detenuti erano il doppio del solito. Tanti vengono a Messa solo per trovarsi con gli altri e scambiare due chiacchiere. Ieri hanno pregato in silenzio». Don Cocconi non è scandalizzato dalle proteste. «Il carcere è un pezzo di società ed anche qui ci sono dolore e rabbia per il crimine commesso. Le pentole contro il muro vogliono dire: qui non vi vogliamo. Voi avete ammazzato un bambino ed il nostro codice d´onore dice che bambini e donne non si toccano. I detenuti non perdonano poi certi particolari, come quella «commozione» mostrata in tv da uno dei colpevoli, quelle parole di solidarietà con i poveri genitori di Tommaso. E uno si è fatto anche pagare per le interviste. Un altro fatto ha infiammato i detenuti. Hanno saputo che il piccolo era stato ammazzato «perché piangeva» e non possono perdonare una simile infamia». Anche il sacerdote non se la sente certo di perdonare. «Io penso che 10 anni dentro una fossa a pane e acqua non sarebbero una punizione eccessiva. Nella settimana di Passione - l´ho detto nell´omelia ai detenuti - ci sarà la lavanda dei piedi. Io ho detto: non sono disposto a lavare i piedi a tutti. Per il momento non me la sento proprio. Le due persone accusate di questo delitto sono in isolamento e lì si entra solo se chiamati. Per ora io non mi presento. Per il Figliol prodigo è stato ucciso il vitello grasso, ma ha dovuto tornare a casa, presentarsi. Suo padre non era andato a cercarlo. Lo stesso farò io. E se una di queste persone vorrà vedermi, io resterò in silenzio. Voglio proprio vedere se hanno il coraggio di guardarmi negli occhi». I due arrestati sono guardati a vista. La donna, Antonella Conserva, è chiusa nella sezione del 41 bis, di massima sicurezza, perché qui a Parma non c´è la sezione femminile. Fra qualche mese gli uomini potranno passare nella sezione dei «protetti», dove collaboratori di giustizia, pedofili, parenti delle forze dell´ordine, violentatori sono tenuti lontano dagli altri detenuti. «Gesù, nel Vangelo di San Marco, dice di Giuda che sarebbe meglio che non fosse mai nato. Credo di avere compreso questo passo del Vangelo solo dopo questa vicenda. A volte il suicidio può essere un gesto di pentimento. Io sto con i detenuti, che non vogliono essere confusi con un uomo che ha un figlio malato e uccide il figlio malato di un altro uomo. Sto con i detenuti perché vogliono dire a tutti che esiste una dignità anche in carcere. Piangono per un bambino che era diventato anche loro figlio. Ecco, le pentole battute sui muri mandano questo messaggio». Jenner Meletti